
Paolo Perazzo
I principi fondamentali della gestione del dolore post-operatorio in ortopedia sono l’anamnesi algologica, la rivalutazione continua del dolore nel paziente e il suo coinvolgimento nel percorso di cura, per ridurre ansie e paure
La maggior parte delle procedure chirurgiche annovera tra le complicanze acute del periodo post-operatorio il dolore, con conseguenze che vanno dalla temporanea ma consistente compromissione della qualità di vita al rallentamento del recupero funzionale. A dispetto della continua evoluzione delle strategie di gestione della sintomatologia algica e della disponibilità di svariati interventi specifici pre, intra e post-operatori, i dati clinici suggeriscono che, in generale, un adeguato controllo del dolore associato alla pratica chirurgica viene conseguito in meno della metà dei pazienti.
Prendendo atto di tale realtà, qualche anno fa la American Pain Society ha commissionato a un panel di 23 esperti appartenenti alle aree dell’anestesiologia, della medicina algologica, della psicologia, delle terapie fisiche e delle discipline infermieristiche, oltre che alle varie branche chirurgiche, la compilazione di un documento-linea guida per la gestione del dolore post-operatorio, che è stato reso pubblico lo scorso febbraio sulle pagine del Journal of Pain (vedi box a fine articolo). Il documento ha avuto grande risonanza, non solo in quanto risultato di un imponente lavoro di analisi della letteratura scientifica esistente e per l’esaustività dei contenuti compresi nelle 32 raccomandazioni concordate dal panel, ma anche in quanto denuncia ufficiale dell’urgente necessità di dati più consistenti su molti dei punti fondamentali toccati dalle raccomandazioni stesse, di cui solo quattro – segnalano gli autori – hanno potuto essere basate su evidenze di alto livello qualitativo.
A commentare il documento per Tabloid di Ortopedia, facendo il punto sui più recenti sviluppi della medicina algologica applicata alla chirurgia ortopedica e con particolare riferimento alla realtà italiana, è Paolo Perazzo, responsabile dell’unità operativa di anestesia e rianimazione II dell’Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano.
Dottor Perazzo, che cosa è cambiato negli ultimi anni, dal punto di vista concettuale, nell’approccio alla sintomatologia dolorosa connessa alle procedure chirurgiche dell’ambito ortopedico in Italia?
In generale, il tema del dolore post-operatorio è stato affrontato in modo strutturato solo a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, quando si registrarono le prime indagini per la valutazione dell’incidenza del dolore, la comparsa delle più efficaci scale di misurazione del dolore acuto e l’emissione dei primi protocolli multidisciplinari di terapia antalgica post-operatoria.
Nel corso degli anni Novanta si è poi arrivati alla definizione di modelli organizzativi di gestione del dolore post-operatorio, la cui non omogenea diffusione e applicazione sul territorio nazionale ha però portato a realtà gestionali estremamente differenti tra loro.
Nel decennio successivo numerose società scientifiche si sono interessate all’argomento. Tra queste un ruolo di primo piano lo ha sicuramente avuto la Società italiana di anestesia, analgesia rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) che ha emesso, con una prima edizione del 2002 e una successiva revisione del 2010, linee guida contenenti raccomandazioni che si prefiggevano di diffondere la cultura del controllo del dolore post-operatorio e l’uniformità dei comportamenti medici (Postoperative pain treatment Siaarti Recommendations 2010, ndr).
Purtroppo, nonostante l’impegno formale da parte di diverse società scientifiche e il tentativo da parte dell’ordinamento giuridico di formulare una disciplina della materia mediante la legge 38/2010, che si prefiggeva tra l’altro di implementare il progetto Ospedale senza dolore, la realtà italiana vede il problema “dolore” raramente gestito in maniera organizzata.
Che cosa aggiunge alla pratica clinica ortopedica il documento di recente pubblicato dalle principali società scientifiche statunitensi del settore?
Le linee guida della American Pain Society del 2016 rappresentano l’ultima pubblicazione, in termini temporali, di un importante lavoro societario.
Il documento che ne è emerso contiene raccomandazioni relative sia alle tecniche e ai farmaci da utilizzarsi per il controllo del dolore, sia ai modelli di gestione. Ma è importante sottolineare che la prima raccomandazione di tale documento pone l’accento sull’educazione del paziente e dei suoi familiari/care giver alla gestione del sintomo; educazione che dovrebbe essere effettuata sia attraverso colloqui individuali sia rendendo disponibile materiale illustrativo/video, con l’obiettivo di informare correttamente il paziente e di prepararlo all’intervento e al percorso post-operatorio, così da ridurre il livello di ansia che la procedura e il timore del dolore a essa connesso inevitabilmente comportano, e quindi anche il conseguente consumo di farmaci antidolorifici e ansiolitici.
Che parte riveste nella medicina algologica applicata all’ambito ortopedico il trattamento del dolore associato alle procedure chirurgiche e quale influenza può avere sul decorso post-operatorio, relativamente sia agli esiti chirurgici sia all’incidenza di complicanze?
L’ortopedia è stato uno dei primi ambiti chirurgici in cui si è evidenziato che un efficace trattamento del dolore post-operatorio è in grado di incidere sul buon esito del recupero funzionale e sulla riduzione delle complicanze connesse agli interventi.
La stessa Siaarti nelle sue linee guida riporta, definendone gli obiettivi, la seguente affermazione: «è riconosciuto che un adeguato trattamento del dolore post-operatorio contribuisce significativamente alla riduzione della morbilità peri-operatoria, valutata come incidenza di complicanze post-operatorie, di giornate di degenza e di costi, specialmente nei pazienti ad alto rischio (Asa III-V), sottoposti a interventi di chirurgia maggiore e seguiti in area critica».
In tal senso, le tecniche di anestesia e analgesia loco-regionale hanno dato un grandissimo contributo. A partire dalla fine degli anni Novanta, infatti, numerosi studi scientifici – tra i quali spicca la metanalisi di Anthony Rodgers pubblicata nel 2000 sul British Medical Journal – hanno posto l’accento sulla riduzione delle complicanze post-operatorie, quali gli eventi tromboembolici e l’insufficienza respiratoria, grazie all’utilizzo di tecniche loco-regionali di anestesia e analgesia. Esistono poi altri autori, vedi Xavier Capdevila, che hanno evidenziato la superiorità dell’analgesia ottenuta con tecniche loco-regionali rispetto alla somministrazione di oppiacei per via parenterale relativamente al recupero funzionale.
In quali delle varie fasi del periodo peri-operatorio si possono prevedere interventi atti a migliorare il controllo del dolore post-chirurgico?
La chirurgia ortopedica comprende numerose aree operative con differenti livelli di invasività e l’interessamento di vari tessuti, sia superficiali che profondi, dotati di terminazioni sensitive specifiche che determinano una percezione differente del dolore. La sfida è quella di ottenere un buon controllo del sintomo, finalizzato al recupero il più possibile rapido del paziente, che significa abbreviare i tempi di digiuno peri-operatorio, attuare una mobilizzazione precoce, limitare il ricorso al posizionamento di drenaggi e del catetere vescicale.
È facilmente intuibile come, per essere veramente efficace, il controllo del dolore post-operatorio debba sempre essere inserito in un contesto più ampio e globale di percorso terapeutico, che non interessi solo l’anestesista ma passi attraverso l’intera équipe multiprofessionale, coinvolgendo dal chirurgo all’infermiere e, soprattutto in ambito ortopedico, i fisiatri e i fisioterapisti, giungendo così alla creazione di una struttura organizzata di gestione del dolore che rimane attiva lungo tutto il periodo peri-operatorio e garantisce gli interventi appropriati nelle singole fasi.
In un approccio multimodale al dolore associato alla chirurgia ortopedica quali sono gli strumenti terapeutici ai quali si ricorre abitualmente?
Nel trattamento peri-operatorio del dolore l’approccio multimodale prevede l’abbinamento della terapia farmacologica tradizionale – con personalizzazione del piano terapeutico e l’associazione di farmaci dotati di diverso meccanismo di azione, quali antinfiammatori non steroidei e oppioidi – con le tecniche di analgesia loco-regionale, che negli ultimi decenni hanno assunto un posto di sempre maggiore rilievo.
Le strategie multimodali di trattamento del dolore ben si accompagnano poi con le strategie multimodali di riabilitazione, che comprendono per esempio il protocollo fast track surgery e i percorsi di riabilitazione intensiva, che mirano alla rapida mobilizzazione del paziente nell’immediato post-operatorio con lo scopo di ridurre l’incidenza del dolore cronico determinato dall’immobilità, dalle posture peri-operatorie scorrette e dal trauma chirurgico.
Quali sono gli strumenti diagnostici più appropriati ai fini della corretta valutazione della sintomatologia dolorosa post-operatoria e della sua evoluzione?
La valutazione del dolore deve sempre essere eseguita con scale validate e deve essere fatta prima dell’intervento chirurgico e poi ripetuta a intervalli di 2-4 ore nella prima giornata post-operatoria, a ogni nuovo episodio di dolore e dopo ogni somministrazione del trattamento antalgico per quantificarne l’efficacia.
In ortopedia vengono normalmente utilizzate scale di valutazione soggettive: quelle più utilizzate sono la Numeric Rating Scale (Nrs) e la Visual Analog Scale (Vas) con i pazienti adulti e la Wong-Baker Faces Pain Rating Scale con i bambini oppure con i pazienti con disturbi del linguaggio. Tutti gli strumenti soggettivi richiedono ovviamente la collaborazione del paziente, che deve indicare rispettivamente il valore numerico sulla Nrs, il punto lungo la linea della Vas o la faccina tra quelle della scala Wong-Baker corrispondenti all’intensità di dolore percepito.
È essenziale che il dolore sia rivalutato a ogni nuovo episodio, in modo da programmare l’introduzione di nuove procedure di trattamento quando il sintomo aumenta di intensità o quando non viene più alleviato da una strategia precedentemente efficace.
Il dolore deve poi essere rivalutato a intervalli prestabiliti dopo che l’intervento analgesico attuato abbia raggiunto l’effetto massimo: nella somministrazione parenterale dopo 15-30 minuti; nella somministrazione per os dopo un’ora per gli analgesici a rilascio immediato e dopo quattro ore per gli analgesici a rilascio ritardato; dopo quattro ore anche nel caso di applicazione di cerotto transdermico; in media a distanza di 30 minuti da un intervento non farmacologico.
Ritiene che relativamente alla gestione del dolore post-operatorio l’algologia ortopedica disponga oggi di strumenti soddisfacenti quanto a efficacia e sicurezza?
Le innovazioni che si sono susseguite nel corso degli anni, di tipo sia tecnologico che farmacologico, hanno conseguito un buon livello di sicurezza e di efficacia della terapia algologica.
Un eccellente esempio di avanzamento tecnico è l’utilizzo della guida ultrasonografica, che ha permesso di raggiungere blocchi nervosi periferici sempre più settoriali per attuare un’anestesia e analgesia post-operatoria localizzate, limitando così la comparsa degli effetti collaterali tipici dell’esecuzione di blocchi centrali – ipotensione, blocco motorio, ematoma epidurale – e garantendo un più rapido recupero funzionale.
Inoltre, la somministrazione di analgesici per via loco-regionale da un lato garantisce un efficace controllo del dolore e dall’altro consente l’uso di dosi di farmaci inferiori rispetto a quelle richieste dalla via parenterale, con conseguente diminuzione dell’incidenza di effetti collaterali spesso rilevanti, come possono essere la depressione respiratoria, la nausea e il vomito associati all’utilizzo di morfina.
Quali avanzamenti si possono prevedere in questo campo per il prossimo futuro?
Nel prossimo futuro si dovrà perseguire sempre più efficacemente la centralità del paziente nella gestione della sintomatologia dolorosa connessa alla procedura chirurgica.
A realizzare tale obiettivo si arriva programmandone la partecipazione al piano terapeutico già durante la visita che precede il ricovero, nella quale deve essere condotta un’attenta anamnesi della sua storia algologica al fine di personalizzare l’approccio terapeutico.
È inoltre indispensabile organizzare percorsi di informazione al paziente sugli atti chirurgici ai quali sarà sottoposto e sul dolore che questi implicano, poiché è riconosciuto che lo stato di ansia da incertezza prepara il terreno a una situazione di ipersensibilità e di diminuzione della soglia del dolore. Non a caso, come già detto, questo è uno dei punti fondamentali su cui si focalizza la nuova linea guida della American Pain Society.
Infine, va ribadito che anche i migliori supporti farmacologici rischiano di fallire se non viene effettuata in parallelo una corretta valutazione del dolore post-operatorio da parte del personale assistenziale, e che al fine di verificarne l’efficacia terapeutica deve sempre essere programmata in modo sistematico la rivalutazione regolare del dolore con gli strumenti appropriati, a seconda del tipo e dell’intensità del sintomo e delle caratteristiche del piano di trattamento.
L’approccio algologico del futuro dovrà quindi affinare i propri strumenti sulla base delle nuove acquisizioni scientifiche e tecnologiche, ma prima di tutto essere improntato a questi principi fondamentali.
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia
LE RACCOMANDAZIONI MADE IN USA:
FOCUS È SULLE «REAZIONI INDIVIDUALI AGLI INTERVENTI»
Le 32 raccomandazioni di cui è costituito il documento della American Pain Society nascono da una revisione sistematica che ha incluso 6.556 abstract, 107 revisioni sistematiche e 858 studi primari rilevati dall’analisi della letteratura effettuata dal panel di esperti nel novembre del 2012 (poi verificata a fine 2015).
Le linee guida coprono le molteplici aree relative alla gestione del dolore post-operatorio, dando primario rilievo all’approccio centrato sul singolo soggetto e sulle reazioni individuali agli interventi terapeutici, nonché al tema dell’educazione del paziente e/o dei suoi familiari/care giver alla gestione del sintomo (Raccomandazioni 1-4).
Nelle sezioni dedicate alle strategie diagnostiche e terapeutiche si sottolinea la necessità di un accurato e continuativo monitoraggio della sintomatologia dolorosa da effettuarsi con gli strumenti di misurazione più appropriati (Raccomandazione 5) e l’opportunità di affrontarla con l’approccio dell’analgesia multimodale (Raccomandazione 6), che annovera il ricorso a terapie fisiche convenzionali (Tens) o anche alternative (Raccomandazioni 7 e 8) e a trattamenti di tipo psicologico come la terapia cognitivo-comportamentale (Raccomandazione 9), insieme con l’impiego dei mezzi farmacologici consueti, quali i Fans e gli oppioidi, questi ultimi in somministrazione preferibilmente orale o eventualmente intravenosa in modalità patient-controlled e sempre sotto costante monitoraggio per la valutazione sia dell’efficacia sia degli effetti avversi (Raccomandazioni 10-15), o di altri farmaci, quali celecoxib in una dose pre-operatoria (Raccomandazione 16), gabapentin, pregabalin, ketamina, lidocaina (Raccomandazioni 17-19).
Trattate in dettaglio sono le opzioni dell’anestesia periferica loco-regionale come valida alternativa ai blocchi centrali (Raccomandazioni 20-25) e la somministrazione di analgesici per via neuroassiale (Raccomandazioni 26-28).
Ultima ma non meno importante per la gestione del problema lungo l’intero periodo peri-operatorio la sezione dedicata agli aspetti organizzativi e alla formazione degli operatori (Raccomandazioni 29-32).
Monica Oldani