
Alfredo Schiavone Panni
A inizio dicembre a Roma, Sigascot e International Patellofemoral Study Group hanno dato vita a un corso sulla patologia femoro-rotulea: si è parlato di diagnosi, instabilità, dolore, condropatia, artrosi e del nuovo trattamento di trocleoplastica
Venerdì 2 e sabato 3 dicembre si è tenuto a Roma un incontro che ha messo a confronto i massimi esperti italiani con quelli mondiali sul tema della patologia femoro-rotulea. Un meeting internazionale organizzato dalla società di riferimento nel settore, la Sigascot (Società italiana del ginocchio, artroscopia, sport, cartilagine e tecnologie ortopediche) con l’International Patellofemoral Study Group (Ipsg) e a presiederlo è stato Alfredo Schiavone Panni, ordinario di ortopedia presso l’Università del Molise, che lo ha definito un evento eccezionale.
Professor Schiavone Panni, di patologia femoro-rotulea non si parla molto, ma quanto è diffusa tra la popolazione?
È una patologia relativamente frequente, riguarda principalmente soggetti in giovane età e soprattutto il sesso femminile, anzi accade spesso che colpisca ragazze che hanno delle belle gambe… con il ginocchio in valgo. Chi ne soffre sconta una limitazione dell’attività fisica e molte volte anche della vita di relazione.
Quale forme patologiche si individuano?
Sono state classificate diverse forme. Una è la cosiddetta rotula instabile, in cui la rotula è più mobile della norma e di conseguenza, non lavorando in maniera ottimale, provoca l’insorgenza di una sintomatologia da instabilità con frequenti cedimenti articolari nel compiere alcuni movimenti.
Molto meno frequente è invece la rotula dolorosa fissa, in cui questa articolazione, che è formata da una componente rotulea e da una femorale, risulta compressa nella troclea femorale.
Una terza forma è poi la rotula dolorosa instabile, in cui al dolore si associa l’instabilità; si può manifestare nell’associazione tra le due precedenti, spesso in età evolutiva, in soggetti con iperlassità legamentosa di diverse articolazioni, che ha quindi una influenza anche sulla femoro-rotulea, più mobile di quello che dovrebbe.
Quali sono dunque le caratteristiche anatomiche che favoriscono o determinano la patologia femoro-rotulea?
La femoro-rotulea è un’articolazione con diverse componenti stabilizzanti, statiche e dinamiche. Quelle statiche sono le componenti ossee e legamentose, quelle dinamiche sono le componenti muscolo tendineee. Se le prime sono anatomicamente in una posizione non fisiologica, come per esempio quando l’inserzione del tendine rotuleo è lateralizzata verso l’esterno rispetto a come dovrebbe essere, chiaramente la forza d’azione del quadricipite agisce sulla femoro-rotulea non fisiologicamente e traziona la rotula verso l’esterno provocando una iperpressione esterna o una lateralizzazione della rotula. Oppure, se abbiamo una componente legamentosa mediale più lassa rispetto a quella laterale, si produce una situazione di squilibrio, perché in fondo possiamo paragonare la rotula a una barca che è fissata a due cime che la stabilizzano ma, se una delle due cime è più tesa dell’altra, la sua stabilità ne risulterà indebolita, così per la rotula il suo movimento ne risulterà condizionato.
Premesso che la componente osteolegamentosa non si può che correggere chirurgicamente, si può ricorrere a un trattamento stabilizzante sulla componente muscolo-tendinea.
Quali sintomi si associano a questa patologia?
La descrizione dei sintomi che il paziente fa al medico è molto indicativa, perché si tratta di dolore che compare in situazioni particolari: quando il ginocchio è flesso, quando si sta a lungo seduti, quando si sale o si scende dalle scale, quando si nuota a rana – stile nel quale il movimento di ginocchio impegna particolarmente la femoro-rotulea – e, in genere, le posizioni prolungate con le ginocchia flesse oltre i 90 gradi, come accade talvolta sedendosi posteriormente in auto o stando al cinema in poltroncine un po’ strette.
Questi sono sintomi che già indirizzano il medico esperto di questa patologia. Poi c’è spesso associato il gonfiore, che è un sintomo generico di infiammazione.
Oltre all’anamnesi, cosa ci può dire e come deve essere condotto l’esame clinico?
L’anamnesi è molto importante, ma a partire da questa l’ortopedico deve effettuare un esame clinico accurato e approfondito, valutando la presenza di versamento e valutando i segni di instabilità o iperpressione della rotula in quattro posizioni: ginocchio esteso con il paziente in posizione supina, ginocchio esteso in posizione prona, ginocchio flesso con paziente seduto e infine dinamicamente in piedi, sotto carico, in modo da notare l’influenza del movimento e delle altre articolazioni.
Dobbiamo infatti ricordare che uno degli elementi di complessità della femoro-rotulea è proprio il fatto che diverse altre articolazioni intervengono nel suo movimento: c’è l’influenza della tibiotarsica, pronata in valgo verso l’esterno o supinata verso l’interno; dell’anca che può essere antiversa o retroversa, ossia con la testa del femore in avanti o indietro; del ginocchio valgo o varo: tutte queste anomalie si riflettono sulla femoro-rotulea facendola lavorare in modo non ottimale. C’è infine un’influenza della componente muscolo tendinea e da tutto questo si evince l’importanza di un esame clinico accurato per valutare i molteplici segni di possibile instabilità.
Qual è invece il ruolo degli esami strumentali?
Una volta che ci si è orientati attraverso l’anamnesi e l’esame clinico, gli esami strumentali costituiscono un complemento a una diagnosi sostanzialmente già fatta, ma sono utili per completarla, valutare la gravità anatomo-funzionale del caso e valutare l’eventuale indicazione chirurgica. È necessario eseguire delle proiezioni particolari sia statiche che dinamiche per la rotula, attraverso una risonanza magnetica o una Tac dinamiche. In pratica, durante l’esecuzione dell’esame, il ginocchio non sta fermo ma passa da una posizione di allineamento (zero gradi) a una con flessione di 30 gradi, valutando il ginocchio bilateralmente e osservando quanto la rotula rimane centrata nelle diverse posizioni assunte dal ginocchio.
La risonanza magnetica permette di valutare l’entità di un danno che consideriamo sempre secondario a una patologia prolungata nel tempo, perché il danno cartilagineo non insorge subito, ma in seguito a ritardo della diagnosi e ad attività fisica esercitata in modo non opportuno: quindi è da sottolineare l’importanza della diagnosi precoce per evitare danni cartilaginei.
Cosa si può fare quando subentra l’artrosi?
Prima di tutto bisogna tornare a rimarcare che con un trattamento corretto e precoce si evita l’insorgenza e poi l’evoluzione della possibile condropatia, mantenendola a uno stadio di danno selettivo della cartilagine, cioè presente solo in alcune sedi e non diffuso in tutta l’articolazione. Ma se ci troviamo a trattare una condropatia di notevoli dimensioni, maggiore di 2 cm, c’è l’opzione della chirurgia ricostruttiva, che prevede l’utilizzo di cellule staminali prelevate dallo stesso soggetto con tecniche di impianto su membrane biologiche e la trasformazione, attraverso l’azione di queste cellule, in tessuto simil-cartilagineo. Ma sottolineo che questi tipi di trattamento, che sono estremamente promettenti, si basano su un presupposto fondamentale: il trattamento della causa primitiva della loro insorgenza, che è l’instabilità. Se abbiamo una rotula instabile, facciamo il trapianto di cartilagine che può riuscire perfettamente, ma se l’instabilità persiste, dopo qualche anno si andrà incontro a un fallimento perché non si sarà risolta la causa del danno cartilagineo.
Sono dunque fondamentali la diagnosi e il trattamento precoci; in caso di danno cartilagineo è indispensabile correggere la causa del danno, eventualmente associando un intervento di stabilizzazione della femoro-rotulea: si ricostruisce la cartilagine ma nello stesso tempo si ripristina la stabilità della rotula con tecniche di riallineamento distale associate alla ricostruzione del legamento patellofemorale o, come si diceva, di una trocleoplastica.
Tornando all’artrosi: purtroppo è uno dei casi in cui abbiamo necessità di un trattamento sostitutivo, ma anche in questo ambito ci sono stati enormi progressi: attraverso la chirurgia mininvasiva si utilizzano tipi di protesi che vanno a sostituire esclusivamente la femoro-rotulea mentre il resto del ginocchio non viene toccato; fortunatamente si tratta di casi rari, ma questi impianti sembrano molto promettenti e danno risultati soddisfacenti.
La causa principale di insuccesso delle protesi è la loro mobilizzazione, quando cioè non restano più fissate all’osso e hanno micromovimenti che danno dolore: essa può dipendere da un fattore meccanico – se la protesi non è impiantata perfettamente determina un sovraccarico di alcune parti rispetto ad altre con precoce mobilizzazione – oppure da un processo infettivo che avviene in circa un caso su cento e può manifestarsi anche a distanza di quattro o cinque anni dall’intervento. La mobilizzazione comporta la necessità di una revisione che deve essere eseguita solo dopo aver chiarito bene qual è la sua causa, considerando che si tratta di un intervento più difficile e che presenta una minore probabilità di successo.
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia
TRATTAMENTO FEMORO-ROTULEA:
NOVITÀ È LA TROCLEOPLASTICA
Dopo la diagnosi, clinica e strumentale, si passa alla scelta del trattamento più adeguato alla situazione individuale. «Il trattamento è inizialmente conservativo e si pone l’obiettivo di rinforzare le strutture muscolo-tendinee che sono deficitarie; nello stesso tempo si insegna al paziente a evitare quelle posizioni e quei movimenti che sono negativi per la rotula – ci ha detto Alfredo Schiavone Panni –. Nel caso di rotula fissa dolorosa, ci si limita quasi sempre a diversi tipi di trattamento conservativo. Invece nell’instabilità, viene sì considerato il trattamento conservativo, ma si deve ricorrere spesso alla chirurgia se c’è una persistenza degli episodi di instabilità o addirittura di lussazione, che può avvenire in una fase successiva dell’instabilità o comparire indipendentemente da una storia clinica ma in presenza di conformazioni anatomiche predisponenti».
Come ci ha spiegato l’esperto, che ha presieduto il combined meeting Sigascot-Ipsg sulla patologia femoro-rotulea (info su www.sigascot.com), in ambito chirurgico c’è stata ultimamente una grossa evoluzione e oggi si cerca di ricostruire anatomicamente la stabilità della femoro-rotulea attraverso la ricostruzione del legamento patello-femorale mediale, che ne è il principale stabilizzatore e ricorrendo a diverse tecniche che sono sempre meno invasive e danno risultati sempre più soddisfacenti.
«Alcune volte è necessario associare un intervento sulla componente ossea per correggerne una deformità, perché se c’è una tuberosità tibiale molto lateralizzata la sola ricostruzione del legamento non è sufficiente. Un’ulteriore tecnica che si è affermata da poco – ha precisato Schiavone Panni – è la ricostruzione della troclea, la cosiddetta trocleoplastica. Si tratta della ricostruzione del canale di scorrimento della rotula sul femore; se è piatto si cerca di ricostruirlo in modo di favorire una fisiologia più corretta: si alza la parete esterna e si effettua questa plastica della troclea così che la rotula non abbia più la possibilità di una fuga verso l’esterno».