Al congresso nazionale Sigascot di Bologna si farà il punto su due tecniche molto promettenti come il trapianto di menisco, che si può eseguire in artroscopia ed è indicato soprattutto nei pazienti giovani, e la subcondroplastica, con iniezioni mininvasive di fosfato calcico nei quadri di edema osseo
Il settimo congresso nazionale della Società italiana del ginocchio, artroscopia, sport, cartilagine e tecnologie ortopediche (Sigascot) si terrà da mercoledì 3 a venerdì 5 ottobre al Palazzo dei Congressi di Bologna. A presiedere l’evento saranno Pietro Randelli, professore ordinario presso l’Università di Milano e direttore della prima divisione di ortopedia del Gaetano Pini-Cto, e Stefano Zaffagnini, professore ordinario all’Università di Bologna e direttore di Clinica ortopedica all’Istituto Ortopedico Rizzoli. In occasione del congresso, Pietro Randelli concluderà il suo mandato dopo due anni alla presidenza della società scientifica.
Per la natura della società scientifica, il congresso non sarà focalizzato su argomenti specifici ma farà una panoramica delle più importanti e attuali esperienze cliniche in ortopedia. «In qualità di presidente del comitato scientifico del congresso – ci ha detto Stefano Zaffagnini – insieme ai miei due collaboratori, il professor Mario Ronga e il dottor Vincenzo Madonna, ho cercato di coprire quelli che sono i topic più caldi nel panorama attuale della chirurgia del ginocchio e della chirurgia artroscopica e protesica. Durante le tre giornate avremo numerosi relatori di fama mondiale e internazionale che si confronteranno con noi riguardo alle ultime tecniche di quel che riguarda la chirurgia del ginocchio nello sportivo, la chirurgia protesica di ginocchio e la chirurgia della spalla».
Con Randelli e Zaffagnini abbiamo fatto il punto su due procedure di frontiera in ortopedia, che promettono davvero molto per il futuro e sulle quali si sta concentrando la ricerca scientifica e clinica: la subcondroplastica, che attraverso l’iniezione di fosfato calcico in prossimità dell’edema osseo promette di migliorare sintomi e funzionalità, ritardando la chirurgia protesica, e il trapianto eterologo di menisco, in grado di allungare di dieci anni la vita funzionale del ginocchio.
TRAPIANTO DI MENISCO ALLUNGA LA VITA DEL GINOCCHIO DI DIECI ANNI
Professor Zaffagnini, come avviene oggi il trapianto meniscale?
Al momento attuale si riesce con nuove metodologie a svolgere l’intervento totalmente in artroscopia utilizzando dei sistemi di sutura cosiddetti all inside, che permettono la fissazione alla capsula del trapianto, mentre per le due inserzioni anteriore e posteriore si eseguono dei tunnel in cui vengono fatti passare dei fili di sutura che vengono poi fissati alla tibia. La possibilità di svolgere l’intervento completamente in artroscopia riduce la morbidità per il paziente, che può riprendere le attività quotidiane molto più velocemente.
Cosa cambia quando l’asportazione non è completa?
Si può sostituire una porzione di tessuto meniscale con protesi costituite da connettivo di bovino o di un materiale sintetico, quale il poliuretano. Queste metodiche vengono eseguite completamente in artroscopia e sempre grazie alla fissazione della protesi mediante un sistema di sutura all inside. Queste protesi sostituiscono il tessuto meniscale e vengono lentamente riabitate dalle cellule del ricevente fino a costituire una vera e propria superficie meniscale. Tutto ciò consente un miglioramento clinico e funzionale e allunga la vita articolare per almeno dieci anni.
Quali sono le indicazioni e che risultati si possono ottenere con il trapianto di menisco?
I pazienti ideali sono soggetti giovani che abbiano subito precedentemente una rimozione quasi completa del tessuto meniscale e che soffrono quindi di sintomi legati appunto all’assenza del menisco. In questi casi il trapianto di menisco è in grado di salvare per oltre dieci anni la vita del ginocchio permettendo a questi pazienti giovani una ripresa della vita quotidiana, ma soprattutto un’attività sportiva anche agonistica.
Più l’età avanza, e quindi l’articolazione risulta essere già degenerata al momento dell’intervento di trapianto, più il risultato clinico e la soddisfazione del paziente diminuiranno, permettendogli comunque di avere una vita di relazione normale e migliorando la funzionalità rispetto allo stato preoperatorio.
Quanto tempo passa prima di ottenere un completo recupero con la ripresa dell’attività quotidiana e sportiva e in che modo si agisce per favorire questo recupero?
Il periodo di recupero dopo il trapianto di menisco prevede un primo periodo di immobilizzazione per favorire l’attecchimento e la fusione tra i tessuti del ricevente e del donatore. Questo periodo di solito è di circa 15 giorni; da questa fase di immobilizzazione inizia un periodo di recupero dell’articolazione, senza ricercare la massima flessione del ginocchio ma cercando di ottenere la massima distensione dello stesso. È importante recuperare un tono muscolare accettabile, in grado di permettere l’inizio del carico del ginocchio operato, che avviene parzialmente dopo 30 giorni dall’intervento. Il carico completo è previsto non prima dei 45 giorni.
Dopo la ripresa del carico completo, inizia un periodo di recupero sempre maggiore di articolarità e carico muscolare, evitando però di creare eccessivi stress sul trapianto. Quindi sarebbe meglio eseguire attività fisica di moderata entità quali bicicletta e nuoto e questo periodo può durare all’incirca tre mesi.
Sarebbe utile permettere ai pazienti che hanno richiesto funzionalità maggiori o di tipo sportivo di poter tornare all’attività sportiva non prima di otto mesi dall’intervento di reimpianto.
Quali sono le difficoltà nel trovare un menisco adatto per il trapianto?
Il protocollo riabilitativo deve essere il più personalizzato possibile ed è dettato dall’età del paziente, dal grado di artrosi del ginocchio e dalle richieste funzionali di ciascun paziente. Il trapianto può consentire una ripresa più veloce se il paziente è giovane, arrivando a una attività fisica quasi nomale in tempi brevi.
È ovvio che questi risultati sono attendibili solo nel caso si utilizzino dei trapianti che abbiano delle caratteristiche ideali, sia per quanto riguarda il sizing, sia per quanto riguarda le caratteristiche biomeccaniche. I nostri menischi provengono dalla banca dell’osso dell’Istituto Ortopedico Rizzoli, che utilizza materiale fresh frozen non irradiato. L’età del donatore non dovrebbe essere maggiore di 55 anni. Inoltre sono utilizzabili dei sistemi di matching delle misure tra donatore e ricevente che si basano sulle radiografie a ingrandimento zero dell’emipiatto del donatore e delle misure antropometriche di ricevente e donatore.
Quali sono le prospettive della ricerca nel trapianto di menisco e nella sua ricostruzione?
Le ricerche si concentreranno nei prossimi anni nel cercare di migliorare i tipi di sutura da utilizzare per fissare il menisco e nel migliorare l’inglobazione da parte del ricevente del tessuto omologo mediante impiego di fattori di crescita o cellule staminali che possono essere associate all’intervento di trapianto meniscale.
Un altro obiettivo che ci si pone è di ridurre la extrusion meniscale e potrà essere raggiunto impiegando nuove metodiche di fissazione e nuovi modi di valutazione in carico dei nostri trapianti.
Al congresso si discuterà dell’utilizzo di bone plug nel trapianto di menisco: quali sono i pro e i contro?
Il trapianto mediante utilizzo di bone plug è una tecnica molto più difficile da un punto di vista tecnico, che presenta come unico pro la possibilità di avere un’inserzione ossea dell’impianto e quindi una miglior riproduciblità delle caratteristiche biomeccaniche di un menisco normale. Allo stesso tempo, però, avere dei punti di fissazione così rigidi e fissi espone l’impianto a essere assolutamente preciso come misura e soprattutto espone il tessuto a eccessivi stress o rilassamenti legati a dove vengono posizionati i punti di sutura durante l’intervento, con rischio di rottura dell’innesto e la conseguenza di perdere quel vantaggio teorico di ripristino migliore delle caratteristiche meccaniche del menisco.
Sono frequenti i trapianti di menisco nelle revisioni legamentose complesse?
Il trapianto di menisco viene sempre più associato ad alcuni interventi chirurgici che si rendono necessari per curare dei pazienti che hanno dei quadri di pre-artrosi e grave deficit funzionale in età giovanile, dai 30 ai 40 anni, e che abbiano però delle richieste funzionali e sportive adatte alla loro età.
Quindi ci troviamo spesso di fronte alla necessità di dover eseguire lesioni legamentose, revisioni di crociato, osteotomie di ginocchio in associazione ai trapianti meniscali nel tentativo di ridare al paziente un ginocchio che gli permetta di eseguire un’attività fisica adeguata alla sua età, senza dover per forza sostituire l’articolazione con una protesi.
In questi casi si fanno interventi complessi per cercare di ottenere una sostituzione biologico-articolare che consenta di migliorare la vita di tutti i giorni e l’attività sportiva.
SUBCONDROPLASTICA PER L’EDEMA OSSEO: INTERVENTO MININVASIVO CHE RITARDA LA PROTESI
Professor Randelli, in cosa consiste la subcondroplastica e qual è il suo obiettivo?
La subcondroplastica è un intervento chirurgico a cui si ricorre per trattare i quadri di edema osseo, in generale correlati a quadri artrosici o di sovraccarico dell’articolazione femoro-tibiale del ginocchio. La procedura consiste nell’iniezione di fosfato calcico a livello dell’osso subcondrale, in prossimità delle zone dove è localizzato l’edema osseo.
La sostanza iniettata, l’unica attualmente sul mercato, è commercializzata da un’azienda multinazionale, che ha messo a punto la procedura.
L’intervento chirurgico viene effettuato in anestesia loco-regionale e viene eseguito su pazienti sintomatici che soffrono di dolore articolare di origine ossea. Insieme a questo intervento, normalmente si fa anche un’artroscopia in cui si va eventualmente a regolarizzare la lesione meniscale che è la causa dell’insufficiente potere di ammortizzazione del menisco, struttura responsabile della trasmissione di carichi elevati a livello dell’osso subcondrale.
La subcondroplastica è un ulteriore tassello nella cura della patologia del ginocchio di tipo degenerativo, che va a inserirsi tra la terapia conservativa tout court, come le infiltrazioni di acido ialuronico, gli integratori ad assunzione orale, ad esempio di glucosamina, e l’intervento di protesi. Questo intervento rappresenta una via di mezzo e ha il vantaggio di essere una procedura che, come dicono gli inglesi, doesn’t burn any bridge: ossia, se non dovesse funzionare, si può sempre fare una protesi senza problemi.
Quanto è diffusa e conosciuta la subcondroplastica?
In America settentrionale sono già arrivati a trattare circa quattromila pazienti.
In Europa la procedura è di introduzione più recente: in Gran Bretagna sono stati fatti i primi due interventi europei, e in Italia il terzo nell’aprile del 2017.
Con la sua équipe del Gaetano Pini di Milano lei è stato il primo a eseguire questo tipo di intervento nel nostro Paese. Che risultati ha ottenuto?
Ne ho riferito a Glasgow, al congresso della società Esska, la Società europea di traumatologia sportiva, artroscopia e chirurgia del ginocchio che ha dedicato un simposio alla subcondroplastica.
I risultati sono stati entusiasmanti e stiamo continuando con questo tipo di procedura. Nella prima serie di dieci pazienti, nove hanno avuto un risultato ottimale con la scomparsa dei sintomi e solo una paziente ha dovuto invece proseguire con la chirurgia di sostituzione protesica. Si tratta infatti di una procedura generalmente utilizzata in pazienti che altrimenti sarebbero sottoposti a protesi di ginocchio, ma il cui dolore è legato all’edema osseo e non realmente a una patologia artrosica.
Quali sono dunque i vantaggi che consigliano l’intervento di subcondroplastica?
È una procedura molto meno invasiva rispetto a un intervento di protesizzazione di ginocchio, perché ci si limita a inserire nell’osso un piccolo trocar dal diametro di 11 gauge, quindi poco più di due millimetri. Ma è importante rilevare che con la subcondroplastica si trattano pazienti che altrimenti sarebbero sottoposti a chirurgia protesica e anche il solo fatto di dilazionare questo intervento di cinque o dieci anni sarebbe un ottimo risultato.
Il recupero della deambulazione avviene molto rapidamente. Due giorni dopo l’intervento i pazienti riportano una notevolissima riduzione del dolore e riprendono a camminare.
I risultati sono già stati attestati da studi scientifici, che riportano miglioramenti funzionali e una riduzione della sintomatologia dolorosa a breve termine; a lungo termine non c’è ancora un’overview, anche perché è una procedura di applicazione piuttosto recente.
Ci sono controindicazioni a questo tipo di intervento o complicanze frequenti?
Controindicazioni specifiche alla condroplastica non ce ne sono; ovviamente il paziente potrebbe avere controindicazioni generiche agli interventi chirurgici, per esempio se è scoagulato oppure è un cardiopatico grave.
La sola complicanza riscontrata con una certa frequenza è quella del leakage di una parte della sostanza, che esce dall’osso e si riversa dentro l’articolazione; ma è un’evenienza rilevata interoperatoriamente e di facile e immediata risoluzione con un lavaggio della sostanza durante l’artroscopia che è seguente alla subcondroplastica.
L’unico vero rischio è che la riduzione dei sintomi sia insufficiente e che quindi il paziente debba procedere verso l’intervento di protesi, al quale sarebbe stato comunque destinato.
Oltre agli approcci non chirurgici, ci sono altre terapie possibili per questi pazienti?
Attualmente un’altra terapia possibile per questo genere di problematiche è endovenosa, con neridronato, una molecola appartenente alla classe dei bisfosfonati. La terapia viene eseguita in regime di day hospital e prevede quattro iniezioni endovenose in due settimane ma, a differenza della subcondroplastica, non ha un’efficacia nell’immediato e quindi il paziente rimane sintomatico più a lungo, bisogna aspettare che il metabolismo osseo si modifichi e quindi possono passare altri due o tre mesi in cui il paziente continua a sentire dolore. Inoltre si possono avere effetti collaterali con sintomi parainfluenzali molto pesanti: in molti casi è necessario ricorrere ad alte dosi di cortisone perché il paziente riesca a superarli.
Non abbiamo dei dati certi di confronto tra le due opzioni in termini di efficacia, ma gli inconvenienti appena citati certamente costituiscono un limite delle iniezioni di acido neridronico.
È possibile pensare di applicare la stessa tecnica ad altre articolazioni?
Le altre possibilità sono di effettuare la subcondroplastica a livello dell’astragalo della caviglia. In Nordamerica è stato approvato anche l’utilizzo a livello dell’anca, mentre in Europa deve ancora avere una marcatura CE.
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia
PRESIDENZA SIGASCOT, IL BILANCIO DI RANDELLI: «ANNI INTENSI E OBIETTIVI RAGGIUNTI»_Con il settimo congresso nazionale, giunge a conclusione il mandato di Pietro Randelli alla presidenza della Sigascot. Nella sua prima lettera da presidente, Randelli aveva esordito affermando che avrebbe dedicato ogni sforzo affinché la società scientifica avesse un sempre maggior ruolo sia a livello nazionale, sia internazionale. «Sono orgoglioso di affermare che tutti gli obiettivi prefissati all’inizio del mandato sono stati raggiunti – ci ha detto Randelli alla vigilia del congresso – e questo anche grazie al prezioso contributo di ogni singolo membro del comitato». E cita i legami sempre più forti stretti con le società scientifiche internazionali e con la casa madre, la Società italiana di ortopedia e traumatologia (Siot). «I due anni di presidenza sono stati intensi e ricchi di impegni – ha concluso Randelli –. Se da un lato mi hanno procurato tante soddisfazioni, dall’altro sono stati molto difficili a causa dei cambiamenti dei rapporti tra Assobiomedica, Siot e società scientifiche affiliate, ma la società è progredita ulteriormente sotto tutti gli aspetti: scientifico, educativo ed economico».