Il ricorso al trattamento infiltrativo epidurale con corticosteroidi nelle lombo-sciatalgie di origine radicolare è in costante aumento. Già una decina di anni fa un’indagine made in Usa sulla popolazione Medicare over-65 rilevava tra il 1994 e il 2001 un aumento nel numero di procedure effettuate del 271% (da 553 a 2.055 ogni 100.000 pazienti/anno). E ciò a dispetto di dati di efficacia contraddittori – con tassi di successo variabili dal 18 al 90% – e di una generale mancanza di consenso sulle indicazioni.
Fermo restando che la discordanza tra i diversi studi e la difficoltà di trarre dal loro insieme conclusioni risolutive è per lo più spiegabile con l’estrema variabilità nella scelta dei criteri di selezione dei pazienti, delle tecniche infiltrative, del tipo di steroidi, dei tempi e dei metodi di valutazione degli outcome e dei trattamenti/placebo di confronto, fare chiarezza sulla questione dell’appropriatezza di tale intervento in termini di rapporto costi-benefici è quanto mai urgente.
Un contributo critico in tal senso viene da una revisione sistematica pubblicata lo scorso settembre sugli Annals of Internal Medicine. Gli autori, ricercatori della Oregon Health & Science University di Portland e della University of Washington di Seattle, hanno condotto una metanalisi dei risultati dei trial randomizzati controllati con placebo estratti dai database Medline, Cochrane Central Register and Controlled Trials e Cochrane Database of Systematic Reviews fino a maggio 2015. La revisione ha incluso 59 trial che hanno valutato l’efficacia e la sicurezza del trattamento infiltrativo epidurale (o in qualche caso peridurale) con corticosteroidi in pazienti adulti con radicolopatie da protrusione/ernia discale o stenosi spinale a confronto con diversi tipi di placebo (infiltrazione di soluzione fisiologica/anestetici locali a livello epidurale o nei tessuti molli, nessun intervento infiltrativo) e in rapporto a una serie di variabili relative al trattamento (tipo di corticosteroide, dosaggio del farmaco, volume del liquido iniettato, livelli vertebrali interessati, frequenza e numero di infiltrazioni), alla tecnica infiltrativa (con o senza guida fluoroscopica, accesso interlaminare o transforaminale), alle caratteristiche dei pazienti (età, sesso, durata dei sintomi, precedenti episodi acuti, stato funzionale, uso di oppioidi, comorbidità psichiatriche, comorbidità neurologiche, ecc).
Primo elemento di rilievo ai fini dell’interpretazione dei risultati è che sul totale solo 5 studi sono stati giudicati di buona qualità metodologica e ben 14 sono definibili di bassa qualità.
Ciò premesso, quanto emerso dalla revisione palesemente non va a sostegno del così ampio impiego del trattamento infiltrativo epidurale con corticosteroidi per il controllo della sintomatologia dolorosa e funzionale delle radicolopatie lombo-sacrali e ancor meno delle forme con stenosi spinale.
Nei casi di radicolopatia cronica in cui si sono rilevati miglioramenti questi sono rimasti circoscritti nel brevissimo termine (a 5 giorni-2 settimane dalla procedura) per quanto riguarda la sintomatologia dolorosa e funzionale e nel breve termine (a 2 settimane-3 mesi dalla procedura) per quanto riguarda il rischio di intervento chirurgico successivo, per poi annullarsi nei follow-up di più lungo periodo. Oltre a non essere persistenti, i benefici sintomatici riscontrati sono comunque risultati di entità inferiore alle soglie che erano state preventivamente fissate per poter attestare differenze clinicamente rilevanti.
I dati relativi ai casi di stenosi spinale, per altro più limitati di quelli disponibili per le radicolopatie da protrusione/ernia discale, non hanno evidenziato effetti positivi di una qualche consistenza.
Dall’analisi dell’influenza delle numerose variabili procedurali considerate non è emersa alcuna differenza statisticamente significativa a favore di una tecnica iniettiva, di un principio attivo, di un dosaggio o di un numero di infiltrazioni piuttosto che di altri. Così come non sono derivate indicazioni chiare sulla base delle caratteristiche dei pazienti e della loro storia clinica.
Quanto ai rischi associati al trattamento infiltrativo epidurale i dati sembrerebbero deporre per un buon livello di sicurezza dello stesso, essendo tuttavia stati derivati da una incostante e subottimale registrazione degli eventi avversi all’interno degli studi esaminati.
La sintesi degli autori non può che chiudersi con l’auspicio che futuri studi di qualità metodologica elevata e condotti su campioni numericamente consistenti facciano chiarezza sui reali benefici e rischi di un trattamento le cui indicazioni, a quanto pare, potrebbero dover essere molto ridimensionate.
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia