
I numeri e le esperienze sul campo raccontano di come, durante la Fase 1, siano “spariti” i pazienti con dolore cronico benigno. Numeri in crescita con la Fase 2, in ambulatorio e in telemedicina, ma con nuovi sintomi e patologie
Nel corso della Fase 1, secondo Federdolore-Società italiana dei clinici del dolore (Sicd), 9 centri su 10 hanno ridotto di oltre il 50% le attività ordinarie ambulatoriali e chirurgiche di terapia del dolore nel caso di pazienti affetti da dolore cronico non oncologico.
Ma la realtà degli ambulatori ortopedici nel nord Italia sembra avere numeri ben superiori, anche in una Regione come il Trentino che, in piena pandemia, era tra le meno colpite da Covid19. A riferirlo a Tabloid di Ortopedia è il dottor Luigi Umberto Romano, direttore del reparto di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale di Cles, struttura sanitaria di riferimento per l’Azienda provinciale per i servizi sanitari (Apss) della provincia autonoma di Trento.
Dottor Romano, come avete gestito i pazienti con dolore cronico benigno durante la Fase 1 dell’emergenza?
L’azienda sanitaria ha risposto in tempi rapidi sia all’emergenza, sia alle nostre preoccupazioni per la sicurezza dei pazienti e del personale. In tempi record, per evitare accessi non necessari, abbiamo organizzato e accreditato presso l’assessorato alla salute un percorso di telemedicina basato su “finestre telefoniche”, proposto e gestito dal dottor Giuliano Mariotti, direttore del Servizio di specialistica ambulatoriale dell’Apss.
Inizialmente, il servizio con orari specifici in cui telefonare per consulti e informazioni terapeutiche, veniva fornito ai medici di medicina generale e organizzato sulla base dei dati di accesso dei pazienti in periodo pre-Covid19 al Pronto Soccorso e ai nostri ambulatori per dolore cronico non oncologico. Questo servizio di telemedicina, inoltre, aveva anche lo scopo di seguire e monitorare i pazienti operati prima del lockdown, ma si è dimostrato anche un ottimo strumento di coaching nel fast track.
Oggi, con un elenco di prestazioni erogabili in remoto, una guida all’utilizzo del sistema di telemedicina e del trattamento dei dati personali, questo sistema è diventato parte integrante del nostro Sistema informativo ospedaliero.
Con gli ambulatori chiusi, quanti pazienti si sono rivolti a voi in telemedicina per gestire il dolore?
Prima di Covid19, al nostro Pronto Soccorso arrivavano in media circa 60 pazienti al giorno da vedere in ambulatorio. Durante l’emergenza da Covid19, questi pazienti sono… “spariti”. Per dare un’idea, siamo passati dagli ambulatori pieni, a gestire una-due telefonate al giorno per un tempo medio valutato in 5 minuti ciascuna.
Mentre si è ovviamente ridotto nella fase di lockdown il numero delle persone che si rivolgono al nostro ospedale per dolore da patologia traumatica e traumatismo da sport, tuttavia nello stesso periodo si è ridotto drasticamente anche l’accesso e la richiesta da parte di chi soffre di dolore da patologia non traumatica.
Nelle prime settimane di Fase 2 il trend è cambiato?
Con la riapertura in sicurezza degli ambulatori, il trend è tornato in crescita. È però cambiato il tipo di dolore per il quale il paziente si rivolge a noi. Oggi vediamo, in ambulatorio e in telemedicina, pazienti con dolore tipico del sedentario, come dolori trocanterici, dolori al gomito, in gran parte causati da eccessivo riposo, ma anche da iperalimentazione come le entesopatie e la gotta.
La telemedicina è una modalità sufficientemente efficace per trattare questo paziente e gestire le eventuali prescrizioni terapeutiche?
Certamente la telemedicina ha rappresentato un progresso, e forse l’emergenza da Covid19 è stato un mezzo per sviluppare uno strumento della medicina non valorizzato prima.
La telemedicina funziona, e ha funzionato bene durante l’emergenza, almeno nel nostro ambito dell’ortopedia.
In che modo, secondo lei, potrà essere applicata anche in futuro?
Questa situazione sanitaria e la necessità conseguente di pensare e mettere in atto misure e procedure d’emergenza per la gestione dei pazienti, è stata per noi l’opportunità di ridefinire i criteri di gestione evidence based medicine per ogni singola patologia/trauma, con percorsi chiari e condivisi, e poi inseriti nei glossari dei sistemi informatici, permettendoci inoltre di trovare il modo per ridurre, anche in futuro, i tempi di refertazione.
Ridefinire, per esempio, i criteri di invio agli ambulatori di ortopedia da parte dei medici di medicina generale, ha agevolato e agevolerà una gestione più efficace nell’indirizzare il paziente verso l’ambulatorio specialistico giusto in base al tipo di dolore e di diagnosi. Per esempio, il paziente con gonalgia già diagnosticata che non vuole ricorrere alla chirurgia, dovrà essere indirizzato alla fisioterapia, o alla terapia del dolore, ecc. Insomma, credo la telemedicina avrà un ampio sviluppo. Aveva solo bisogno di un’occasione valida per dimostrare la sua utilità.
Liana Zorzi
Giornalista Tabloid di Ortopedia