
Pietro De Biase
Le richieste funzionali di questi pazienti spingono il traumatologo verso l’approccio chirurgico e in alcuni casi persino a preferire la sostituzione protesica alla sintesi. Se ne parla al Trauma Meeting di Otodi, in ottobre a Riccione
Il Trauma Meeting di Otodi è sicuramente il punto di riferimento annuale in Italia per dibattere le problematiche cliniche che si presentano all’ortopedico traumatologo ospedaliero nella pratica quotidiana. Giunto alla quindicesima edizione, si tiene a Riccione dal 4 al 6 ottobre. Quattro i presidenti di quest’anno: Paolo Esopi di Dolo (Venezia); Andrea Micaglio di Santorso (Vicenza), Marco Mugnaini e Pietro De Biase di Firenze.
A quest’ultimo abbiamo chiesto di approfondire alcuni aspetti relativi agli argomenti congressuali di quest’anno: le fratture articolari dell’anziano attivo e le fratture periprotesiche e perimpianto. «nella realtà quotidiana i nostri reparti e in nostri dipartimenti di urgenza sono popolati di pazienti della cosiddetta terza età che continuano a svolgere una vita attiva e hanno richieste funzionali ben al di sopra di quanto eravamo abituati a ritenere» ci ha detto De Biase.
Dottor De Biase, come cambia l’approccio dell’ortopedico in caso di fratture, quando il paziente è un anziano ancora attivo?
L’anziano attivo è caratterizzato da patologie che sono legate all’età, come una moderata osteoporosi, è spesso in terapia farmacologica e può aver già subito interventi nella sede della frattura, come protesi o mezzi di sintesi.
L’osteoporosi, quindi la qualità dell’osso, è sicuramente la prima problematica che dobbiamo affrontare quando trattiamo un paziente anziano. Siamo costretti a utilizzare mezzi di sintesi più stabili, come chiodi più lunghi che possano armare tutto il segmento per evitare fratture vicino ai mezzi di sintesi, placche con stabilità angolare per migliorare la tenuta delle viti ed evitare meccanismi di cedimento o di allentamento, a volte preferire la sostituzione protesica rispetto alla sintesi per permettere un recupero più precoce della funzione.
Le fratture articolari che ci troviamo ad affrontare nell’anziano, anche se attivo, sono caratterizzate da una maggiore frammentazione a parità di meccanismo traumatico, spesso incidenti su articolazioni che già prima del trauma mostravano un’artrosi di media gravità ancora ben tollerata dai pazienti.
Questi elementi, associati a patologie non specifiche dell’osso, come le patologie metaboliche, la terapia farmacologica, la qualità dei tessuti molli, sia di rivestimento che dei muscoli e dei tendini, fanno sì che la ripresa del paziente sia meno veloce delle aspettative di questi soggetti, che invece anelano a una ripresa della loro precedente funzione nel minor tempo possibile.
Elemento centrale del trattamento traumatologico delle fratture articolari è raggiungere una riduzione e una stabilità della sintesi che consentano una mobilizzazione e una ripresa del carico quanto più precoce possibile per ridurre al minimo la perdita di funzionalità.
Negli anziani attivi c’è più spazio per l’approccio chirurgico rispetto a quello conservativo? In quali condizioni?
Il messaggio che viene da un recente passato è quello di considerare l’anziano come un paziente che ha un rischio aumentato se sottoposto a intervento chirurgico. Se questo è sicuramente vero da un punto di vista generale, l’esperienza maturata negli anni con la frattura del femore prossimale ci ha insegnato che è necessario – quanto più per un anziano che voglia tornare a essere attivo ed indipendente – un trattamento chirurgico precoce, efficace e che permetta di evitare una immobilizzazione o una riduzione della funzionalità generale del soggetto. Il “non trattamento” spesso per l’anziano rappresenta un rischio simile se non maggiore per la prolungata immobilizzazione, la sarcopenia che ne deriva, spesso la depressione del tono dell’umore.
Pertanto una frattura di gamba, di caviglia o anche del bacino necessitano di un trattamento che potremmo chiamare “aggressivo”. Anche per le fratture dell’arto superiore, l’indirizzo che si sta delineando è quello di considerare le indicazioni al trattamento chirurgico maggiormente in relazione al grado di attività del soggetto anziano piuttosto che a un criterio puramente anagrafico. Questo atteggiamento ovviamente non può non considerare la diversa qualità dei tessuti che incontriamo e porta in molti casi a preferire trattamenti sostitutivi rispetto a trattamenti di riduzione e sintesi articolare, sempre con l’obiettivo di dare il maggior contributo possibile alla funzione di un anziano attivo.
Quali tipi di fratture sono più comuni nell’anziano attivo?
L’anziano attivo presenta in genere le fratture articolari che sono tipiche anche nei giovani, sebbene con una complessità maggiore a parità di energia traumatica. Pensiamo per esempio a tutte le fratture da incidente stradale a carico degli arti inferiori, come quelle del ginocchio e della gamba, della caviglia… le fratture da attività sciistica sono in forte aumento, così come quelle dovute a cadute da mezzi a due ruote come le bici, le e-bike e i motocicli. In questi pazienti stanno aumentando in maniera considerevole le fratture dell’arto superiore, ma contemporaneamente aumentano le richieste funzionali. È passata l’era dei nonni che giocavano a carte al circolo. Ora sono anziani che gestiscono i nipoti e le loro attività, vogliono ballare, viaggiare.
Quali condizioni non ortopediche possono aumentare il rischio di fratture?
