Nell’ambito del trattamento terapeutico, revisioni sistematiche e metanalisi offrono indicazioni su cosa fare e cosa non fare. Indicazioni che, però, sono precise e affidabili solo se derivano da dati di studi clinici controllati e randomizzati
La piramide dell’evidenza scientifica nei trattamenti terapeutici (escludendo quindi la diagnosi, che ha regole diverse) vede al suo apice le revisioni sistematiche e le metanalisi della letteratura scientifica. Di sicuro questi due approcci alle pubblicazioni in medicina permettono di estrapolare informazioni e prove affidabili sul trattamento terapeutico, da mettere in atto nei confronti di una precisa condizione patologica. Occorre tuttavia fare delle precisazioni, che devono condurci a una lettura critica degli studi scientifici: non tutto quello che passa in letteratura, infatti, è meritevole di essere tradotto in pratica clinica. Almeno non aprioristicamente.
Attenzione al vertice
La piramide dell’evidenza scientifica per il trattamento terapeutico, così come formulata nella sua versione originale e pura, considera come suo punto più alto le revisioni sistematiche e le metanalisi derivanti da un’attenta disamina di soli studi clinici controllati e randomizzati (Rct) e non di altri tipi di studi clinici.
Spesso invece ci imbattiamo in revisioni sitematiche e metanalisi basate su dati di studi clinici differenti, come gli studi caso-controllo o gli studi trasversali di prevalenza. Questi ultimi hanno certamente la loro importanza per analizzare particolari situazioni, ma non rappresentano gli studi “candidati ideali” per formulare, appunto, revisioni sistematiche e metanalisi riguardanti un trattamento terapeutico. Ciò che emerge da queste analisi, quindi, non può essere tradotto in pratica clinica in modo fideistico, perché non poggia su solide basi di prova scientifica.
Quando mancano prove
Come nella vita di tutti i giorni, però, la condizione ideale non è sempre a portata di mano. Anzi, capita spesso di consultare la letteratura scientifica in merito a un particolare trattamento, senza poter contare però su analisi importanti, basate su Rct. Ecco allora che ci si dovrà accontentare per forza di cose della migliore evidenza disponibile.
In questi casi la cosa più importante è la consapevolezza, da parte del clinico, del fatto che sta scendendo a compromessi. E per raggiungerla è necessario evitare di fermarsi al titolo della pubblicazione o al suo abstract: occorre andare a fondo nella lettura, nei materiali e metodi, per valutare la tipologia degli studi clinici che sono stati inclusi nella revisione o nella metanalisi.
Partendo quindi dal presupposto che l’evidenza più significativa nel trattamento di una patologia si ottiene mediante revisioni sistematiche e metanalisi di studi controllati e randomizzati, in assenza di questi anche revisioni sistematiche che includono altre tipologie di studi possono essere prese in considerazione come la migliore evidenza disponibile. Con la consapevolezza, però, di accedere a un livello di evidenza inferiore nella scala gerarchica. Di conseguenza il clinico dovrà assumere, soprattutto in questi casi, un atteggiamento critico e di analisi oggettiva delle conclusioni di questi studi, da rivalutare e integrare con le conoscenze individuali e la propria esperienza clinica.
Stefano Daniele