In Italia si fanno circa 175mila interventi di sostituzione articolare ma secondo l’ultimo report del Registro italiano artroprotesi (Riap) in circa metà degli ospedali si eseguono meno di 50 interventi all’anno di protesi totali d’anca o ginocchio e meno di 4 interventi di spalla
È stato presentato al congresso Siot di Torino il terzo report del Registro italiano artroprotesi (Riap) da Marina Torre, responsabile scientifica del progetto. I dati sono stati illustrati nel corso della riunione superspecialistica organizzata dal Gruppo di lavoro ortopedia basata su prove di efficacia (Globe), che da sempre collabora e partecipa alle attività del registro. Il report completo è scaricabile su www.iss.it/riap e quest’anno ha posto al centro della discussione l’esigenza del registro delle artroprotesi di raccogliere dati di qualità, requisito fondamentale per fornire a operatori sanitari e istituzioni delle informazioni affidabili su cui basare le proprie scelte, cliniche o di politica sanitaria. Infatti “senza un registro italiano c’è il rischio che il decisore politico utilizzi per le proprie scelte le informazioni di registri stranieri, come quello svedese, con il rischio che un giorno qualcuno ci dica quale protesi dobbiamo utilizzare senza tener conto dell’esperienza accumulata e delle specificità della pratica clinica nel nostro Paese” ha ammonito Emilio Romanini, chirurgo ortopedico e fondatore del Globe insieme al collega Gustavo Zanoli. “Dobbiamo imparare a usare quel linguaggio epidemiologico-clinico del quale il registro è massima espressione” spiegano i chirurghi. Anche all’estero, senza un dato epidemiologico importante come quello fornito da un registro, l’intero movimento ortopedico italiano e i suoi chirurghi rischiano di essere poco credibili di fronte alla comunità scientifica internazionale.
I numeri della chirurgia protesica in Italia
Il rapporto 2016 del Riap contiene i dati 2014 delle Schede di dimissione ospedaliera (Sdo) inviati dal ministero della Salute e i dati 2015 raccolti dal registro. Il trend degli interventi protesici è continuamente in crescita e dal 2007 le protesi di ginocchio hanno superato le protesi d’anca per gli interventi primari di elezione (grafico 1); da quel momento in avanti, hanno proseguito a crescere parallelamente. Oggi in Italia si fanno circa 175mila interventi di sostituzione articolare: poco più di 99mila protesi d’anca, 67mila protesi di ginocchio, 6.500 protesi di spalla e circa 1.800 di altre articolazioni. Il tutto in più di 750 strutture ospedaliere su tutto il territorio nazionale.
Continuiamo ad avere una elevata mobilità interregionale, con pazienti che si spostano fuori dalla propria Regione di residenza per recarsi soprattutto nelle strutture ospedaliere del nord Italia, che considerano evidentemente più adeguate alle loro necessità di cura (grafici 2, 3 e 4).

Grafico 2: anca, interventi primari in elezione. Indici percentuali di mobilità interregionale: a) indice di attrazione; b) indice di fuga

Grafico 3: spalla, interventi primari in elezione.
Indici percentuali di mobilità interregionale: a) indice di attrazione; b) indice di fuga