Sicuramente l’osteoporosi gioca il ruolo maggiore nell’aumentare il rischio di fratture rendendo l’osso più fragile e più esposto. Anche patologie artrosiche iniziali, limitando la flessibilità articolare, possono portare a una maggiore esposizione al rischio di fratture per traumi minori. Patologie come il diabete e le vasculopatie, sebbene ben tollerate in condizioni stazionarie, possono aggravare molto sia il decorso postoperatorio sia la ripresa funzionale di un anziano attivo fino a prima del trauma. Un problema spesso misconosciuto è la sarcopenia, che mina la capacità del paziente di gestire movimenti imprevisti e riduce l’equilibrio. In generale possiamo affermare che in presenza di patologie mediche diverse è molto facile che l’equilibrio mantenuto fino a quel momento possa incrinarsi.

Da sinistra, Paolo Esopi, Andrea Micaglio e Marco Mugnaini
Qual è l’approccio più corretto per curare questa tipologia di pazienti?
Tutti gli anziani, attivi e non, necessitano di un adeguato supporto internistico durante la loro permanenza ospedaliera. Questa consulenza permette di ricalibrare la terapia precedente e gestire l’immediato. A volte ci si trova di fronte a pazienti che non hanno ancora affrontato alcune malattie croniche, come per esempio l’osteoporosi, in modo adeguato.
L’ortopedico non si deve limitare ad una buona chirurgia, ma completare il trattamento adeguando la terapia medica e introducendo farmaci indispensabili a evitare nuove fratture. Una volta sul territorio però è necessario che la medicina territoriale, e non solo il medico di medicina generale, facciano la loro parte per permettere un precoce recupero. Spesso i pazienti attivi a questa età sono molto legati ai diversi aspetti anche sociali della loro vita. Non è infrequente trovare elementi di depressione dell’umore conseguenti al trauma e alla paura di non poter recuperare la loro vita. Un supporto psicologico è spesso indispensabile per aiutare il percorso di questi soggetti.
Dottor De Biase, lei ha affermato che per alcuni tipi di fratture mancano ancora protocolli chiari e condivisi e che c’è ancora troppa eterogeneità nei trattamenti. Per quali traumi in particolare?
Le fratture di collo femore hanno rappresentato il leitmotiv dell’ortopedia per diversi anni, portando a una serie di modifiche organizzative e a una rinnovata spinta verso la standardizzazione e razionalizzazione degli interventi necessari. Questa spinta però ora va spostata anche in altri ambiti, che sebbene numericamente meno importanti stanno emergendo come nuove tematiche aperte: penso alle fratture dell’omero prossimale, al terzo posto come frequenza nell’anziano, alle fratture della caviglia e del piede, alle fratture del ginocchio e del gomito e alle fratture periprotesiche e perimpianto. In tutti questi casi è necessario mettere in atto protocolli condivisi in collaborazione con gli altri attori della salute come medici internisti e geriatri, infermieri e fisioterapisti, per migliorare il trattamento e il risultato della riduzione delle fratture articolari dell’anziano attivo.
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia
DE BIASE (OTODI): ACCANTO ALLA TRAUMATOLOGIADI BASE NE SERVE UNA AD ALTA SPECIALIZZAZIONE_La struttura del sistema sanitario nazionale permette una copertura adeguata di tutta la traumatologia. È però necessario che siano rispettate le dotazioni organiche degli ospedali e che l’utilizzo delle risorse sia gestito in maniera responsabile. «In questo campo c’è ancora molto da fare – ci ha detto Pietro De Biase della Traumatologia e Ortopedia Generale all’Azienda Careggi di Firenze –. Negli ultimi anni si sta invece assistendo a un progressivo impoverimento della sanità pubblica, dimenticando la sua importanza nel reagire a situazioni di crisi. La pandemia purtroppo ci ha lasciato anche questo insegnamento, di quanto una sanità pubblica sia fondamentale per la salute dei cittadini, salute che ricordo è un diritto costituzionale». E in questa sua battaglia per dotare la sanità pubblica di un servizio traumatologico efficiente, De Biase, che è anche presidente Otodi Toscana, è passato dalle parole ai fatti. A inizio 2023, infatti, ha lasciato la direzione della Traumatologia e Ortopedia Generale del Careggi perché in disaccordo con l’Azienda sulle modalità di organizzazione del reparto. Ora lavora come aiuto, sotto la direzione di un facente funzioni.
Per l’ortopedico toscano un altro messaggio importante che è stato impresso dalla pandemia è la corretta gestione delle risorse. «Dobbiamo capire che, accanto a una traumatologia “di base”, capillarmente diffusa sul territorio, è necessario ve ne sia una di alta specializzazione per coprire le fratture più a rischio e meno frequenti dove la competenza del chirurgo e dell’ospedale sono fondamentali per garantire buoni risultati. Altri stati, come il Regno Unito, si sono già organizzati in tal senso centralizzando alcune patologie traumatiche meno frequenti, ma molto impegnative per il sistema sanitario, come le fratture della pelvi, le fratture esposte e le infezioni ossee».
Ma l’efficienza del sistema passa anche per un’adeguata fase riabilitativa. «Una difficoltà da non dimenticare è la gestione riabilitativa del paziente – spiega il traumatologo –. Spesso non si fa differenza tra anziano fragile e anziano attivo, con il risultato che spesso questi pazienti vengono affidati più a caregiver familiari che a strutture adeguate, inficiando a volte il risultato ottenuto dalla chirurgia. Anche per questo motivo le necessità strutturali, di personale e la gestione delle risorse sono fondamentali».
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia