Gli aspetti nutrizionali nel paziente ortopedico possono essere decisivi per i risultati nel post-operatorio. Cresce così l’attenzione verso le scienze della nutrizione applicate all’ortopedia: nasce il ruolo del dietista ortopedico
“Nutritional orthopedics and space nutrition as two sides of the same coin”: il sorprendente accostamento è il titolo di una review pubblicata su Nutrients. Ne è autore è Matteo Briguglio, nutrizionista ricercatore all’Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, che sulla scorta di un esame della letteratura, sostiene che «le caratteristiche nutrizionali dei pazienti ortopedici sulla Terra e degli astronauti nello spazio sono innegabilmente correlate; di conseguenza, è importante avviare strette collaborazioni tra nutrizionisti ortopedici ed esperti della vita nello spazio». Nel suo articolo, l’esperto si sofferma in particolare sulla difficile condizione del paziente ospedalizzato, caratterizzata da un’attività fisica estremamente limitata, stress e isolamento, in cui una maggiore attenzione al tipo di alimentazione potrebbe certamente giovare alla sua salute e al suo benessere generale.
Dottor Briguglio, nel suo articolo su Nutrients, lei ha fatto un paragone tra le necessità nutrizionali del paziente ortopedico e l’astronauta. In che cosa consistono queste similarità?
L’articolo descrive le implicazioni ed esigenze nutrizionali in comune tra il paziente ortopedico – che può essere immaginato come il prototipico paziente anziano in lista per un’operazione di sostituzione totale dell’articolazione del ginocchio o dell’anca – e l’astronauta che si prepara per una missione a lungo termine nello spazio. Le similarità sono molte e sono dipendenti dai due ambienti critici: l’ospedale e lo spazio.
Possiamo annoverare tra i fattori: l’insicurezza alimentare, la malnutrizione, l’involuzione dell’apparato muscolo-scheletrico, le alterazioni ortostatiche e lo stress metabolico. Questi aspetti non sono in realtà nozioni recenti, ma sono noti da diverso tempo. L’articolo si limita semplicemente a fare una lista completa di questi studi e ad estrarne sistematicamente le informazioni più rilevanti e condivise. Quello che in termini scientifici è proprio delle scoping review.
Quali sono i principi fondamentali che i pazienti ortopedici e traumatologici dovrebbero seguire?
La gravità terrestre ha plasmato l’evoluzione del nostro apparato muscolo-scheletrico sotto una costante forza di 1 g, che ci ha permesso di avere una certa densità ossea minerale e una certa struttura muscolare annessa. Per contro, però, questa accelerazione gravitazionale è un’arma a doppio taglio, perché spinge verso il basso gli individui instabili e frattura le ossa. Ecco che il mantenimento di una buona funzionalità muscolare in termini di movimento e coordinazione e di una corretta alimentazione sono tra i due cardini più importanti a livello preventivo per mantenere in salute il nostro apparato motorio.
Ovviamente ci sono attenzioni diverse da porre a seconda della condizione, per questo si parla di personalizzazione. Il paziente traumatologico è trattato immediatamente e quindi è quasi impossibile ottimizzare lo stato fisico e nutrizionale prima dell’intervento. Viceversa questo è possibile nella chirurgia elettiva, dove è noto che il paziente ortopedico ha davanti a sé diverse settimane di attesa.
Quali sono i rischi per la salute di un paziente ortopedico che possono derivare da un’alimentazione inadeguata?
È come rimanere senza benzina. La macchina si ferma. Ma la macchina si ferma anche se sbaglio il tipo di benzina o manca l’olio. È una situazione complessa, in cui se manca anche solo una tessera del mosaico tutta la struttura diventa fragile.
La patologia ortopedica provoca spesso dolore ed esordisce durante l’invecchiamento, portando il paziente a muoversi sempre meno e a mangiare poco. In situazioni di fisiologico malassorbimento e aumentate soglie anaboliche, la copertura dei nutrienti necessari è difficile da soddisfare. Ecco che l’individuo cade nel circolo vizioso dello stile di vita “bed-kitchen-sofa”, dove perde sempre più la forza fisica e la volontà di reagire. In vista di un intervento di chirurgia ortopedica, questa condizione non è ovviamente associata ai migliori esiti di recupero.
La chirurgia stessa può avere conseguenze sull’alimentazione dei pazienti?
In alcuni centri, il paziente segue solitamente una routine di digiuno pre-operatorio da liquidi e solidi. Ultimamente alcuni lavori mettono in discussione questo aspetto, mentre altri studiano alcune formulazioni in grado di ridurre i tempi di digiuno pre-operatori.
È poi noto che l’atto chirurgico evoca una risposta neuroendocrina e catabolica che aumenta i fabbisogni energetici e di nutrienti. Ecco che un attento supporto nutrizionale post-operatorio dovrebbe monitorare se sono giornalmente soddisfatti tali introiti dietetici.
Inoltre, il dolore non controllato e la nausea post-operatoria possono sicuramente contribuire a diminuire la compliance dietetica e un’attenta sensibilizzazione non solo del paziente ma anche dei professionisti ospedalieri dovrebbe tener conto di questa dinamica.
Oltre al regime dietetico del paziente al suo domicilio, occorre porre attenzione all’alimentazione in ospedale?
L’ospedale comporta delle routine inevitabilmente differenti da quelle che il paziente ha al proprio domicilio. Il paziente si deve quindi adattare non solo alla qualità dietetica, ma anche alla quantità di cibo che gli viene somministrata nel vassoio, così come al timing secondo cui il pasto viene servito. Molti studi dimostrano che non è raro che il paziente avanzi gran parte del cibo nel vassoio, non solo per la mancanza di appetito ma anche per le eccessive aspettative verso il cibo ospedaliero.
Al di là delle ore di fisioterapia, il paziente rimane gran parte del tempo a letto, senza alcuno stimolo fisico né mentale, con l’insonnia che potenzialmente riduce il desiderio di muoversi o interagire socialmente. Se il paziente era già malnutrito e sarcopenico prima della chirurgia, la permanenza in ospedale potrebbe aggravare il quadro clinico e ritardarne il recupero. Per questo e per altri motivi, negli ultimi anni ci si è orientati verso percorsi fast-track e dimissioni precoci, con ottimi risultati sia per il paziente che per la gestione sanitaria. Tuttavia, nei casi di lungodegenze, è necessario prendere misure adeguate per il coinvolgimento del paziente e per evitare il decadimento fisico e mentale.
I pazienti ortopedici sono sempre più anziani: questo si associa in genere a una maggiore attenzione all’alimentazione o, al contrario, a una trascuratezza? Quali esigenze nutrizionali aggiuntive e specifiche ha un anziano?
Erroneamente maggior attenzione, e inconsapevolmente maggior trascuratezza. In altre parole, molti pazienti si focalizzano su alcuni concetti alimentari che non sono poi così rilevanti, trascurandone altri che sono invece molto più importanti. Per esempio, molta attenzione risuona attorno alle carenze di vitamine e quindi molti anziani fanno uso di questi prodotti pensando che possano risolvere i loro problemi. Dall’altra, trascurano l’importanza del giusto apporto idrico, energetico e proteico, quest’ultimo aumentato per ridurre il rischio di sarcopenia e altri deficit patologici caratteristici della popolazione anziana.
Ogni condizione ha la sua esigenza nutrizionale e dipende molto dalla condizione patologica. Per esempio, gli apporti energetici di un paziente anziano allettato che deve recuperare da un intervento possono essere molto diversi da un individuo anziano sano che si muove autonomamente.
Il tema della nutrizione è spesso estraneo agli ortopedici, così come a molti altri medici specialisti: è auspicabile e possibile la nascita di una nuova figura professionale di nutrizionista ortopedico?
