L’osteoporosi che non ti aspetti: il rischio esiste anche in gravidanza e allattamento, in presenza di malattie croniche e di anomalie genetiche, ma anche in caso di disuso, disturbi del comportamento alimentare e di squilibrio energetico negli atleti
Se ormai molto si sa riguardo agli aspetti epidemiologici, all’eziologia, alla patogenesi, alle caratteristiche cliniche, alla storia naturale e alle modalità ottimali di gestione sul piano diagnostico e terapeutico dell’osteoporosi nella sua forma più classica, quella che colpisce le donne in epoca post-menopausale e gli uomini in età avanzata, meno bene inquadrate sono invece alcune varianti della malattia che si verificano in condizioni particolari e in fasce di popolazione diverse.
Alle cause inusuali di osteoporosi quest’anno la rivista Calcified Tissue International & Musculoskeletal Research ha dedicato un numero speciale (volume 110, issue 5, “Unusual causes of osteoporosis”), nel quale per ognuna delle forme considerate è riportata un’approfondita revisione degli studi ad oggi pubblicati. Proponiamo una sintesi dei dati di rilevanza clinica concernenti quelle più comuni.
Gravidanza e allattamento
La forma di osteoporosi atipica presumibilmente nota da più tempo è quella associata alla maternità, di cui nella letteratura medica si trovano descrizioni a partire dagli anni Quaranta del secolo scorso. Caratterizzata prevalentemente da fratture vertebrali, spesso multiple, che interessano gli ultimi elementi toracici e i primi lombari, viene spesso misconosciuta per il fatto che il dolore dorso-lombare è considerato un accompagnamento pressoché fisiologico della gravidanza.
Sebbene non se ne conosca l’esatta incidenza, è ritenuta una complicanza sporadica verosimilmente dovuta all’evoluzione patologica, in casi individuali, dei naturali meccanismi compensatori finalizzati ad assicurare un adeguato apporto di calcio al feto, che sono rappresentati nel corso della gestazione dall’aumento dell’assorbimento intestinale del minerale e durante l’allattamento, quando la richiesta è maggiore, dal rimaneggiamento osseo sbilanciato a favore dei fenomeni riassorbitivi stimolato dal rilascio di paratormone da parte del tessuto mammario e dalla caduta post-partum dei livelli estrogenici.
In condizioni normali tali cambiamenti del metabolismo osseo, che si associano dal punto di vista obiettivo a riduzione della densità minerale e assottigliamento corticale e trabecolare, sono generalmente transitori e reversibili, destinati a un recupero graduale a partire dall’inizio dello svezzamento, e privi di ripercussioni clinicamente rilevanti. All’origine della comparsa di fratture da fragilità, che di solito avviene nei primi sei mesi successivi al parto o al più presto nell’ultimo trimestre gestazionale, viene quindi riconosciuta come probabile, anche sulla base di quanto accertato in alcune casistiche, la concomitanza di altri fattori di rischio. Controversa, invece, rimane la questione dell’opportunità di sottoporre gravide e puerpere con osteoporosi a trattamento farmacologico in aggiunta all’eventuale supplementazione con calcio e vitamina D, in ragione sia della tendenza della condizione alla risoluzione spontanea, sia dell’esistenza di controindicazioni all’uso in gravidanza e durante l’allattamento per tutti i medicinali disponibili (bisfosfonati, denosumab, teriparatide, stronzio ranelato). Il contributo della rivista sul tema riporta comunque per ognuno di essi schemi di trattamento e risultati degli studi clinici nei quali sono stati impiegati.
Malattie croniche e anomalie genetiche
Capitolo variegato e con ampie prospettive di sviluppo futuro è quello che affronta il tema delle forme di osteoporosi a esordio precoce, nell’infanzia o in età giovanile. Gli autori ricordano innanzitutto come questa fascia di popolazione ponga difficoltà diagnostiche a partire dalla determinazione del deficit osseo data la dipendenza delle misurazioni della densità dall’accrescimento staturale, dalla maturità scheletrica e dalla fase puberale, tanto da rendere criterio necessario, a fianco dei valori mineralometrici, il riscontro anamnestico di fratture da fragilità.
Per quanto riguarda l’eziologia, le forme di osteoporosi precoce sono spesso secondarie a malattie croniche che impattano sul metabolismo osseo direttamente, per effetto dei processi fisiopatogenetici sottostanti, e indirettamente, in conseguenza di fenomeni associati quali squilibri endocrini, immobilizzazione, malnutrizione, oppure dei trattamenti farmacologici. La lista delle comorbidità potenzialmente responsabili di osteoporosi secondaria è lunga e spazia dai disordini metabolici alle malattie infiammatorie sistemiche, dai disturbi endocrini alle disfunzioni d’organo, dalla patologia neoplastica all’infezione da Hiv e altrettanto nutrita è quella delle cause iatrogene.
Su queste però, tutto sommato note, l’analisi non si sofferma, anche se ne include un elenco dettagliato, per dedicare invece spazio a un ambito che è per così dire un fervido work in progress, quello delle forme giovanili idiopatiche sottese da una determinante genetica. In aggiunta all’osteogenesi imperfetta, che rappresenta la più comune malattia ossea ereditaria caratterizzata da osteopenia e predisposizione alle fratture, sono state di recente individuate altre forme monogeniche legate a varianti di altri geni coinvolti nel mantenimento dell’omeostasi del tessuto osseo, tra cui mutazioni di alcuni geni implicati nella via di segnalazione intra e intercellulare WNT, del gene PLS3 localizzato sul cromosoma X, responsabile dell’organizzazione del citoscheletro actinico, e del gene SGMS2 regolatore del metabolismo degli sfingolipidi, nonché alcuni casi di probabile origine poligenica per coesistenza nello stesso individuo di più mutazioni. Data la rarità di queste forme e la scarsità di evidenze relative all’efficacia dei farmaci antiosteoporotici in questi pazienti, al momento sussistono solo generiche indicazioni a un approccio personalizzato, basato in primo luogo su misure conservative.
Disuso
Una condizione di osteomalacia con caratteristiche particolari è quella che si determina per disuso e assenza di carico. A seconda delle situazioni in cui ciò si verifica – traumi spinali, malattie neuromuscolari, immobilizzazione post-chirurgica o post-frattura, ictus, allettamento – può essere localizzata o generalizzata, con la peculiarità di essere in ogni caso di entità superiore a livello dei distretti normalmente sottoposti a maggior carico, vale a dire a livello degli arti inferiori rispetto a quelli superiori e allo scheletro assiale. La riduzione della massa ossea, che deriva dalla concomitanza dell’aumento dei processi riassorbitivi e della diminuzione di quelli rigenerativi e interessa sia il comparto corticale che quello trabecolare, inizia immediatamente dopo l’interruzione dell’attività fisica in carico e progredisce con una perdita dell’1-4% al mese a seconda delle condizioni sottostanti.
In accordo con i riscontri degli studi di fisiologia molecolare, le variazioni dei processi di riassorbimento e neoformazione associate al disuso sono riconducibili alla risposta del complesso sistema di rilevamento degli stimoli meccanici extracellulari di pertinenza degli osteociti e alla conseguente regolazione della sintesi di sclerostina da parte degli stessi. Non a caso proprio questa proteina, che esercita effetto inibitorio sull’attività di deposizione ossea, è considerata un potenziale target terapeutico per le forme da disuso, anche sulla scorta della recente approvazione dell’anticorpo monoclonale anti-sclerostina romosozumab per il trattamento dell’osteoporosi postmenopausale grave con alto rischio di frattura.
Disturbi alimentari
Nella maggior parte dei soggetti con disturbi del comportamento alimentare si riscontrano valori densitometrici compatibili con uno stato di osteoporosi (prevalente in quelli con forme di anoressia restrittiva), o di osteopenia (prevalente in quelli affetti da forme di disturbo da alimentazione incontrollata), e un rischio di incorrere in fratture da fragilità nel corso della vita fino a tre volte superiore a quello della popolazione generale.
Allo scompenso del turnover osseo si ritiene possano contribuire, con peso variabile a seconda dell’età di insorgenza, della durata e della gravità del disordine alimentare, le diverse alterazioni fisiologiche e metaboliche associate. Un ruolo fondamentale viene attribuito alla riduzione dell’indice di massa corporea con perdita non solo della componente grassa ma anche di quella magra – la cui ricostituzione risulta avere sul ripristino della densità ossea un effetto positivo superiore rispetto al recupero ponderale e di massa grassa – nonché al calo degli estrogeni indotto dalla soppressione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi. Ma altrettanta rilevanza clinica sembra possano avere le variazioni del rilascio di alcuni ormoni implicati nella modulazione dell’attività di osteoblasti e osteoclasti, variazioni che in diversi studi hanno mostrato una correlazione con i valori densitometrici indipendente da quelli relativi alla massa corporea: la diminuzione delle concentrazioni di leptina conseguente alla deplezione del tessuto adiposo; il decremento dei livelli del fattore di crescita insulino-simile IGF-1 secondario all’aumento di ormone della crescita; la riduzione della secrezione ipofisaria di ossitocina; gli alti livelli di cortisolo derivanti da una condizione di stress fisiologico cronico.
Sul piano terapeutico sono stati adottati diversi approcci sia conservativi che farmacologici, rispetto alla cui efficacia non sono ancora disponibili dati definitivi, soprattutto per quanto riguarda il rischio fratturativo. Fermo restando che il provvedimento considerato di prima linea è il ripristino della massa corporea e delle funzioni gonadiche, è opinione degli autori che i risultati riportati dagli studi finora condotti sui farmaci antiosteoporotici siano sempre da valutare in base all’età e al livello di maturazione scheletrica dei pazienti con disturbi del comportamento alimentare, poiché questi due fattori influenzano il tipo di alterazione del turnover osseo, con prevalente inibizione dei processi rigenerativi negli adolescenti e predominanza dei fenomeni riassorbitivi negli adulti.
Alcuni dei meccanismi fisiopatogenetici che influenzano negativamente il metabolismo osseo nei disordini del comportamento alimentare sono condivisi dalle condizioni di squilibrio energetico in cui possono incorrere i soggetti che svolgono un’attività fisica intensa. In questo ambito il caso meglio studiato è quello degli atleti, soprattutto di quelli che praticano sport di resistenza o sport che richiedono una costituzione corporea leggera. Secondo le stime uno stato di bassa disponibilità energetica, transitorio o cronico, causato da un apporto nutrizionale non commisurato ai consumi si riscontra in una percentuale consistente dei professionisti, che va dal 20 al 60% a seconda delle discipline. Similmente a quanto avviene nei disturbi del comportamento alimentare, le alterazioni ormonali associate contribuiscono a determinare a livello del tessuto osseo perdita di massa e alterazioni della microstruttura, che predispongono gli atleti innanzitutto all’insorgenza di fratture da stress e secondariamente allo sviluppo di osteoporosi, con aumentato rischio di fratture da fragilità nel corso della vita.
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia