
Cesare Giuseppe Cerri è professore ordinario senior di Medicina Riabilitativa all’Università Milano Bicocca. I suoi interessi di ricerca si estendono fino ai problemi etici ed epistemologici legati alla riabilitazione
Per superare le criticità organizzative dei team riabilitativi ospedalieri è necessario rivalutare le modalità con cui vengono allestiti, adottando un criterio funzionale e superando le logiche di accreditamento del Sistema sanitario nazionale
Molta della letteratura in ambito riabilitativo per l’attività dei team considera solamente il problema della professionalità, ovvero quanti professionisti e di che tipo debbano far parte del team riabilitativo, senza però occuparsi, se non di sfuggita, di come un team si organizza, di quali siano le strategie ottimali per raggiungere e, prima ancora, per definire l’obiettivo. In queste trattazioni inoltre si prescinde dalla situazione organizzativa delle strutture in cui il team si dovrebbe costituire, che è invece una variabile importante.
La formazione del team
Negli anni Conquanta Tuckman descrisse la sequenza di fasi dello sviluppo di ogni team: dopo la formazione del gruppo si assiste a un periodo di crisi (tempesta) in cui i membri cercano di sviluppare una metodologia di comunicazione e collaborazione, affermando anche la propria personalità e mediando i vari interessi in gioco. Da questa fase si esce costruendo una metodologia di lavoro con norme di comportamento definite o sottintese (normazione). Infine si entra nella fase performante, in cui si affinano le azioni per raggiungere efficientemente l’obiettivo. Questa sequenza non è univoca: le sue fasi si possono ripetere all’arrivo di nuovi membri, alla comparsa di difficoltà inattese e all’emergere di fattori personali.
Belbin negli anni Ottanta ha proposto una teoria sui ruoli che i singoli partecipanti vengono ad assumere nell’ambito del team, a prescindere dallo scopo dello stesso, riscontrando la costante presenza in ogni gruppo di lavoro di nove stereotipi comportamentali: coordinatore, pianta, ricercatore di risorse, valutatore-monitore, membro del team, modellatore, completatore-rifinitore, implementatore e specialista. Ogni membro del team può ricoprire nel corso del tempo ruoli diversi e non è detto che in un dato momento siano presenti nel team tutti i ruoli. Tuttavia, la quasi totalità dei testi italiani, presenta un team formato solamente da un coordinatore-direttore e da una serie di specialisti.
Le criticità dei team riabilitativi ospedalieri
I team in ambito riabilitativo possono essere costituiti da professionisti sanitari con competenze specialistiche diversificate e da altri professionisti non di ambito sanitario stretto (ad esempio assistenti sociali, bioingegneri o dietisti). Taluni hanno proposto che esista un team con componenti fissi, cui si aggiungano altri variabili in relazione alle esigenze di interventi specifici.
Inoltre alcuni professionisti spesso sono soggetti a rotazioni: in ambito ospedaliero abbiamo infatti gli infermieri che lavorano su turni e i fisioterapisti possono avere rotazioni fra reparti di durata inferiore alla degenza media, inoltre alcuni professionisti per soddisfare l’accreditamento sono sempre presenti in reparto, mentre altri lo sono solo in situazioni particolari (ad esempio neuropsicologi, terapisti occupazionali o logopedisti) in relazione alla strutturazione del presidio riabilitativo.
Le persone facenti parti del team hanno superiori gerarchici diversi tra di loro. Dal punto di vista dell’istituzione i componenti del team non costituiscono una piramide con un unico vertice: ciò comporta un’orario di lavoro diverso fra i componenti del team e la possibilità che un componente venga meno o sia sostituito a prescindere dalla programmazione dell’attività del team. Le attività di alcuni membri del team sono attività trasversali e non è infrequente che la stessa persona faccia parte di più team. Infine lo scopo del team può essere visto come suddiviso da due richieste: una di natura clinica legata anche alla soddisfazione del paziente-cliente, l’altra collegata al mantenimento della disponibilità di risorse e agli obiettivi economici dell’azienda sanitaria.
Tutti gli esperti di riabilitazione concordano col ritenere quella riabilitativa un’attività che richiede l’intervento di più professionisti e che può raggiungere la massima efficacia ed efficienza solo se svolta con una metodologia di teamwork.
Curiosamente la strutturazione dei reparti di riabilitazione, e più in generale dei presidi riabilitativi, ricalca quella dei presidi per acuti, il cui modello organizzativo è sostanzialmente basato su una taylorizzazione delle attività e conseguentemente non sono previsti momenti di confronto fra i membri del team. In particolare i criteri di accreditamento specificano, sia in termini qualitativi che quantitativi, quali debbano essere i professionisti necessariamente presenti e quanti minuti di attività siano dedicati alla singola persona, creando un vincolo esterno di non poco conto. Questa situazione richiede fantasia organizzativa e una particolare attenzione ai rapporti del team con il resto della struttura istituzionale.
Come allestire un team
La quasi totalità degli scritti sul team riabilitativo inseriscono la persona assistita, e talvolta i familiari, come primi componenti del team, aggiungendo poi le figure professionali dello specialista in medicina riabilitativa, del fisioterapista e dell’infermiere; con minore frequenza vengono inserite altre figure professionali, ad esempio l’operatore tecnico dell’assistenza, lo psicologo e l’assistente sociale, come figure che possono in casi particolari far parte del team. Sono infine citati altri professionisti quali il logopedista, il tecnico ortopedico e l’educatore professionale.
Questa classificazione ha il vantaggio di evidenziare le risorse disponibili in relazione alle normative di accreditamento del Servizio sanitario nazionale, ma ha lo svantaggio di non essere adeguata alla situazione particolare: “one size fits all” è uno slogan efficace dal punto di vista del ricavo del venditore, ma non è detto lo sia dal punto di vista della soddisfazione del cliente.
Meglio adottare allora un criterio funzionale per individuare quali siano le figure richieste per il team riabilitativo in funzione degli obiettivi da raggiungere. Il punto di partenza è la persona assistita inserita in una trama di rapporti più o meno ricca e più o meno soddisfacente. Abbiamo così, accanto al primo componente del team (persona assistita), l’indicazione di altri possibili membri del team: i familiari e l’assistente sociale sul versante rapporti sociali e lo psicologo sul versante soddisfazione e rapporti. Sottolineo il termine possibili: non è detto che in tutte le situazioni debbano essere coinvolte queste specifiche professionalità.
Contemporaneamente occorre una valutazione delle necessità della persona assistita e degli obiettivi raggiungibili dall’intervento riabilitativo, ergo entrerà a far parte del team lo specialista in medicina riabilitativa affiancato dal fisioterapista, dall’infermiere (nel caso di ospedalizzazione) e da eventuali altri professionisti in relazione ai bisogni motori, assistenziali, cognitivi, alimentari e così via.
In relazione alla valutazione del potenziale riabilitativo, dei problemi rilevati e dell’obiettivo riabilitativo concordato con la persona assistita, lo specialista in medicina riabilitativa valuta, anche in relazione alle risorse disponibili, la necessità dell’inserimento nel team di altri agenti. Va ribadito che solo la persona assistita e lo specialista in medicina fisica, al contrario degli altri professionisti, sono sempre parte del team, che potrebbe ridursi a loro due, essere integrato da altri professionisti o anche da agenti non umani (ad esempio in un possibile recupero funzionale strumentale con utilizzo di apparecchiature robotiche con intelligenza artificiale).
La fase iniziale di formazione del team è particolarmente critica per due passaggi fondamentali: la negoziazione con le strutture di allocazione del personale dei membri che faranno parte del team e del tempo loro concesso ed il coinvolgimento della persona e dei familiari.
Un interessante metodo per verificare se effettivamente la persona assistita fa parte del team è valutare quale dei nove componenti descritti da Belbin la descrive meglio. Altro utile esercizio può essere abbinare ai componenti del team le caratteristiche del modello: se la maggior parte o tutti ricadono nella figura dello specialista, occorre domandarsi se effettivamente si stia costruendo un team.
La leadership
Il successo del leader nel rendere efficace il lavoro del team risiede nella capacità di definire il percorso e organizzare i comportamenti in modo da massimizzare il progresso verso l’obiettivo. Nel contesto riabilitativo abbiamo a che fare con un modello di team cosiddetto gerarchico, con una leadership definita in base al ruolo.
Il leader ha la responsabilità di diagnosticare ogni problema che potrebbe impedire o ritardare il raggiungimento dell’obiettivo, generando e applicando le soluzioni appropriate. Dal momento che spesso le difficoltà originano dall’ambiente, è fondamentale che il leader sia sintonizzato su quanto accade fuori dal team. Le necessità della leadership si rende evidente quando si presentino problemi con multiple soluzioni possibili o soluzioni indispensabili che richiedono pianificazione accurata per implementarle in domini sociali complessi. Esempio del primo caso può essere fornire la soluzione a un problema di mobilità scegliendo tra vari ausili e strategie compensative o sostitutive; esempio del secondo caso può essere la pianificazione per il ritorno a casa o l’istituzionalizzazione di una persona con gravi disabilità residue e pessime condizioni economiche.
In questo contesto quattro sono gli aspetti comportamentali che il leader deve padroneggiare: l’abilità di strutturare e ricercare l’informazione, l’uso della stessa per risolvere i problemi, la capacità di organizzare e gestire le risorse di personale e la capacità di sfruttare le risorse materiali. Le prime due sono esemplificate dall’abilità nel quantificare quali siano le necessità e le risorse necessarie per le possibili soluzioni del problema e saper scegliere la soluzione che meglio si inserisce fra dominio del problema e percorso verso l’obiettivo del team. Le ultime due caratteristiche richiedono il procurare risorse adeguate sia in termini di persone che in termini di materiali per l’azione del team, aspetto spesso sottovalutato nell’ambito della ricerca sulla leadership.
Le componenti non umane
In tempo di scarsità di risorse l’utilizzo di software, attrezzature robotiche e sperimentazione di attività di analisi con intelligenza artificiale si è affacciato in ambito riabilitativo. Vale la pena quindi affrontare anche la prospettiva dell’inserimento nel team di agenti non umani.
Una prima distinzione va fatta su che cosa sia un semplice strumento a disposizione dei componenti del team e di cosa invece possa essere considerato parte del team. La discriminante passa dal livello di interazione con gli altri componenti: se è minimale o unidirezionale, siamo di fronte a uno strumento, se invece la comunicazione è bidirezionale, allora è possibile valutarne la classificazione come parte del team. Alcuni esempi chiariranno meglio il concetto: una cartella clinica standard, non importa se cartacea o digitale, registra quanto viene inserito dai membri del team e non ha interazioni di alcun genere con essi e rientra quindi pienamente nell’ambito degli strumenti. Un programma di gestione della documentazione delle attività del team, di cui potrebbe anche far parte una forma evoluta di cartella clinica informatica, costruito in modo tale da analizzare i dati anamnestici e clinici per suggerire o richiedere automaticamente esami strumentali o inviare un Sms a un membro del team per segnalare l’opportunità di una sua azione (ad esempio nel caso si evidenzi la presenza di disfagia, attivare la logopedista per una valutazione della deglutizione) ha una interazione col team che può classificarlo come proprio agente, nel caso specifico col ruolo di monitore secondo Belbin.
La partecipazione di agenti non umani può migliorare l’efficienza del team liberandolo da compiti ripetitivi, fornendo un monitoraggio immediato e, in alcuni casi, suggerendo possibili soluzioni a problemi diagnostici o terapeutici, come fornire alternative farmacologiche in caso di intolleranze o allergie.
Cesare Giuseppe Cerri
LE CONDIZIONI ESSENZIALI PER IL SUCCESSO DEL TEAM
1. Nel costituire il gruppo, il leader deve ottenere dalla struttura le risorse necessarie
2. È fondamentale costruire un forte spirito di gruppo, con interazioni basate non solo sui ruoli professionali
3. La comunicazione all’interno e all’esterno del team deve essere gestita efficacemente
4. Gli obiettivi comuni devono essere chiari e ogni membro del gruppo deve essere consapevole del proprio e dell’altrui contributo
5. Devono essere presenti le competenze necessarie al raggiungimento dello specifico obiettivo e non devono esserci agenti scelti solo in relazione a uno specifico ruolo professionale
6. Il team deve essere costruito in relazione agli obiettivi specifici della singola persona assistita e non deve essere precostituito con l’automatica presenza di un certo numero di professionisti
7. Il team deve poter eventualmente ricorrere a strumenti informatici o di intelligenza artificiale cui delegare compiti, in modo liberare tempo ai componenti umani per espletare compiti sempre più impegnativi
8. La struttura va organizzata in modo da consentire al team le attività di pianificazione, briefing e debriefing e fornire accesso alla documentazione delle esperienze passate, in modo da aggiornare procedure e istruzioni operative, che vanno definite sulla base dei processi e non come un elenco di cose da fare o compiti da assegnare in base a una casistica predefinita