La stenosi vertebrale lombare rappresenta la più comune indicazione alla chirurgia spinale nella popolazione anziana, motivata generalmente dalla necessità di risolvere la sintomatologia e il deficit funzionale a livello degli arti.
La letteratura riporta una consistente mole di evidenze di buona qualità riguardo all’efficacia della decompressione sulla claudicatio neurogena, mentre mancano dati consistenti relativamente al concomitante impatto di tale intervento sulla lombalgia solitamente associata. «L’effetto sulla lombalgia è stato quasi sempre considerato un outcome secondario di minore interesse, per nulla o poco indagato, e spesso con metodi di valutazione non standardizzati» affermano i ricercatori della Canadian Spine Outcomes Research Network (Csorn), spiegando perché proprio a questo argomento hanno invece dedicato lo studio retrospettivo multicentrico di recente pubblicato sulla rivista ufficiale della North American Spine Society.
In un campione di 1.221 soggetti trattati per stenosi lombare senza instabilità vertebrale in 18 centri ospedalieri canadesi tra il 2014 e il 2017, gli autori hanno verificato gli esiti dell’intervento di decompressione, applicando quattro diverse scale di misurazione soggettive e utilizzando come outcome primario la differenza minima clinicamente rilevante (Mcid), definita come variazione di due punti nella Numerical Rating Scale, a carico del dolore lombare, che è stata rilevata a distanza di 3, 12 e 24 mesi dalla procedura chirurgica.
Un miglioramento sintomatico significativo sia sul piano clinico che su quello statistico, pari o superiore alla Mcid prefissata, è stato riscontrato nel 74% dei partecipanti al primo controllo e mantenuto in oltre due terzi dei casi nei follow-up successivi, con un consistente aumento della quota di pazienti con nessuno o minimo dolore residuo (dal 7,5% prechirurgico al 46,4% e al 40,9 dei controlli postchirurgici a 12 e a 24 mesi rispettivamente). «Nella maggioranza dei casi (più del 75%) che hanno riportato un esito positivo sulla sintomatologia localizzata agli arti si è ottenuto un analogo effetto sulla lombalgia – sottolinea il team Csorn – a dimostrazione del fatto che in molti pazienti la compressione delle strutture nervose può concorrere a determinare un quadro complesso».
Il lavoro ha incluso anche l’analisi del ruolo di alcune variabili potenzialmente implicate nel determinare gli esiti clinici: favorevoli rispetto al miglioramento del dolore lombare sono risultati essere l’astinenza nel periodo perioperatorio dal trattamento analgesico con oppiacei e l’aggravamento della sintomatologia nel periodo precedente all’intervento chirurgico; privi di valore predittivo sono invece da considerarsi l’occorrenza di eventi avversi intra e post-operatori, così come la durata della procedura e quella del ricovero.
Un discorso a parte merita il tipo di intervento effettuato: l’esecuzione di un’artrodesi intersomatica in aggiunta alla decompressione, che ha riguardato il 26,4% dei pazienti, ha prodotto un miglioramento della lombalgia lievemente superiore al follow-up a 3 mesi, che però non si è mantenuto nei controlli a distanza, facendo apparire la procedura combinata inappropriata in assenza di indicazioni specifiche (instabilità vertebrale, scoliosi, spondilolistesi).
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia