
Federico Gelli
In un convegno all’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, il relatore della legge sulla responsabilità professionale, Federico Gelli, ha spiegato il meccanismo di una norma che prova a ricomporre la relazione, oggi sfilacciata, tra medico e paziente
Promosso dalla Regione Emilia Romagna e organizzato dalle quattro aziende sanitarie metropolitane, si è tenuto lo scorso giugno all’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna un incontro con il preciso obiettivo di fare chiarezza rispetto ad alcuni quesiti che tutti i professionisti della sanità si sono posti all’indomani dell’approvazione della nuova legge sulla responsabilità medica. Un incontro tra i tanti, con esperti di diritto civile e penale, oltre che rappresentanti della Regione e dell’Università di Bologna, ma qualificato anche dalla presenza dello stesso Federico Gelli, responsabile sanità del Partito Democratico e relatore della legge che ormai tutti associano al suo nome. A seguire i lavori c’eravamo anche noi di Tabloid di Ortopedia.
Recuperare il rapporto medico-paziente
«Non è pensabile che con una legge si possano risolvere tutti i mali della sanità di questo Paese, specie con tutte le differenze che ci sono sul territorio italiano», ha esordito Gelli dal palco del convegno, dichiarando però che la scommessa più importante che la legge si propone di vincere è di contribuire al recupero di quella alleanza terapeutica tra operatori sanitari e pazienti che si è venuta incrinando sempre di più negli ultimi tempi.
Secondo l’onorevole, è importante un’azione preventiva. «Il nostro compito non deve essere esclusivamente di ridurre il contenzioso e la medicina difensiva. Certo abbiamo il diritto-dovere che le risorse che ci vengono affidate dai cittadini vengano utilizzate al meglio in termini di spesa sanitaria e non possiamo permetterci di buttare al vento diversi miliardi all’anno in medicina difensiva. Ma dobbiamo innanzitutto agire per evitare che un evento sentinella, un semi-errore, un potenziale rischio diventi un danno a carico del nostro assistito, della persona che abbiamo in cura».
La gestione del rischio e il nodo assicurativo
Ecco quindi l’importanza di una serie di strumenti inseriti nella legge. Esiste, per esempio, un principio di omogeneizzazione delle forme di autogestione del rischio, per evitare che ogni Regione abbia il proprio sistema e che i cittadini abbiano diritti garantiti in maniera differente a seconda della Regione in cui vivono. «L’idea – ha spiegato Gelli – è che rimanga l’autonomia delle singole Regioni, ma in una cornice che garantisca a tutti il diritto alla sicurezza delle cure; con il primo articolo delle legge noi introduciamo questo nuovo diritto, la sicurezza delle cure, all’interno del più ampio diritto alla salute garantito dall’articolo 32 della Costituzione».
Da questa premessa discende l’obbligatorietà della copertura assicurativa: «vi scandalizzate se vi dico che il più grande ospedale del sud non ha nessuna forma di copertura, né assicurativa né di autogesione del rischio»?
Il provvedimento prevede la costituzione e valorizzazione della funzione di risk management all’interno delle strutture sanitarie e socio-sanitarie del Paese, pubbliche e private, in maniera multiprofessionale e multidisciplinare, che dovrebbe diventare il luogo principale dell’azione di prevenzione, in sinergia con centri regionali di rischio clinico e la sicurezza delle cure, che avranno il compito di omogeneizzare, definire linee guida e linee di indirizzo, per un intervento importante all’interno dello stesso contesto regionale. Questi dati dovranno confluire poi nell’Osservatorio nazionale costituito all’interno dell’Agenas, perché il tema del risk management diventi patrimonio dell’intera comunità scientifica del Paese.
Documentazione sanitariadigitale e trasparenza
«Un altro argomento che ritengo molto importante – ha detto Gelli – è quello della trasparenza dei dati; noi dovremmo lavorare affinché le nostre strutture pubbliche e private non si nascondano dietro un filo d’erba sul tema del contenzioso, ma che in maniera trasparente attraverso i propri siti web informino i cittadini, i propri potenziali assistiti, riguardo all’entità del contenzioso, alle coperture, ai massimali e a tutta la propria attività», in modo da permettere al cittadino di scegliere liberamente e in modo informato la struttura a cui rivolgersi.
L’ultimo argomento trattato da Gelli nell’incontro al Rizzoli di Bologna è quello della documentazione sanitaria. «Noi ci troviamo in una condizione primitiva, continuiamo ancora oggi a utilizzare la cartella clinica cartacea negli ospedali. Le famiglie degli assistiti che ne fanno richiesta ricevono fotocopie di cartelle cliniche, spesso scritte male, in maniera svogliata dagli operatori della sanità e anche da molti medici; con foglietti di esami che si aggiungono a seconda dei casi. È una cosa da paese del terzo mondo», ha sostenuto Gelli e ha rilevato che la quasi totalità delle azioni di responsabilità nei confronti dei professionisti si basa proprio sulla cartella clinica. «Il software per gestire la cartella digitale esiste già e molte strutture pubbliche ne fanno uso, guadagnando in trasparenza, comprensibilità, affidabilità e facile riproduzione dell’originale».
Il meccanismo della legge
L’impianto della norma, ha riassunto l’onorevole, sposta l’attenzione prevalente sul tema dell’azione civile e della prevenzione in termini risarcitori nei confronti delle strutture: «il paziente si rivolgerà alla struttura e, all’interno di un rapporto che rimane di natura contrattuale, quest’ultima dovrà motivare e giustificare gli eventuali problemi o incidenti. L’assistito avrà la possibilità di avere una risposta in maniera stragiudiziale, tempestiva e certa, cosa che crediamo aiuterà moltissimo a deflazionare il contenzioso».
Infine è lo stesso autore della legge a ritenere che riguardo alla parte riferita al giudizio penale ci sia bisogno di fare un aggiustamento, argomento ripreso dai penalisti presenti al convegno, il procuratore capo di Bologna Giuseppe Amato e il professore di diritto penale Vittorio Manes.
Il parere dell’esperto di diritto penale
Vittorio Manes è professore ordinario di diritto penale all’Università di Bologna, dove insegna diritto penale dell’economia e istituzioni di diritto penale, ma all’Istituto Ortopedico Rizzoli è di casa, essendo figlio di quell’Emilio Manes, ortopedico e traumatologo, che all’istituto bolognese ha lavorato per molti anni, oltre a esercitare la propria attività accademica nello stesso ateneo “Alma mater” del capoluogo emiliano. Intervenuto a commento della legge sulla responsabilità professionale degli operatori della sanità, ne ha innanzitutto riconosciuto l’importanza, confermando le parole dello stesso Federico Gelli. «È apprezzabile nel metodo, nel merito e innanzitutto nella finalità, che è molto chiara: porre riparo alla frattura dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente che, soprattutto davanti ai giudici penali, si è consumata nell’esperienza italiana recente, per ripristinarla con un più corretto equilibrio tra tutela del paziente e garanzia di sicurezza per il medico curante; la legge persegue innanzitutto un mutamento strategico estremamente importante, passando da una logica sanzionatoria di repressione a una di carattere preventivo».
Inoltre, in prima linea vi sono i controlli civilistici e solo in una logica di sussidiarietà e di estrema ratio si ricorre al diritto penale. Manes ha rilevato che il diritto penale è di facile utilizzo a fronte di fenomeni di impatto sociale, perché ha una componente simbolica placativa attraverso l’individuazione di un responsabile penale: «ma il diritto penale ha costi altissimi, è un farmaco che cura ma distrugge i diritti delle persone coinvolte, primo fra tutti quel bene immateriale che è costituito della reputazione, così difficile da raggiungere e facile da perdere, anche se poi arriva un’assoluzione. La riforma è dunque apprezzabile per questo mutamento strategico; anteporre il civile ha un ruolo ulteriormente deflattivo, perché nella malpractice il diritto penale è utilizzato come leva, come strumento, ad assicurare il soddisfacimento delle pretese civilistiche, il risarcimento del danno. Si sa bene che quando viene risarcita la parte civile in un processo penale il processo perde d’interesse».
Ci sono però alcune perplessità ed è lo stesso padre della riforma, l’onorevole Gelli, a ritenere che la parte più debole sia proprio quella sulla responsabilità penale, perché le scelte lessicali e terminologiche che sono state adottate non sono le più convincenti.
«Ma ora che la legge è stata approvata – ha dichiarato Manes – dobbiamo cercare di darne un’interpretazione sostenibile, altrimenti avrebbe ragione chi dice che i giuristi sono bravissimi a trovare per ogni soluzione un problema. Il messaggio dal punto di vista penalistico è piuttosto chiaro. Orizzonte di fondo per la valutazione dell’attività del medico sono le linee guida accreditate oppure le buone pratiche, che non solo hanno il grado di formalizzazione di una linea guida, ma che possono essere utilizzate in maniera suppletiva ove questa manchi»: il riferimento alle buone pratiche è proprio la valvola di sfogo che permette una maggiore duttilità.
«Il secondo messaggio è in relazione alla categoria dell’imperizia, che è il punto un po’ più critico e impone al giurista l’obbligo di distinguere le diverse tipologie di violazione che un medico può aver commesso: come distinguerla dalla negligenza o dall’imprudenza? L’aver assunto maldestrmente un consenso informato è imperizia o negligenza? È una partita aperta su cui i giuristi si dovranno esercitare, ma il messaggio è chiaro, le linee guida diventano parametro di confronto, sempre che risultino adeguate al caso concreto: sono raccomandazioni operative che hanno una valenza di massima, nascono dalla standardizzazione di casi, ma esistono i casi eccezionali e quelli più complessi e delicati, esistono per esempio le comorbilità. Allora si è voluto riconoscere al medico la possibilità di manifestare la propria autonomia di scelta terapeutica. Come? Verificando appunto l’adeguatezza della linea guida al caso concreto. E non credo che servano poteri divinatori per presagire che proprio su questo punto si dispiegherà il maggior sforzo difensivo e il maggior spazio dialettico tra i consulenti tecnici del pubblico ministero e della difesa».
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia
LE PRINCIPALI NOVITÀ DELLA LEGGE GELLI-BIANCO
“Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”: più nota come Legge Gelli-Bianco, era attesa da anni ed è in vigore dallo scorso aprile. Le novità previste sono numerose e di grande rilievo. Riportiamo qui alcune tra le più rilevanti.
L’articolo 8 prevede il tentativo obbligatorio di conciliazione. Chi intende esercitare un’azione innanzi al giudice civile relativa a una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria è tenuto preliminarmente a proporre ricorso al giudice competente. Solo se la conciliazione fallisce o non si conclude entro sei mesi, la domanda diviene procedibile.
Riprendendo un concetto della precedente Legge Balduzzi, la Gelli-Bianco stabilisce che l’azione di rivalsa nei confronti dell’esercente la professione sanitaria può essere esercitata solo in caso di dolo o colpa grave.
A questo proposito, l’articolo 10 dispone che «le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private devono essere provviste di copertura assicurativa o di altre analoghe misure per la responsabilità civile verso terzi e per la responsabilità civile verso prestatori d’opera […] anche per danni cagionati dal personale a qualunque titolo operante presso le strutture». La disposizione «si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale, nonché attraverso la telemedicina». È anche ribadita l’obbligatorietà dell’assicurazione per tutti i liberi professionisti.
Il ricorso alla giustizia penale è limitato. Uno dei passaggi più rilevanti è nell’articolo 6: «qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto».
A tale proposito, la legge prevede l’istituzione presso l’Agenas di un Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, che dovrà occuparsi della prevenzione e gestione del rischio sanitario e del monitoraggio delle buone pratiche per la sicurezza delle cure, oltre che della formazione del personale esercente le professioni sanitarie.
Le linee guida assumono dunque una centralità anche nel contenzioso, ma chi le deve redigere? Possono essere elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati, nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del ministro della Salute. In loro assenza, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali.