L’espansione della chirurgia protesica elettiva per patologia articolare degenerativa e il suo progressivo allargamento alle età più avanzate rendono imperativo farne un’attenta valutazione in termini di indicazioni e di rapporto costi-benefici nella popolazione anziana, in considerazione sia dell’alta frequenza di comorbidità sia dell’aumentato rischio di complicanze postoperatorie che gravano su questi pazienti.
Significativo, in quest’ottica, è il lavoro condotto da Michele Fang e collaboratori presso l’università dello Iowa, Stati Uniti, che rispetto agli interventi di artroplastica in età avanzata consente considerazioni favorevoli con riferimento agli esiti chirurgici e al recupero funzionale ma suggerisce al contempo un approccio ponderato con riferimento in primo luogo alle possibili implicazioni negative per i pazienti e secondariamente all’allocazione delle risorse economiche.
Lo studio, di tipo retrospettivo, ha riguardato un campione di quasi 1.800 pazienti sottoposti ad artroplastica primaria totale di anca (il 48,6%) o di ginocchio (il 51,4%) in via elettiva tra il 2010 e il 2013, che è stato reclutato a partire dai database del University of Iowa Orthopedics Joint Replacement Registry e del University HealthSystem Consortium.
In cinque sottogruppi suddivisi per fasce di età (età minore o uguale a 50 anni, 51-60 anni, 61-70 anni, 71-80 anni e maggiori di 80 anni; rappresentate rispettivamente dal 17%, dal 34%, dal 29,2%, dal 15,3% e dal 4,5% del campione) i ricercatori hanno comparato una serie di outcome relativi ad alcuni aspetti della gestione post-chirurgica, alle eventuali complicanze e ai benefici ottenuti dall’intervento.
In particolare, tra i dati presenti nei registri per ogni paziente hanno rilevato: durata del ricovero, disposizioni alla dimissione (al domicilio, al domicilio con Adi, trasferimento in struttura riabilitativa, trasferimento in struttura sanitario-assistenziale, trasferimento in altra struttura per acuti), mortalità, complicanze durante il ricovero (infarto miocardico, trombosi venosa profonda, infezioni del sito chirurgico, eventi settici, eventi emorragici), permanenza in unità di terapia intensiva, successiva ospedalizzazione entro 30 giorni dalla dimissione (per qualsiasi causa), variazioni della qualità di vita (valutata con questionario SF-36 in fase pre-operatoria e poi a 6 e a 12 mesi dall’intervento), costi sanitari associati al ricovero.
Nel campione erano equamente presenti entrambi i sessi (al 56,1% le donne), quale indicazione all’intervento risultava predominante la diagnosi di osteoartrosi (per oltre il 90% dei casi in tutte le fasce di età over-50 e per il 64,9% dei casi tra i più giovani) e in termini di comorbidità si riscontravano scompenso cardiaco congestizio e insufficienza renale con indici di prevalenza crescenti con l’età e invece diabete e obesità con indici di prevalenza decisamente più alti nel range dei 51-70 anni.
Nel complesso i dati emersi dallo studio sono rassicuranti per quanto riguarda l’obiettivo primario della chirurgia protesica, in quanto in tutte le fasce di età si è registrato un miglioramento della qualità di vita, attraverso la progressione dei punteggi SF-36 rispetto ai valori pre-operatori nelle varie dimensioni della salute fisica e mentale esplorate dal questionario. Un risultato peculiare in questo senso è quello rilevato nel gruppo dei pazienti ultraottantenni, che se da un lato hanno ottenuto aumenti proporzionalmente inferiori a quelli dei più giovani nei punteggi relativi alla salute fisica, dall’altro hanno però conseguito gli incrementi più alti in quelli relativi alla salute mentale.
Più critici in questa fascia di età si sono invece rivelati gli aspetti gestionali e i rischi connessi all’intervento: la durata dell’ospedalizzazione, la frequenza di complicanze post-operatorie, i giorni di degenza in unità di terapia intensiva aumentano progressivamente con l’età e raggiungono i valori massimi nei soggetti di oltre 80 anni; per i quali, inoltre, diminuisce in modo netto (anche rispetto alla decade precedente) la probabilità di rientrare al domicilio al termine del ricovero (36,7% vs 76,8% dei casi) mentre cresce drasticamente la necessità di trasferimento in struttura sanitario-assistenziale (58,2% vs 17,9% dei casi).
Anche gli indici di mortalità e i tassi di riospedalizzazione entro 30 giorni dalla dimissione hanno subito aumenti età-correlati, ma non statisticamente significativi.
Con riguardo agli aspetti economici, sono risultati paragonabili attraverso le varie fasce di età i costi sanitari diretti totali, per i quali i diversi gruppi presumibilmente si compensano rispetto alla ripartizione tra le varie voci di spesa (tecnologie e materiali protesici, durata del ricovero, gestione clinica). Peraltro, i più rilevanti nei pazienti più anziani sono con ogni probabilità i costi successivi alla dimissione, connessi con gli eventuali interventi di assistenza domiciliare, gli ulteriori ricoveri o la degenza in strutture residenziali.
«Il dato più importante emerso dal nostro lavoro è che un’artroplastica elettiva può sortire un effetto positivo sulla qualità di vita anche in età molto avanzata, laddove altri studi ne hanno dimostrato il netto peggioramento quando l’intervento viene evitato» concludono gli autori. «La sua pianificazione nei soggetti più anziani dovrebbe però preventivare una gestione più attenta a comorbidità e complicanze nell’immediato post-operatorio e l’opportunità di destinare maggiori risorse alla successiva fase riabilitativa».
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia