«Il payback mette a rischio oltre 112mila posti di lavoro perché chiedere alle imprese 2,2 miliardi di euro entro gennaio significa farle chiudere con conseguenze drammatiche per l’occupazione, i territori e la qualità della salute del Paese. Il fallimento di molte imprese genererà un’interruzione delle forniture agli ospedali. Il rischio è che le strutture sanitarie restino sfornite di dispositivi medici indispensabili, oltre a venire a mancare quel supporto tecnico che permette a molte delle tecnologie installate negli ospedali di funzionare correttamente. Ma non solo, imponendo tetti di spesa così bassi la qualità dei dispositivi medici si abbasserà, l’innovazione tecnologica non entrerà più nelle strutture sanitarie e i medici si troveranno costretti a lavorare senza avere strumenti all’avanguardia, fondamentali per poter esercitare al meglio la professione. Oggi che è in arrivo una nuova ondata Covid e gli ospedali dovranno far fronte a una probabile emergenza, l’effetto sarà ancora più devastante». Lo ha scritto il presidente di Confindustria dispositivi medici, Massimiliano Boggetti, in una lettera indirizzata al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
La risposta del governo è arrivata con l’approvazione di un decreto legge, di imminente pubblicazione, che rinvia il termine di pagamento da parte delle aziende al 30 aprile 2023. Si prende tempo insomma, in attesa di identificare possibili soluzioni.
Intanto il 10 gennaio Confindustria è scesa in piazza a Roma per protestare pubblicamente, anche a sostegno di cittadini e pazienti, perché, dice Boggetti, «il payback è una norma ingiusta anche per loro, che potrebbero non trovare più le risposte di salute che oggi offre il servizio sanitario nazionale: chi potrà permetterselo continuerà a curarsi privatamente a spese proprie, chi non potrà subirà in prima persona i danni derivanti da questa legge nemica della sanità pubblica. Il payback non è uno strumento di controllo della spesa, è uno strumento nemico del Ssn».