
Tommaso Vetrugno
Come fanno da tempo negli Usa e nel nord Europa, è possibile dimettere il paziente il giorno stesso dell’intervento di artroprotesi di anca o ginocchio. È il Day Surgery Protesico, attivo all’Istituto Città di Brescia dopo l’esperienza del Rapid Recovery
Ridurre i giorni di degenza dopo un intervento di artroprotesi di anca e ginocchio è un obiettivo sempre più attuale al fine di abbassare il tasso di complicanze post-operatorie e permettere ai pazienti di riprendere prima possibile la quotidianità. Il miglioramento delle tecniche chirurgiche, sempre meno invasive, e i nuovi protocolli di medicina perioperatoria hanno fatto in modo che questo obiettivo sia ormai raggiungibile in ogni centro dove si pratica questa chirurgia.
Purtuttavia in Italia la degenza media dopo chirurgia protesica è ancora troppo alta (circa 8 giorni) se paragonata ai Paesi del nord Europa (tra i 2 e i 4 giorni) e agli Usa, senza considerare che in alcune Regioni italiane questa pratica chirurgica in regime di Day Surgery non è nemmeno riconosciuta. Vi è quindi ancora del lavoro da fare per implementare e diffondere la cultura della chirurgia protesica “veloce”.
Il focus dev’essere la riduzione della risposta del paziente allo stress chirurgico, sia psicologico che fisico, e intorno a questo deve ruotare la combinazione degli aspetti clinici e organizzativi che, insieme all’eliminazione di elementi tradizionali, deve portare a un percorso semplificato, dal ricovero alla dimissione e oltre.
Nell’unità operativa di Ortopedia X dell’Istituto Clinico Città di Brescia (Gruppo San Donato), che ho il piacere e l’onore di dirigere, abbiamo implementato questo percorso a partire dal 2015, ottenendo nel 2017 (primi in Italia) la certificazione di “Centro Rapid Recovery”, essendoci allineati agli standard nord europei e statunitensi. Tale percorso si dipana su tre fasi: pre, peri e post-operatoria.
Fase preoperatoria
Organizzazione: è necessario concentrarsi sulla sinergia di tutte le specialità in quanto è fondamentale il lavoro di squadra che deve coinvolgere, oltre ai chirurghi ortopedici, anche anestesisti, fisiatri, infermieri e fisioterapisti. È importante quindi una équipe dedicata, che definisca i protocolli, li aggiorni in presenza di evoluzioni delle conoscenze e successivamente li applichi ai pazienti.
È questa la fase dello studio e della pianificazione, per fare in modo di essere costantemente aggiornati sia dal punto di vista delle tecniche chirurgiche, sia di quelle anestesiologiche e del controllo del dolore. Sulla base di queste conoscenze il paziente viene preparato il giorno del prericovero e ne viene verificata l’idoneità all’intervento, al Rapid Recovery o al Day Surgery.
Preparazione: è forse l’aspetto più importante perché è in questa fase che il paziente viene informato e istruito su quello che lo aspetta e su cosa deve aspettarsi.
Nel mio reparto tutta l’equipe dedica il lunedì pomeriggio alla patients school, riunione con tutti i pazienti della settimana accompagnati da un familiare che farà poi da caregiver alla dimissione. Vengono fornite tutte le informazioni sull’intervento, il ricovero, il post-ricovero, i risultati e tempi di recupero, i rischi e le possibili complicanze. I pazienti vengono anche educati per esempio all’uso delle stampelle e ai primi esercizi che dovranno svolgere e le loro aspettative vengono modulate, nel senso che ad alcuni, che magari si aspettano troppo da questo intervento, è necessario abbassarle un po’ per evitare un basso livello di soddisfazione; qualche altro paziente avrà invece bisogno di essere motivato perché le sue aspettative sono troppo basse.
È una fase importante, anche perché permette al paziente di dare un volto a tutte le figure professionali con cui verrà in contatto, anche solo per una volta, come per esempio gli infermieri di sala operatoria, e questo migliora l’approccio psicologico all’intervento.
Fase perioperatoria
Il passaggio in sala operatoria deve essere molto rapido. Per questo motivo tutto deve essere preparato affinchè i tempi morti siano ridotti al minimo o eliminati.
L’anestesia viene praticata generalmente in tipologia periferica con anestetici locali a rapida emivita (come la prilocaina). L’anestesista cura anche l’aspetto della terapia del dolore sia in pre-emptive che nel post-operatorio, modificando eventualmente il protocollo in base al paziente e al tipo di intervento. Questo tipo di chirurgia è morphine-free, in quanto la morfina o derivati possono condizionare negativamente il post-operatorio.
L’intervento deve essere rapido, oltre che preciso e rispettoso dei tessuti sani. Un tempo chirurgico accettabile non deve andare oltre i 45 minuti. Grande attenzione va data all’emostasi, bisogna limitare al minimo le perdite ematiche per evitare emotrasfusioni e ridurre il rischio di ematomi, entrambi fattori che innalzano il rischio di infezione del sito chirurgico. Grande cura va prestata anche alla sutura che, nella chirurgia del ginocchio (generalmente più dolorosa rispetto a quella dell’anca), viene preceduta dall’infiltrazione di anestetico locale e acido tranexamico.
Nursing post-operatorio
Rientrato in reparto il paziente viene preso subito in carico dal personale infermieristico e riabilitativo. Mediamente dopo un paio d’ore si è già abili per la deambulazione e l’inizio degli esercizi riabilitativi. I più motivati riescono già a salire e scendere le scale.
La dieta è libera e la sera del giorno dell’intervento il paziente può già avere una cena completa.
Non vengono posizionati né catetere vescicale né drenaggi, il paziente è libero da impedimenti che ostacolino la sua ripresa dell’autonomia.
Nella nostra esperienza il 90% dei pazienti hanno ripreso la deambulazione entro quattro ore dopo la procedura chirurgica.
Questo ha anche una grande efficacia per ridurre lo stress psicologico: prima il paziente verifica che “funziona tutto” e più la sua motivazione e soddisfazione aumenteranno.
Al momento della dimissione ai pazienti viene somministrato un questionario di soddisfazione che, in una scala da 0 a 5, ci ha dato negli anni un risultato medio di 4,7. Il punto critico è il dolore post-operatorio nella chirurgia protesica di ginocchio ed è su questo che stiamo lavorando di più per migliorare i nostri risultati.
Dimissioni in Day Surgery
La degenza media nel nostro reparto, calcolata annualmente, è di circa tre giorni, ma va tenuto conto che molti pazienti provengono da regioni lontane e hanno necessità logistiche, e non di carattere sanitario, per rimandare la dimissione. Nell’ultimo anno, dopo aver implementato e ottimizzato il percorso Rapid Recovery, abbiamo intrapreso, a nostra conoscenza per primi in Italia, la strada della dimissione del paziente il giorno stesso dell’intervento (Day Surgery Protesico).
Dal punto di vista dei protocolli e delle tecniche non cambia niente rispetto al Rapid Recovery, quello che cambia è la motivazione del paziente (che è il primo elemento), la sua possibilità di essere inserito in questo programma per età e condizioni generali di salute, l’organizzazione del post- operatorio in sinergia con la medicina territoriale.
In questo caso quindi, dopo aver proposto al paziente questa possibilità (ma più spesso è il paziente stesso a chiederlo) se ne valuta la sua motivazione. Se gli esami preoperatori e la valutazione anestesiologica sono positivi si può partire con la fase organizzativa in sinergia con il medico di famiglia, che viene contattato e istruito sul da farsi, e con i fisioterapisti del territorio.
Un’altra difficoltà per il Day Surgery Protesico può essere rappresentata dagli aspetti economici: ci sono alcune regioni che non prevedono questo tipo di regime di ricovero per questa chirurgia, mentre altre lo prevedono ma con una decurtazione del valore del Drg (anche del 30%), per cui è necessaria un’approvazione della procedura da parte delle amministrazioni delle cliniche.
Indubbiamente il Day Surgery Protesico rappresenta il futuro e ne va implementata la programmazione perché, con la corretta organizzazione ed esecuzione, sempre più pazienti chiederanno questo tipo di programma, come del resto già accade diffusamente sia negli Usa che nel nord Europa.
Andrebbero coinvolte le società scientifiche per modificare alcuni protocolli, per esempio quello della profilassi antitromboembolica con eparina a basso peso molecolare, che andrebbe sostituita con una profilassi meno aggressiva, ad esempio con la cardioaspirina. Va inoltre sviluppata una sinergia diffusa con la medicina del territorio attraverso riunioni e conferenze in cui se ne spieghi il razionale.
Tommaso Vetrugno
Direttore UO di Ortopedia X
Istituto Clinico Città di Brescia