Le infezioni del sito chirurgico sono tra le principali complicanze degli interventi alla spina dorsale e per valutarne meglio i fattori di rischio Arjun Sebastian, a capo di un team della Mayo Clinic di Rochester, negli Stati Uniti, ha condotto uno studio sui dati presenti in un database nazionale dell’American College of Surgeons, focalizzando l’attenzione sulla chirurgia cervicale posteriore.
Un’aumentata morbilità e mortalità, degenze più lunghe in ospedali, nuovi ricoveri, re-interventi e un notevole aumento dei costi si associano alle infezioni del sito chirurgico che, secondo la letteratura, incidono dall’1 al 7% negli interventi al tratto cervicale e nella chirurgia posteriore si verificano molto più spesso rispetto a quella anteriore. Il team della Mayo Clinic ha calcolato anche l’incidenza, che è risultata del 2,9% (160 pazienti); nella metà dei casi si è trattato di infezioni superficiali.
Il campione esaminato è stato decisamente più ampio rispetto agli studi precedenti e non ha scontato il limite di considerare solo le esperienze di un singolo centro ospedaliero, uno specifico sottogruppo di pazienti o una particolare tecnica chirurgica. Gli autori non hanno osservato differenze significative nella frequenza di infezioni tra interventi di decompressione, artrodesi o laminoplastica, ma questi ultimi hanno mostrato la tendenza a un’incidenza leggermente minore. Le diagnosi sono state generalmente formulate oltre due settimane dopo l’intervento, il che evidenzia l’importanza di un accurato esame del paziente prima delle dimissioni.
Oltre all’incidenza, Sebastian e colleghi hanno esaminato anche i fattori di rischio, più utili dal punto di vista clinico, e il primo di questi è risultato l’obesità. Le ragioni ipotizzate sono molte. Un indice di massa corporea maggiore rende più difficile l’esposizione chirurgica, aumenta la durata degli interventi e spesso richiede incisioni più ampie e la dissezione di tessuto molle. Inoltre, i pazienti obesi hanno grasso sottocutaneo poco vascolarizzato e una ridotta tensione di ossigeno rispetto ai soggetti normopeso ed è stato dimostrato che lo spessore del grasso sottocutaneo è un fattore di rischio indipendente per le infezioni del sito chirurgico. Del resto, i pazienti obesi presentano più spesso comorbilità come il diabete e le malattie cardiache, che a loro volta incidono negativamente sulla guarigione delle ferite.
Il secondo rilevante fattore di rischio mostrato dallo studio è l’utilizzo continuato di steroidi a fronte di patologie croniche. Questo risultato è in linea con altri che in precedenza avevano stimato un rischio raddoppiato di infezioni al sito chirurgico, oltre a una mortalità quattro volte superiore. Ma sono le stesse malattie per cui gli steroidi vengono utilizzati (come artrite reumatoide, malattia infiammatoria cronica intestinale o broncopneumopatia cronica ostruttiva) a determinare a loro volta un aumento del rischio di infezioni. Infine, la somministrazione perioperatoria degli steroidi può essere complicata e portare a un cattivo controllo della glicemia, altra condizione che predispone alle infezioni post-operatorie.
Sia l’obesità che l’uso di steroidi sono fattori potenzialmente modificabili, ma non facilmente e non nel breve periodo; comunque, raccomanda Sebastian, i chirurghi dovrebbero prestare un’attenzione particolare e mettere in atto tutte le misure possibili per scongiurare il manifestarsi di infezioni post-operatorie in questi soggetti a maggior rischio.
Giampiero Pilat
Giornalista Tabloid di Ortopedia