Ultimamente c’è molto interesse intorno alle scienze della nutrizione applicate all’ortopedia, soprattutto per le potenzialità di influenzare il recupero post-operatorio in maniera non indifferente. Poiché l’alimentazione va di pari passo con la fisioterapia, parlerei più di opportunità di collaborazioni multidisciplinari per le professioni sanitarie a fianco degli anestesisti e chirurghi. Il dietista ortopedico è sicuramente qualcosa di nuovo che può portare beneficio non soltanto al paziente in termini di presa in carico pre e post-operatoria, ma anche in termini di risparmio delle risorse ospedaliere.
Esistono indicazioni pratiche e affidabili sul tipo di alimentazione da adottare prima e dopo la chirurgia?
Questo genere di domanda purtroppo non ha ancora risposta. Quello che si sa però è che c’è molto spazio di miglioramento nell’immediato futuro. Le scienze della nutrizione si sono applicate all’ortopedia soltanto negli ultimi tempi, e solo attraverso un attento esame dell’attuale routine, lo studio dei fattori di rischio, la gestione degli indicatori prognostici e ricerche cliniche prospettiche sarà possibile trovare un nuovo standard di cure che migliori la prognosi del paziente ortopedico.
Una cosa è certa, e cioè che un’adeguata dieta che ottimizzi lo stato nutrizionale pre-operatorio deve essere associata a un protocollo post-operatorio nutrizionale che punti non solo al risparmio delle risorse, ma anche a obiettivi funzionali e di soddisfazione a lungo termine, facendo sedere allo stesso tavolo tutti gli attori: il paziente, gli anestesisti, i chirurghi e tutte le professioni sanitarie coinvolte. Solo allora si potrà definire il ruolo chiaro del dietista ortopedico.
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia
I RISCHI MULTIDIMENSIONALI DELLA PROLUNGATA OSPEDALIZZAZIONE_Ci sono diverse condizioni che possono insorgere se non si ha un attento programma di monitoraggio clinico post-operatorio, delineando la cosiddetta hospital-associated deconditioning che è tipica delle lungodegenze, ma anche delle medie e brevi in situazioni in cui il paziente è particolarmente fragile. «Possiamo classificare le conseguenze in tre categorie – spiega Matteo Briguglio –: fisiche da allettamento, metaboliche da stress chirurgico e mentali/sociali da isolamento. L’allettamento prolungato prima di tutto impedisce l’appropriato utilizzo dell’apparato muscolo-scheletrico, mentre sappiamo quanto sia importante il movimento contro la forza di gravità per mantenere in vita l’intero sistema. Si ha quindi un depauperamento muscolare e una perdita di abilità motoria, soprattutto una volta che il paziente tenterà di alzarsi in piedi dopo lungo tempo. Il disadattamento è a carico anche del sistema cardiocircolatorio e nervoso, con la perdita di una pronta capacità di contrastare lo spostamento dei fluidi corporei in posizione eretta. Aumenta quindi il rischio di sincope, cadute e fratture. L’immobilità di per sé accelera il turnover osseo e muscolare, riduce il volume plasmatico, facilmente causa reflusso gastroesofageo e riduce la peristalsi intestinale. C’è poi lo stress metabolico dell’intervento chirurgico che evoca non solo risposte locali, ma anche sistemiche, tra cui la messa in circolo degli ormoni dello stress e delle citochine. Questa cascata metabolica causa una serie di alterazioni patologiche tra cui la degradazione delle proteine corporee e delle riserve energetiche. C’è poi il senso di abbandono che alcuni pazienti possono percepire durante l’ospedalizzazione: questo deriva da una parte dall’accesso limitato dei caregiver e visitatori, dall’altra dalle turnazioni dei professionisti, dai cambi di stanza e dai cambi del compagno di stanza. Inoltre, la permanenza sempre nello stesso ambiente è nota per associarsi a deprivazione sensoriale, ridotta socialità, disorientamento spazio-temporale e repentino declino cognitivo».
Briguglio M. Nutritional Orthopedics and Space Nutrition as Two Sides of the Same Coin: A Scoping Review. Nutrients. 2021 Feb 1;13(2):483.