
Biagio Moretti
Per Biagio Moretti l’università deve cambiare approccio nella formazione degli specializzandi e andare oltre gli aspetti clinici e meccanici. Perplessità anche verso un possibile reclutamento ospedaliero troppo precoce dei giovani specializzandi
L’ortopedia è cambiata: oggi, quando si fa riferimento alla disciplina, si parla di una specialità che spazia moltissimo e che comprende elementi di meccanica, microchirurgia, bioingegneria, biomateriali, microbiomeccanica e, ovviamente, scienze di base, che rappresentano il supporto imprescindibile per poter interpretare la guarigione delle fratture e delle lesioni muscolo-tendinee, allestendo programmi terapeutici finalizzati. È questa la prima considerazione del professor Biagio Moretti, direttore della scuola di specializzazione di Ortopedia e Traumatologia dell’Università di Bari, a margine del congresso dell’Associazione italiana specializzandi in ortopedia e traumatologia (Aisot).
«Possiamo quindi capire quanto sia indispensabile una notevole preparazione, non limitata agli aspetti clinici e “meccanici”, tipica dei tempi passati, ma di carattere ampio, a 360 gradi, nella quale trovino collocazione, in misura adeguata, un bagaglio di conoscenze di carattere biologico e meccanico – ha detto Moretti, che è anche vicepresidente della Società italiana di ortopedia e traumatologia (Siot) –. Non dobbiamo più formare un “ortopedico-meccanico”, ma uomini e donne in grado di interpretare al meglio la propria professione di specialisti, che siano chirurghi o ambulatoriali, ma anche di saper leggere un lavoro scientifico, di partecipare a convegni, di parlare in pubblico e di disporre di un bagaglio culturale aggiornato, indispensabile per trattare al meglio le varie patologie. E questo è un compito difficile sia per i docenti che per i discenti stessi».
Il necessario cambiamento nelle modalità formative universitarie, secondo Moretti, è dato non solo dal cambio della professione, ma anche dagli stessi giovani, che si fanno portatori di un nuovo approccio allo studio, un approccio diverso che deve «più che altro indurre noi docenti a un ripensamento sulla nostra capacità didattica e formativa, superando quelle impostazioni metodologiche che, pur mantenendo un’importanza storica, sono ormai superate e non adeguate alle esigenze attuali. I ragazzi sono molto motivati e vogliono subito “darsi da fare”. La risposta che veniva data a noi in tempi passati, ma anche più recenti, era “guarda e, al momento opportuno, saprai fare”, oggi appare assolutamente fuori luogo perché i giovani, fin dal primo anno, chiedono di poter essere introdotti in un percorso pratico. Quindi dobbiamo essere pronti a confezionare un’offerta in grado di creare un appeal per la nostra specialità».
Come fare quindi per non perdere l’attrattiva sui giovani in formazione? Secondo Biagio Moretti, introducendo una didattica che non sia soltanto ristretta a lezioni classiche o a cadaver lab, ma che spazi per poter garantire la crescita dello studente in termini di formazione pratica, professionalizzante, generale e scientifica, assicurando i rapporti con altre sedi e con realtà diverse, lontane e stimolanti per il discente, anche attraverso fellowship e periodi di approfondimento presso istituzioni nazionali ed estere di un certo livello.
La questione finanziaria
Tuttavia, come è facile intuire, per garantire una didattica moderna che risponda alle nuove necessità della formazione è necessario, in primo luogo, un apporto finanziario adeguato e sufficiente, cosa che non sempre si riesce a ottenere. «Garantire percorsi formativi adeguati diventa problematico perché i fondi di cui disponiamo non sono infiniti – riflette Moretti –. Anzi, sono purtroppo molto limitati. Nella scuola di Bari, ad esempio, abbiamo 78 medici in formazione, distribuiti nei 5 anni, che devono seguire un percorso ministeriale che prevede, oltre la didattica frontale classica, cadaver lab e corsi avanzati teorico-pratici, molto costosi, e il tutoraggio continuo, ma “con le mani sul paziente” che acquisisce un’importanza strategica soprattutto nella rete formativa più che nelle strutture universitarie canoniche. Noi, come struttura universitaria – spiega il direttore della scuola di Bari ai microfoni di Siot News –, dobbiamo rappresentare il polo di riferimento per la didattica, classica e moderna, per la formazione e la preparazione all’attività scientifica dello specializzando, che svolgerà la sua preparazione professionalizzante soprattutto nelle sedi comprese nella rete di formazione correlata alla scuola di specializzazione, seguito da tutor certificati».
Infine per Biagio Moretti, nel contesto dell’innovazione didattica e della sostenibilità di alcune proposte, è bene considerare le potenzialità che la telemedicina può offrire, sia sotto l’aspetto assistenziale (recupero del rapporto medico-paziente e gestione delle liste di attesa e dei posti letto) che educativo-formativo (ottimizzazione delle forme più avanzate di training, come la realtà virtuale, quella aumentata e mista che possono integrare l’accesso ai cadaver lab spesso insostenibili, nell’ottica di migliorare la curva di apprendimento e garantire una chirurgia di precisione) che di ricerca (intelligenza artificiale e machine learning).
Le criticità di un reclutamento precoce
Completare la formazione sul campo non dovrebbe però significare trasformarsi in forza lavoro. Per Moretti infatti «un reclutamento troppo precoce ingigantisce i problemi di una corretta formazione e non assicura al ragazzo il percorso di crescita fisiologico che dovrebbe essere, al contempo, didattico, scientifico, di ricerca e assistenziale». Il riferimento è alla possibilità ventilata a livello politico di rafforzare l’impiego straordinario degli specializzandi, iniziato nel periodo della pandemia. «Di fatto è come abortire il percorso formativo – ribatte Moretti –. Reclutare i ragazzi già dal primo anno della specializzazione significa obbligarli a sacrificare il periodo più importante del loro percorso di crescita, quello dedicato allo studio e all’approfondimento scientifico nonché alle relazione con gli altri colleghi di sedi diverse. E questa fase non potrà mai più essere recuperata dopo il termine del periodo di formazione, quando lo specialista dovrà lavorare sul territorio senza sosta. Il reclutamento precoce, pertanto, ingigantisce i problemi di una corretta formazione e non assicura al ragazzo il percorso di crescita fisiologico».
A questo proposito, gli specializzandi dell’Aisot hanno presentato al congresso i risultati di una survey nazionale, dalla quale si evince che il 95% di loro non è soddisfatto di questa impostazione (quella del così detto Decreto Calabria).
Luca Marelli
Giornalista Tabloid di Ortopedia