Le performance degli ospedali italiani si avvicinano allo standard minimo del 60% fissato dal ministero della Salute, ma nel rapporto del Programma nazionale esiti emergono molte situazioni critiche, soprattutto al Sud
Secondo i dati dell’ultimo rapporto del Programma nazionale esiti (Pne) dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), pubblicato poco prima della fine del 2016, in Italia la proporzione di interventi per la frattura del collo del femore ai soggetti fragili sopra i 65 anni entro 48 ore è passata dal 31% del 2010 al 55% del 2015, crescendo del 5% anche rispetto al 2014. Negli ultimi 5 anni sono circa 80.000 i pazienti che hanno beneficiato di un intervento tempestivo, di cui 28.000 nell’ultimo anno. Oltre a un evidente beneficio di salute questo risultato si associa anche a un vantaggio in termini di risorse impiegate, con più di 670.000 giornate di degenza risparmiate, di cui 200.000 nel 2015.
La performance degli ospedali italiani, però, non è ancora in target: per questo indicatore, un intervento fondamentale sia dal punto di vista clinico che di razionalizzazione dei costi, il regolamento del ministero della Salute sugli standard quantitativi e qualitativi dell’assistenza ospedaliera ha fissato, come valore di riferimento, lo standard minimo al 60% (mentre lo standard internazionale atteso è superiore all’80%). Sempre secondo il rapporto del Pne, le strutture valutate che rientravano nello standard del 60% erano solo 70 nel 2010 e nel 2011 e sono salite a 161 nel 2014. Nel 2015 sono cresciute a 210, di cui 56 con valori superiori all’80%; 230 strutture sono ancora al di sotto dello standard previsto, di cui 53 addirittura con valori inferiori al 20%, dove solo un intervento su cinque viene eseguito entro i due giorni.
L’espressione percentuale del dato nazionale nasconde inoltre al suo interno delle sacche di criticità e, come spesso accade per le statistiche del nostro Paese, a livello intra e interregionale si osserva una notevole variabilità, con valori per struttura ospedaliera che vanno da un minimo dell’1% a un massimo del 97%. In ogni Regione è presente almeno una struttura che rispetta lo standard, fatta eccezione per Campania, Molise e Calabria, dove nessuna struttura raggiunge lo standard minimo.
In testa alla classifica degli ospedali con migliore performance, con una percentuale che sfiora il 98% degli interventi eseguiti entro 48 ore, c’è l’Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano.
IL PRIMATO DEL GALEAZZI
RICCARDO ACCETTA: «NATURA MONOSPECIALISTICA E ORGANIZZAZIONE
CONSENTONO QUESTI RISULTATI»

Riccardo Accetta, responsabile dell’Unità operativa di traumatologia e del Pronto Soccorso dell’Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano
Dottor Accetta, il raggiungimento di performance adeguate è un problema puramente organizzativo – e quindi legato alle risorse concesse dalle direzioni degli ospedali – oppure si possono evidenziare anche delle responsabilità precise dei clinici?
Le responsabilità sono sempre a tutti i livelli, perché alla fine sono le persone a far funzionare le cose, però obiettivamente la gran parte della funzionalità di un servizio di questo tipo dipende da variabili organizzative.
Sul femore entro 48 ore la collaborazione e disponibilità degli anestesisti è fondamentale e le loro responsabilità sono persino maggiori di quelle di noi ortopedici: è evidente che questi pazienti con frattura di femore sopra i 65 anni di età hanno una condizione clinica di pluripatologia e sono in cura con politerapia di base. Molto spesso questa politerapia è antiaggregante, una condizione che può diventare una giustificazione per ritardare l’intervento chirurgico finché i valori di INR non arrivino a certi livelli.
In ogni caso i dati del Pne vanno letti in un certo modo. Se rappresentano un buon metro di giudizio per un ospedale monospecialistico come il Galeazzi, perché la sua attività è giustamente focalizzata su quel problema clinico, è invece scorretto e fuorviante giudicare solo sul femore un ospedale generalista. Ad esempio il trauma center del Niguarda di Milano si occupa di politrauma ed è ovviamente penalizzato da valutazioni statistiche su un aspetto specifico come quello del femore entro 48 ore.
La vostra unità operativa ha raggiunto un livello di eccellenza in Italia per le fratture entro 48 ore sugli over 65. Come avete organizzato la gestione di questi eventi e come siete riusciti a garantire questa rapidità di intervento a quasi tutti i pazienti?
Anzitutto ci siamo dati un obiettivo ben definito già da un paio d’anni e c’è stata una volontà strategica dell’ospedale di raggiungere questo risultato. Sono stati così organizzati dei percorsi e si è fatto in modo che il sistema informatico dell’ospedale, oltre a mettere in rete le informazioni su tutti i pazienti e gli interventi programmati, grazie a uno specifico modulo sui femori mandasse un alert al programma generale e alle mail del responsabile degli anestesisti, al responsabile del pronto soccorso e della traumatologia e a quella del responsabile dell’ufficio accettazione ogni volta che in pronto soccorso entra un femore fratturato. Questo alert ci dà la possibilità di organizzarci e fare in modo che questi pazienti vengano visti in fretta e presi in carico per un intervento entro 48 ore.
Dal punto di vista organizzativo, il mio doppio ruolo di responsabile del reparto di traumatologia e del pronto soccorso fa sì che la gestione di questi pazienti e l’organizzazione dell’intervento siano più agevole e quindi veloci. In altri ospedali, anche monospecialistici, si alternato in pronto soccorso diversi reparti, ognuno con le sue peculiarità organizzative e le sue specifiche problematiche di lista d’attesa. Così il percorso per il traumatizzato non può che diventare eterogeneo a seconda di chi gestisce in quel momento il pronto soccorso.
In un caso ideale di piena efficienza organizzativa, quali sono i motivi clinici che determinano uno slittamento obbligato e giustificato dei tempi di intervento oltre le 48 ore? A suo giudizio è possibile spiegare alcuni numeri preoccupanti che escono dal rapporto del Pne con problematiche di questo tipo?
Francamente essere arrivati al 97% come abbiamo fatto noi significa essere praticamente al 100%. I casi non operati entro le 48 ore sono davvero eccezionali, come testimoni di Geova in cui la perdita ematica della frattura può portare a valori di emocromo preoperatori talmente bassi che occorre necessariamente riequilibrarli per qualche giorno prima di intervenire. Per il resto non ci sono altre controindicazioni specifiche: o il quadro clinico del paziente è così grave da non poterlo operare del tutto, oppure è comunque meglio operarlo entro le 48 ore, perché prima si opera e meno le complicanze aggiuntive tendono a peggiorare.
Credo che le cattive performance di alcuni ospedali sul femore possano essere spiegate solo come il retaggio di vecchi modelli clinico-organizzativi, quando il paziente veniva portato in reparto, messo in trazione e messo in coda alle protesi di elezione e alle protesi del direttore.
Leggendo i dati del Pne va detto che sono gli ospedali generali che hanno più problemi sul femore, a parte il Careggi che ha ottenuto splendidi risultati. Fondamentalmente le performance dipendono da quanti reparti di ortopedia si hanno: chiaramente è più facile occuparsi di un’emergenza di questo tipo se si hanno più reparti che possono intervenire.
Nel nostro percorso i femori trovano sempre posto e vengono sempre operati; magari facciamo in modo che i pazienti con fratture minori, che possono aspettare qualche giorno, vengano mandati a casa e richiamati il giorno dell’intervento. È chiaro che questo ci crea forti disagi e ci obbliga a organizzare il triplo di quanto si organizza normalmente ricoverando tutti e operandoli in base a quando sono arrivati. Organizzare percorsi di questo tipo è anche una questione di volontà.
Andrea Peren
Giornalista Tabloid di Ortopedia