
Gaia Spinetti
All’allungamento della vita non corrisponde sempre un aumento degli anni in salute e molti anziani all’apparenza sani sono, in realtà, più fragili di altri: hanno difficoltà a far fronte agli eventi stressanti della vita, si ammalano più facilmente e diventano presto meno indipendenti.
Uno studio della Fondazione MultiMedica Onlus, con il supporto di Fondazione Cariplo, intende dimostrare che la causa di questa fragilità sia la disfunzione delle cellule rigenerative contenute nel midollo osseo, che porterebbe a un invecchiamento in qualche modo accelerato. Il processo potrebbe essere reversibile: con adeguati interventi nutrizionali e di esercizio fisico, le cellule riparative potrebbero tornare ad aumentare, indicando un recupero della funzionalità midollare.
«La fragilità è caratterizzata da perdita di massa muscolare e ossea, con debolezza, ridotta mobilità, aumentato rischio di fratture, anemia, rallentamento nella guarigione delle ferite, predisposizione alle infezioni e declino cognitivo – spiega il professor Paolo Madeddu di Fondazione MultiMedica durante il convegno “L’anziano fragile: dai meccanismi molecolari alla presa in carico clinica” –. Molti sintomi della fragilità possono essere attribuiti al midollo osseo, l’organo che costituisce la principale riserva di cellule staminali e che presiede al mantenimento della omeostasi dell’intero organismo. Finora, però, nessuno studio specifico ha dimostrato l’associazione tra la disfunzione del midollo osseo e la fragilità. L’obiettivo del nostro progetto è proprio quello di mettere in relazione le alterazioni quantitative e funzionali delle cellule riparative presenti nel midollo osseo e in circolo nel sangue con la fragilità, misurata attraverso un questionario standard riconosciuto a livello internazionale. Proponiamo poi di intervenire con l’esercizio fisico e la terapia nutrizionale, per invertire il circolo vizioso che porta all’inattività, alla mancata forma fisica e alla disabilità».
«Attualmente stiamo arruolando i pazienti – ha detto Gaia Spinetti, biologa della Fondazione MultiMedica –. Sono soggetti sottoposti a protesi d’anca per artrosi, nei quali possiamo studiare il midollo osseo presente nella testa del femore che, invece di essere considerata materiale di scarto operatorio, viene inviata al nostro laboratorio per l’analisi della struttura e dell’abbondanza di cellule riparative. Per ogni paziente facciamo una stima dell’indice di fragilità secondo i criteri dello score di Rockwood, un punteggio da 0 a 40 che tiene conto dell’indipendenza nello svolgere le attività della vita quotidiana, di una valutazione psico-sociale, di eventuali comorbidità, dello stato mentale e di quello nutrizionale, della capacità polmonare e della forza muscolare. Da 0 a 16 abbiamo un indice di fragilità lieve, da 16 a 27 moderato e da 27 a 40 severo. Cercheremo poi di capire se ai diversi livelli di fragilità misurati nei pazienti corrispondono specifiche caratteristiche del midollo osseo – ha spiegato la biologa –. Ci aspettiamo di rilevare nei pazienti più fragili una diminuzione della quantità di cellule riparatrici midollari e circolanti. Auspichiamo, inoltre, che gli interventi nutrizionali e di esercizio fisico correlino invece con un aumento delle cellule riparative, indicando un recupero della funzionalità midollare. Un primo dato preliminare già emerso è l’effettiva associazione inversa tra il livello di attività fisica e la fragilità: più esercizio si pratica, meno si è fragili».
La proteina dei centenari
Al convegno, che si è tenuto a inizio marzo presso l’Irccs MultiMedica di Sesto San Giovanni (Milano), sono stati discussi anche gli ultimi avanzamenti di un ulteriore progetto di ricerca che vede insieme Fondazione MultiMedica e Fondazione Cariplo sulla “proteina anti-invecchiamento”, la BPIFB4 e la sua variante Lav (Longevity-Associated Variant), identificata grazie a una serie di studi durati anni, grazie ai quali è stata rilevata in misura maggiore nei centenari rispetto alla popolazione generale. «Questa variante è stata selezionata dal processo evolutivo per l’adattamento all’ambiente – evidenzia il professor Annibale Puca di Fondazione MultiMedica –. La proteina, abbondante nei centenari sani, ha un grosso potenziale terapeutico come accertato dalla sua somministrazione in modelli animali di disfunzione endoteliale, ischemia periferica, ipertensione, aterosclerosi e fragilità (questi ultimi dati sono ancora preliminari o non pubblicati). I meccanismi attraverso i quali la proteina opera sono stati in parte svelati. Ulteriori sforzi sono necessari per la piena comprensione dei potenziali terapeutici della Lav ed è su questo fronte che ci stiamo concentrando».
Andrea Peren
Giornalista Tabloid di Ortopedia