
Riccardo Cepparulo
Il rischio di questa via di accesso è quello di causare danni sia al tessuto muscolare che osseo. E per la curva di apprendimento, che dura più di un anno, non bastano i cadaverlab: «è importante l’affiancamento con chirurghi esperti» dice Cepparulo
Le tecniche mininvasive per la chirurgia d’anca sono ormai ampiamente utilizzate da anni. Durante il congresso “La mininvasità nella chirurgia d’anca: soluzioni a confronto” che si è svolto a Parma lo scorso 30 ottobre sotto la direzione del professor Aldo Guardoli, direttore di ortopedia dell’Ospedale Santa Maria Borgo Val di Taro (Parma), sono state confrontate le tecniche mininvasive per la chirurgia dell’anca con particolare riferimento alla bikini incision. Come dimostrato in letteratura, la via mininvasiva anteriore ha più di un vantaggio, entro tre mesi dall’intervento, ma il problema della gestione delle fratture è ancora un work in progress.
Ne abbiamo parlato con Riccardo Cepparulo, responsabile di chirurgia mininvasiva all’Ospedale Santa Maria Borgo Val di Taro.
Dottor Cepparulo, la letteratura degli ultimi 15 anni dimostra che il vantaggio principale della via mininvasiva anteriore, che a cascata determina molti degli altri benefici per il paziente, è l’assenza di lesioni muscolari
È più corretto dire che questa via non determina un danno effettivo sulla muscolatura grazie al fatto che ci permette di arrivare all’articolazione dell’anca spostando la muscolatura e passando in uno spazio anatomico tra il tensore della fascia lata e il sartorio. Questo permette di ridurre i rischi di calcificazioni muscolari del medio gluteo a differenza della via laterale, oltre al fatto che, nei giorni successivi all’intervento, abbiamo notato una riduzione nella produzione di enzimi di degradazione muscolare.
Il vero problema di questa via è la curva di apprendimento, perché è proprio durante questo periodo – che in letteratura dura da 50 a 100 impianti eseguiti con una certa continuità, cioè circa un anno e mezzo – che rischiamo di causare un danno muscolare al paziente.
Esiste un modo per ovviare a questo rischio durante la curva di apprendimento?
Per essere molto anatomici e poco traumatici sulla muscolatura, è importante riuscire ad avere una buona esposizione del femore per la preparazione all’impianto. È infatti in questa fase che, con le raspe e le trazioni che esercitiamo con le Hohmann, rischiamo di causare danni sia al tessuto muscolare che osseo. Con l’esperienza è più facile evitare questo rischio; esperienza che non si acquista solo con i cadaverlab, certamente importanti, ma che hanno dei limiti, come per esempio il fatto che mancano le tensioni muscolari e non ci sono le complicanze che si riscontrano nel paziente.
È solo affiancando chirurghi esperti che si capisce dove eseguire il release dosato della capsula per esporre il femore senza danneggiare la muscolatura ma anche per evitare fratture sia del trocantere che del calcar, oggi ancora un punto di debolezza di questa via se non effettuata correttamente.
Secondo lei, quali sono i principali problemi che si riscontrano nella fase di apprendimento?
I principali problemi sono legati al danno muscolare iatrogeno sia sul tensore della fascia lata sia sul medio-gluteo e piriforme: quando si va a performare la lisi capsulare latero-posteriore si rischia di lesionare il medio-gluteo ed eseguendo un release eccessivo, di disinserire il muscolo piriforme. Inoltre, se non si espone il femore, per la preparazione dello stelo nel modo corretto, con le Hohmann, si danneggia il tensore della fascia lata. Le lesioni del medio gluteo sono a rischio calcificazioni.
Succede anche che il paziente riferisca dolori anteriori: la letteratura è controversa sul dolore anteriore che può essere legato al malposizionamento del cotile, troppo retroverso, oppure all’utilizzo di testine di grandi diametri, da 36 mm in su poiché si crea un conflitto con il tendine del muscolo ileo-psoas oppure a sofferenza del retto femorale e adduttori se si fa una fisioterapia troppo spinta nel post-operatorio. Nel mio caso, l’esperienza fatta con chirurghi come E. De Witte, F. Loude e M. Leunig mi ha permesso di capire meglio come evitare questi rischi. Per questo, oltre al cadaverlab, è importante l’affiancamento con chirurghi esperti.
Dottor Cepparulo qual è, secondo lei, il segreto per non lesionare la muscolatura?
Il segreto è nel release capsulare e, all’inizio, nell’avere molta pazienza. La capsula deve essere scollata per esporre il femore; quindi, si esegue un release postero-mediale dosato nel punto in cui la capsula tagliata permette la visualizzazione del femore. Se il release viene eseguito in modo eccessivo si rischia di disinserire il piriforme e il tendine congiunto; per questo motivo il release deve essere dosato, eseguito con strumentario dedicato perché lo spazio in cui lavoriamo è ristretto, con leve dolci sulla muscolatura, con curvature sufficienti per non gravare troppo sul tensore della fascia lata.
In questo modo possiamo dare al paziente la mininvasività che si aspetta e che gli promettiamo.
Liana Zorzi
Giornalista Tabloid di Ortopedia

Relazione “Laterale vs Anteriore vs Posteriore: cosa dice la letteratura”, dal congresso “La mininvasità nella chirurgia d’anca: soluzioni a confronto”, Alberto Guardoli
PROTESI D’ANCA: LE TRE VIE D’ACCESSO A CONFRONTO_«Effettuando una review di oltre 50 articoli selezionati, valutati con criteri precisi quali pubblicazioni dal 2000 al 2015, motori di ricerca Cochrane-PubMed-Medline, numero di pazienti superiore a 200, Level of evidence I-II-III, abbiamo confrontato le tre vie d’accesso chirurgiche più utilizzate per l’intervento di artroprotesi d’anca. Il grafico riassume e confronta vantaggi e limiti delle tre vie d’accesso per gli 11 parametri più studiati – spiega Alberto Guardoli, autore della review -. La via anteriore diretta dà risultati migliori in merito al danno muscolare, alle perdite ematiche, al dolore post-operatorio (minore utilizzo di analgesici) e al confort del paziente. Di contro, tale via denota limiti importanti nella gestione di eventuali fratture intra-operatorie rispetto alle altre due vie d’accesso. È importante sottolineare – conclude l’esperto – che tutti gli articoli revisionati hanno evidenziato risultati paragonabili a tre mesi di distanza dall’intervento chirurgico indipendentemente dalla via d’accesso utilizzata».