Sulla scorta dell’esperienza maturata in ambito vertebrale con cifoplastica e vertebroplastica, si studia un approccio chirurgico al rischio della frattura di femore «È necessario un cambio di metalità» spiega l’ideatore della femoroplastica
In ambito ortogeriatrico, stanno emergendo metodiche innovative, come la femoroplastica. La tecnica permette di trattare l’osso malato, ormai vuoto, con un rinforzo meccanico di titanio e l’iniezione locale di sostanze che ripristinano le caratteristiche di resistenza originali, stimolando anche la crescita di osso sano. A introdurre questa tecnica è stato Rinaldo Giancola, per molti anni primario del reparto di ortopedia dell’ospedale San Carlo Borromeo di Milano e oggi direttore del reparto di ortopedia della clinica G.B. Mangioni Hospital di Lecco.
Sul periodico dell’Associazione italiana di traumatologia e ortopedia geriatrica (Aitog), società scientifica di cui Giancola è past president, l’autore ha pubblicato un report allo scopo di stimolare un confronto sulla femoroplastica (Giancola R, Ferrara F, Antonini G. La femoroplastica: rinforzo nel femore prossimale a rischio di frattura. Aitog Oggi, ottobre-novembre 2020, nr. 9). «Con il passare del tempo – scrive – le strategie preventive basate solo sull’aspetto farmacologico-riabilitativo si sono dimostrate insufficienti. È arrivato il momento, come già pioneristicamente intrapreso, non senza difficoltà, da alcuni centri traumatologici italiani ed esteri, di considerare l’opzione chirurgica: è importante, vista la popolazione che ne beneficerà, che l’intervento sia ben tollerato e a basso rischio perioperatorio. Con la femoroplastica il paziente deambula da subito e può essere dimesso il giorno dell’intervento, iniziando a giovare della riduzione del rischio di frattura, e quindi delle relative conseguenze in termini di disabilità e costi economici e sociali, già dall’immediato post-operatorio».
Professor Giancola, com’è nata l’idea della femoroplastica?
È noto come le fratture del femore prossimale costituiscano ormai uno dei massimi problemi di sanità pubblica a livello mondiale, con un’incidenza destinata a crescere a causa dell’invecchiamento della popolazione.
La prevenzione delle fratture è in realtà un campo ancora in gran parte inesplorato. Il trattamento dell’osteoporosi è giustamente promosso quale caposaldo contro le fratture da fragilità, sono emerse tuttavia importanti criticità: in particolare compliance, effetti collaterali, effetto delle terapie dilazionato del tempo. Gli effetti di queste criticità sono sotto gli occhi di tutti: l’incidenza di fratture è ancora troppo alta, l’emergenza rimane.
L’ipotesi è che occorra un vero e proprio cambio di mentalità: in primis è necessaria la percezione che l’osso dell’anziano è un osso malato, per lo “svuotamento”, qualitativo e quantitativo, in termini di tessuto osseo, a cui è sottoposto.
Ormai da diversi anni usiamo un metodo innovativo per il trattamento delle fratture da fragilità, oltre che di altre patologie come l’osteonecrosi o l’edema midollare. Ha una triplice funzione: stabilità meccanica, la possibilità di riempire, in modo selettivo, il vuoto tipico dell’osso dell’anziano, un’agevolata rigenerazione biologica dell’osso stesso. Sulla scorta dell’esperienza maturata in ambito vertebrale con cifoplastica e vertebroplastica, abbiamo deciso di traslare l’esperienza acquisita nel trattamento delle fratture, nel tentativo di rafforzare il femore, mediante la femoroplastica, prima che avvenga la frattura.
Per quali pazienti è indicata e cosa permette di ottenere?
È in via di definizione il protocollo di trattamento: si baserà, oltre che sulla densità ossea e i relativi score di stratificazione del rischio di (come Frax e Defra), anche sull’identificazione di soggetti con fattori predisponenti tali da determinare una particolare urgency to treat: per questi pazienti sarebbe necessario ridurre la probabilità di frattura nel minor tempo possibile.
La prima popolazione di persone da trattare è quella dei pazienti già fratturati, ad altissimo rischio di successiva frattura femorale già nel primo anno. In futuro la metodica andrà estesa alla maggior parte delle persone anziane, a rischio di conseguenze catastrofiche per la salute in seguito a banali cadute.
Quali sono i vantaggi rispetto agli approcci tradizionali?
Non si può parlare di approcci tradizionali, in quanto le tecniche di rinforzo profilattico del femore prossimale sono ancora pionieristiche: rispetto alle altre metodiche proposte (Y-strut in Francia, Pns in Italia), la femoroplastica, oltre a prevedere l’impianto di un dispositivo in titanio, con le conseguenti ottimali caratteristiche di stabilità meccanica, prevede l’apposizione locale di paste osteoconduttive, con un relativo marcato ruolo biologico: gli autori mostrano infatti piena trasformazione dell’innesto e successivo rimodellamento osseo a nove-dodici mesi dall’impianto, per uno dei prodotti comunemente utilizzati con la metodica nel trattamento delle fratture.
È inoltre possibile paragonare la femoroplastica alla terapia antiosteoporotica: rispetto a quest’ultima, la nostra metodica permette di ridurre da subito il rischio di frattura. Inoltre, viene eliminata la variabilità nel trattamento dovuta alla scarsa compliance: il paziente non deve fare altro che sottoporsi alla procedura per avere una protezione immediata e duratura; infine, si evitano gli effetti collaterali e i rischi dovuti alle terapie antiosteoporotiche attualmente in commercio.
In particolare, come avviene la riabilitazione?
Non occorre riabilitazione: l’intervento è estremamente mininvasivo. Può svolgersi in anestesia locale e il paziente può caricare immediatamente dopo l’intervento.

Intervento di femoroplastica, scopia intraoperatoria. Femore con due viti e pasta di idrossiapatite che riempie l’osso in una frattura del collo femorale
In cosa consiste precisamente la tecnica?
La procedura consiste nell’impianto, tramite una mini-incisione di circa due centimetri, di una vite in titanio canulata e forata mediante strumentario dedicato e sotto controllo scopico, a stabilizzare le aree maggiormente a rischio in accordo con il giudizio del chirurgo.
Si prosegue successivamente con la augmentation del femore prossimale mediante paste d’osso (idrossiapatite, tricalcio fosfato) e infine con il posizionamento di un apposito plug (tappo) all’interno della vite, con il duplice scopo di incrementare la resistenza meccanica del costrutto e permettere l’eventuale futura ripetizione dell’innesto biologico, se occorresse.
È una tecnica che si sta diffondendo o la sua applicazione resta limitata?
È imminente la possibilità di sottoporsi alla metodica, in alcuni centri selezionati, nei casi in cui fosse necessario un trattamento urgente a carico di femori ad elevato incombente rischio di frattura da fragilità.
Esistono dati scientifici riguardo ai risultati?
È auspicabile l’avvio di progetti di ricerca e trattamento di tipo multicentrico, su scala nazionale: sono già stati predisposti i relativi protocolli scientifici, in sinergia con esperti epidemiologi ed esperti di bioetica e medicina legale.
Qual è la sua esperienza?
È già stato sottolineato come, con la stessa metodica, i pazienti con frattura sottocapitata del femore hanno potuto giovare, mediante una procedura dalla minima invasività, di stabilità meccanica, di un vero e proprio riempimento del femore fratturato, gravemente porotico, financo alla rigenerazione biologica dello stesso.
Sono stati trattati con successo oltre cento pazienti con frattura dell’anca ed è in corso uno studio multicentrico per confrontare i risultati con le tecniche tradizionali: come detto, è giunto forse il momento di traslare l’esperienza acquisita nel trattamento delle fratture, per rinforzare il femore prossimale prima della frattura.
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia