
James Cook, direttore del dipartimento di ricerca dell’Istituto ortopedico della University of Missouri e autore senior dello studio
Secondo la American Academy of Orthopaedic Surgeons (Aaos), lo strappo al legamento crociato anteriore è una tra le più comuni lesioni al ginocchio e, nei soli Stati Uniti, si verifica circa 200 mila volte all’anno. In oltre la metà dei casi si sceglie di intervenire chirurgicamente e ora i ricercatori della University of Missouri hanno annunciato lo sviluppo di una metodica che condurrebbe a una riparazione più forte e naturale. A differenza di quanto annunciato nell’articolo non sembra una metodica originale e radicalmente nuova, ma una variante di una serie di approcci simili ed è interessante perché si inserisce in un ambito in cui c’è stata una forte evoluzione a tutto vantaggio dei pazienti.
«Il ginocchio è un’articolazione complessa, supportata da quattro legamenti principali – ha affermato l’autore senior dello studio James Cook – e tra questi il crociato anteriore è il più esposto a lesioni. La chiave perché la sua riparazione abbia successo è l’integrazione dell’innesto all’osso dell’articolazione, che dovrebbe portare il nuovo legamento a essere il più possibile simile a quello naturale. Noi abbiamo sviluppato un modello di ricerca che ci ha permesso di mettere a confronto il grado di guarigione ottenuto con due diversi metodi di riparazione chirurgica e di determinare dunque l’opzione migliore».
Con il metodo tradizionale di riparazione, i chirurghi praticano un tunnel nella tibia e uno nel femore, salvando un cilindretto osseo che serve poi per bloccare il trapianto; ciascuna estremità degli innesti è assicurata ai lati di questi tunnel e si utilizzano viti affinché il nuovo legamento prema contro le pareti del tunnel stesso. «In questo modo si ottiene stabilità; – ha detto William C. Allen, professore alla University of Missouri e direttore del Mizzou biojoint center – tuttavia si tratta più di una saldatura che di una vera integrazione tra l’innesto e l’osso. Inoltre la pressione esercitata dalle viti può causare danno alle cellule e al tessuto dell’innesto. Questi fattori possono predisporre a un fallimento».
I ricercatori americano hanno condotto una sperimentazione su modello animale, confrontando la metodica tradizionalmente più utilizzata con una tecnica a doppio fascio (double bundle), in cui si è preservato il fascio postero-laterale nativo. «In questo modo – ha spiegato Cook – le suture spingono l’innesto dentro cavità create nelle due ossa e le suture sono assicurate a un bottone sulle superfici ossee per mantenere la stabilità. Il trapianto riempie l’intera cavità come una pianta in un vaso, il che garantisce le migliori condizioni perché avvenga l’integrazione tra innesto e osso, come un legamento naturale. Il metodo a sospensione permette anche di ridurre il danno cellulare e tissutale». I ricercatori hanno visto che solo quattro su sei animali trattati con il metodo di fissazione tradizionale con le viti hanno avuto una piena guarigione funzionale e nessuno degli innesti si è integrato completamente all’osso; con la nuova metodica, invece, guarigione e integrazione si sono ottenute sei volte su sei.
«I pazienti che verranno trattati in questo modo – ha concluso Cook – potranno più facilmente tornare a uno stile di vita attivo e il nuovo legamento crociato avrà meno probabilità di andare incontro a fallimento».
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia