Quale sia l’impatto degli interventi di artroplastica sul rischio cardiovascolare è questione tuttora aperta e, anzi, sospesa tra considerazioni diametralmente opposte.
Da un lato i benefici apportati, nelle osteoartrosi avanzate, dalla soluzione chirurgica in termini di miglioramento della qualità di vita dei pazienti e ridotto uso di farmaci antinfiammatori depongono a favore di un potenziale vantaggio anche nei termini della loro salute cardiovascolare a lungo termine. Dall’altro i dati relativi all’incidenza di eventi cardiovascolari nei soggetti operati sono finora scarsi e persino contraddittori.
Dato il continuo e consistente aumento del numero di interventi di artroplastica di anca e di ginocchio praticati nel mondo (circa 1,8 milioni all’anno secondo stime recenti) trovare una risposta a tale quesito è essenziale e altresì urgente.
In quest’ottica, rappresentano un contributo importante i risultati di uno studio condotto presso l’Unità di Epidemiologia clinica e reumatologia della Boston University School of Medicine in collaborazione con la Divisione di reumatologia, allergologia e immunologia del Massachussetts General Hospital.
Risultati consistenti e per certi aspetti sconcertanti: dopo che l’unico studio di coorte con gruppo di controllo precedentemente realizzato (Ravi et al, 2013) aveva rilevato una diminuzione del rischio cardiovascolare in pazienti con osteoartrosi sottoposti in via elettiva ad artroplastica totale di anca o ginocchio e addirittura ipotizzato un effetto protettivo dell’intervento, il lavoro dei ricercatori di Boston arriva a conclusioni molto meno rassicuranti.
I dati da essi analizzati descrivono, al contrario, un aumento della probabilità di incorrere in un infarto miocardico nell’immediato periodo post-operatorio, con un rischio relativo che nelle artroplastiche di ginocchio è pari a 8,75 nel corso del primo mese e poi gradualmente decresce fino ad annullarsi (0,98) solo a sei mesi dall’intervento, mentre nelle artroplastiche di anca è pari a 4,33 nel primo mese e diventa non significativo (0,87) già dal secondo mese.
«Il motivo di un risultato tanto contrastante – spiegano Yuqing Zhang e i suoi collaboratori – è che lo studio precedente aveva escluso gli eventi cardiovascolari avvenuti a breve distanza dalla procedura chirurgica, operando quindi un bias di selezione del campione che, presumibilmente, ha fatto rientrare nell’analisi i soggetti meno suscettibili e fatto emergere di conseguenza una falsa correlazione inversa».
In accordo con i loro dati, una ricerca danese, estesa però a pazienti con diagnosi primarie diverse oltre a quella di osteoartrosi, aveva riscontrato un rischio moltiplicato di 25 volte per l’artroplastica di anca e di 31 volte per quella di ginocchio nelle prime due settimane dopo l’intervento e rimasto più alto che nei controlli per altre quattro settimane nelle artroplastiche di anca (Lalmohamed et al, 2012).
Pur con i limiti insiti negli studi retrospettivi, lo studio bostoniano rappresenta uno dei tanti casi in cui l’impianto metodologico può fare la differenza. E condurre a conclusioni anche molto diverse rispetto ad altre ricerche sull’argomento.
La popolazione in esso esaminata, reclutata dal database The Health Improvement Network del Regno Unito e quindi rappresentativa della popolazione generale britannica, ha annoverato soggetti di età maggiore ai 50 anni con diagnosi di osteoartrosi effettuate in un arco di 13 anni (da gennaio 2000 a dicembre 2012), di cui 13.849 sottoposti ad artroplastica totale di ginocchio e 6.063 sottoposti ad artroplastica totale di anca, che sono stati affiancati, con abbinamenti basati su indici di predisposizione, da altrettanti controlli. Onde tenere conto anche dei cambiamenti nell’approccio clinico rispetto alle variabili confondenti possibilmente occorsi nel lungo periodo coperto dal reclutamento dei casi, i controlli sono stati scelti all’interno di blocchi temporali di un anno.
Ulteriore elemento di forza del disegno di studio sono i dati sull’incidenza di eventi tromboembolici (embolia polmonare, trombosi venosa profonda) utilizzata come outcome di controllo positivo, i quali hanno confermato l’associazione ben nota di tale complicanza con gli interventi di artroplastica, con valori di rischio relativo che, pur decrescendo, sono rimasti significativi per l’intera durata dei periodi di follow-up (valore mediano 4,3 anni).
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia
1. Lu N, Misra D, Neogi T, Choi HK, Zhang Y. Total joint arthroplasty and the risk of myocardial infarction – A general population, propensity score-matched cohort study. Arthritis Rheumatol 2015 Aug 31.
2. Ravi B, Croxford R, Austin PC, Lipscombe L, Bierman AS, Harvey PJ, Hawker GA. The relation between total joint arthroplasty and risk for serious cardiovascular events in patients with moderate-severe osteoarthritis: propensity score matched landmark analysis. BMJ 2013 Oct 30;347:f6187.
3. Lalmohamed A, Vestergaard P, Klop C, Grove EL, de Boer A, Leufkens HG, van Staa TP, de Vries F. Timing of acute myocardial infarction in patients undergoing total hip or knee replacement: a nationwide cohort study. Arch Intern Med 2012 Sep 10;172(16):1229-35.