Grafico 4: ginocchio, interventi primari in elezione.
Indici percentuali di mobilità interregionale: a) indice di attrazione; b) indice di fuga
Metà degli ospedali ha un basso volume di interventi
Emerge poi una forte criticità: “abbiamo una notevole percentuale di ospedali con basso volume di interventi” riferisce Marina Torre. Il gruppo di lavoro del Riap ha valutato in quanti ospedali italiani si eseguono meno di 50 interventi l’anno di chirurgia protesica, una soglia al di sotto della quale – secondo uno studio condotto sui dati dei registri scandinavi che vi raccontiamo nel box in questa pagina – diventa elevato il rischio di revisione dai due anni di follow-up in avanti. Ebbene in Italia in quasi la metà (45,5%) dei 754 ospedali che eseguono interventi di protesi d’anca si effettuano meno di 50 sostituzioni primarie totali l’anno. Cifre simili per la protesi di ginocchio: gli ospedali con un basso numero di interventi sono il 54% su un totale di 747 strutture. Per la protesi di spalla il valore soglia è stato fissato in 4 interventi l’anno e gli ospedali che ne eseguono un numero minore sono il 45% su un campione di 491 strutture. Sempre più spesso la letteratura internazionale mette in relazione il numero di interventi, di singoli chirurghi o strutture, con il successo clinico a medio e lungo termine e percentuali come quelle mostrate dal Riap mostrano come ci sia la necessità di razionalizzare e centralizzare gli interventi di chirurgia protesica.
Troppe protesi sul mercato?
E le protesi? “Abbiamo un numero elevatissimo di dispositivi diversi” fa notare Marina Torre. Secondo le stime fatte dagli esperti del Riap, facendo una media tra codici prodotto e nomi commerciali, oggi i chirurghi ortopedici possono scegliere tra più di 5.000 cotili e 6.400 steli per l’anca e tra circa 3.000 tra componenti femorali e tibiali per il ginocchio. Con una variabilità così alta diventa ancora più difficile stabilire cosa funziona e cosa no, cosa sarà in grado di reggere un follow-up a 10 anni e cosa fallirà molto prima. E quello che è un problema clinico diventa inevitabilmente anche un problema di sostenibilità economica, visto che le protesi, insieme con i prodotti per osteosintesi, impattano sulla spesa sanitaria per 400 milioni di euro l’anno e rappresentano esattamente la metà della spesa dello Stato per dispositivi impiantabili.
Riap preso a modello per altri registri
Il Riap è un progetto voluto e finanziato dal ministero della Salute. L’esperienza maturata in ambito ortopedico sta facendo da apripista ad altri sistemi di raccolta dati: “il modello che è stato implementato dal Riap è esportabile e adattabile a tutti i dispositivi medici impiantabili – spiega Marina Torre –. Abbiamo già avviato un progetto con i cardiologi, che hanno già organizzato un registro su pacemaker e defibrillatori che vorremmo consolidare attraverso la rete del Riap “.
Il limite del Riap rimane ancora quello dell’adesione, finora su base volontaria. I dati raccolti dal Riap nel 2015 rappresentano il 30% del volume di attività su scala nazionale. Ma probabilmente si sta avvicinando il momento in cui verrà resa obbligatoria, grazie a una norma che istituirà i registri e ne regolamenterà il funzionamento. L’esperienza della regione Puglia che ha subordinato il rimborso del Drg al conferimento dei dati al registro è un esempio virtuoso che ha portato il grado di adesione in breve al 100% .
Intanto sempre più società scientifiche riconoscono al registro un ruolo importante per il miglioramento della pratica clinica e anche le aziende di protesi, dalla A di Adler Ortho alla Z di Zimmer, hanno iniziato a collaborare fattivamente con il Riap per alimentare il dizionario dei dispositivi medici, uno strumento essenziale per garantire la tracciabilità di ciascun elemento impiantato.
Funzione principale di ogni registro di artroprotesi rimane quello di evidenziare precocemente, con un buon margine di verità, le protesi con una performance inferiore alla media. Uno strumento quindi importantissimo per il clinico, che finalmente può essere supportato in alcune delle sue scelte da dati oggettivi e misurabili. Ma quanti ortopedici sarebbero pronti a cambiare il sistema protesico che utilizzano nel momento in cui il registro dovesse dimostrare che ha un tasso di fallimento superiore a un altro? Forse la domanda andrebbe ribaltata: quanti chirurghi avrebbero l’imprudenza di non farlo?
Andrea Peren
Giornalista Tabloid di Ortopedia
[I grafici riportati in questo articolo sono tratti da: Marina Torre, Stefania Bellino, Ilaria Luzi, Stefania Ceccarelli, Giada Salvatori, Maria Teresa Balducci, Silvano Piffer, Gustavo Zanoli, Emilio Romanini, Filippo Boniforti, Eugenio Carrani. Progetto Registro Italiano ArtroProtesi. Terzo Report. Controllo e qualità dei dati. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2016]
PROTESI D’ANCA, MENO REVISIONI
NEI CENTRI AD ALTO VOLUME DI INTERVENTI
Un team di ricercatori scandinavi ha rilevato che il volume degli interventi effettuati in un ospedale è direttamente associato al rischio di revisione dopo un intervento primario di protesi d’anca cementata. È un risultato ampiamente atteso, ma finora gli studi in proposito erano stati pochi e comunque mai così ampi come quello coordinato da Eva Natalia Glassou dell’università danese di Aarhus, che ha potuto accedere agli archivi della Nordic arthroplasty register association. Ricco dei dati relativi a interventi protesici effettuati in Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia, il registro ortopedico ha permesso di includere nello studio 417.687 interventi primari di sostituzione protesica d’anca, di cui 263.176 cementate, effettuati dal 1995 al 2011.
L’analisi sulle protesi cementate ha mostrato che, nei pazienti che si sono rivolti a ospedali dove si fanno meno di 50 interventi all’anno, al follow-up di un anno, la percentuale di revisioni è stata simile a quella degli ospedali con un volume maggiore. Ma per periodi più lunghi la situazione è del tutto differente: a 2, 5, 10 e 15 anni di distanza dall’intervento primario, il rischio di revisione è sempre stato superiore negli ospedali con piccoli volumi.
L’esperienza, evidentemente, ha il suo peso: “gli ospedali in cui si fanno molti interventi – suggeriscono gli autori – possono essere meno condizionati dalle curve di apprendimento necessarie affinché i chirurghi padroneggino le tecniche. Un aspetto importante nelle sostituzioni protesiche d’anca con tecnica cementata è che sia il chirurgo che l’infermiere di sala operatoria sono coinvolti nella preparazione del cemento e gli ospedali ad alto volume possono aver sviluppato procedure migliori”. Questo spiegherebbe perché l’associazione tra numero di interventi e revisioni sia risultata molto più debole (e assente nei primi due anni) per le protesi non cementate. Cementate o no, comunque, è normale aspettarsi performance migliori in equipe più “allenate” di altre nella messa in atto di una procedura tanto complessa qual è quella di sostituzione protesica articolare.
Nell’analisi del rischio di revisione dovuta a cause specifiche, gli autori hanno trovato che l’associazione con il volume di interventi è particolarmente chiara nel caso di fallimento asettico, provocato dalla progressiva mobilizzazione della protesi e caratterizzata da riassorbimento osseo periprotesico.
Dai risultati clinici, Glassou e colleghi traggono una immediata considerazione economica e raccomandano di centralizzare gli interventi, quando possibile, in strutture più grandi e dedicate, ottenendo in tal modo sia un vantaggio per il paziente che un risparmio per i sistemi sanitari. Ma è del resto quanto sta accadendo un po’ dovunque: anche nei Paesi nordici, tradizionalmente all’avanguardia nella chirurgia protesica, il numero di persone sottoposte a sostituzione d’anca è in continuo aumento e le autorità sanitarie adottano politiche di centralizzazione, che hanno già portato a una netta riduzione del numero di centri che fanno meno di 50 interventi all’anno.
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia