A seguito di caduta accidentale, una donna di 70 anni si procurava la frattura sottocapitata instabile del femore sinistro (fig. 1). Questo tipo di frattura richiede solitamente un intervento di sostituzione protesica; in grandi anziani, pazienti con ridotta mobilità o affetti da importanti comorbilità, il trattamento indicato è invece l’endoprotesi. In questo caso, trattandosi di paziente in buone condizioni generali, è stata correttamente data indicazione di intervento di protesi totale d’anca.
Le radiografie post-operatorie (figg. 2 e 3) mostrano l’impianto di una protesi con stelo e cotile corretti nella misura e nell’orientamento. L’uso di viti, addirittura tre, per stabilizzare il cotile, è certamente conseguente al riscontro di assente o scarso pressfit del cotile nell’acetabolo. Infatti, il loro impiego è necessario quasi sempre in seguito a fresatura dell’acetabolo non congruente, oppure a insufficiente copertura ossea; in entrambi i casi il cotile impiantato può risultare instabile e pertanto le viti permettono di ottenere una fissazione iniziale in attesa della progressiva osteointegrazione del cotile, che si verifica nei mesi successivi.
Il fallimento protesico
Dopo un riferito iniziale periodo di benessere la paziente, per l’insorgere di febbre e dolore all’anca sinistra, a distanza di circa 8 mesi dall’intervento chirurgico si sottoponeva a TC del bacino. Nelle immagini TC (figg. 4 e 5) si apprezza in particolare:
– nella figura 4 in comparativa a sinistra il taglio coronale nel quale il cotile protrude nell’acetabolo e a destra il taglio assiale nel quale la lamina quadrilatera è assente in quanto sostituita dal polo del cotile evidentemente procidente nella pelvi;
– nella figura 5 il taglio TC in assiale compara al medesimo livello l’anca destra (immagine di destra) e l’anca sinistra (immagine di sinistra), dove è chiaramente evidente il polo superiore del cotile, segno che la lamina quadrilatera è stata fresata durante l’intervento.
Nei mesi successivi veniva escluso con ripetute indagini uno stato settico all’origine del dolore, della febbre e dei disturbi funzionali a carico dell’anca operata.
A 15 mesi dall’intervento la paziente si sottoponeva a radiografie del bacino che evidenziavano mobilizzazione della protesi con sfondamento dell’acetabolo e importante protrusione del cotile nella pelvi.
In seguito a tale riscontro si rendeva necessario un delicato intervento di asportazione della protesi, non essendo possibile l’immediata riprotesizzazione che, a due anni e mezzo dal primo intervento, risulta essere ancora un’opzione chirurgica da valutare.
È RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE DELL’ORTOPEDICO: ERRORE PER IMPERIZIA
Considerazioni ortopediche
L’analisi della storia clinica e delle indagini strumentali permette di affermare che durante l’intervento di impianto della protesi d’anca una troppo profonda fresatura del cotile ha rimosso completamente la parte più centrale della lamina quadrilatera, di cui peraltro non vi è alcun riferimento nel referto operatorio, fatto di per sé censurabile. In tale condizione il cotile, oltre a procedere parzialmente nella pelvi, è risultato instabile per cui si è reso necessario l’impianto di 3 viti.
Nonostante ciò il cotile non è mai risultato sufficientemente stabile e non si è osteointegrato, cosicché col passare dei mesi si è prodotta la sua mobilizzazione definitiva.
Tale mobilizzazione per l’assenza del fondo acetabolare, cioè di quella parte di lamina quadrilatera fresata eccessivamente durante l’intervento, ha condotto a sfondamento dell’acetabolo con grave e pericolosa protrusione del cotile nella pelvi.
Considerazioni medico-legali
In merito alle considerazioni tecnico-ortopediche si può quindi affermare che vi sia stato un inadeguato trattamento posto in essere in occasione della sostituzione protesica.
Si può ipotizzare che sia stata praticata una troppo profonda fresatura del cotile che ha rimosso completamente la parte più centrale della lamina quadrilatera, evento di cui non vi è riferimento nel referto operatorio ma che è la spiegazione più plausibile per il successivo decorso. In tale condizione, il cotile, oltre a procedere parzialmente nella pelvi, è risultato instabile per cui si è reso necessario l’impianto (inusuale nei casi non complicati) di 3 viti. Nel caso di specie sarebbe stato più opportuno scegliere un cotile differente, infatti in quella situazione nulla avrebbe impedito al cotile di farsi strada, facendo perno proprio sulle viti.
In caso di instabilità le viti dovrebbero essere posizionate al di fuori del cotile o, quanto meno, sarebbe stato necessario un gancio nel forame otturatorio per evitarne la protrusione.
Si è così venuto a realizzare un trattamento erroneo per imperizia, costituente il presupposto per il riconoscimento della responsabilità professionale in ambito civilistico, vista l’assenza di particolari difficoltà tecniche nell’atto chirurgico a giustificare quanto occorso. Il giudizio è rafforzato anche dal fatto che manca una puntuale descrizione nel referto operatorio.
La valutazione del danno
Per quanto riguarda gli aspetti prettamente valutativi del caso, alla luce della storia clinica brevemente riportata, deve essere anzitutto premesso che, a distanza di 30 mesi dal primo intervento, la perizianda sta effettuando accertamenti volti a valutare la possibilità (o meno) di riprotesizzazione.
Si può però ritenere che sia cessato il danno biologico temporaneo conseguente all’errore, quantificabile in circa 10 mesi di danno biologico temporaneo al 100% (dalla ripresa della sintomatologia, 8 mesi dopo il primo intervento, all’intervento di rimozione della protesi). In caso di riprotesizzazione dovremo aggiungere il periodo conseguente al nuovo intervento e alla riabilitazione.
Per quanto riguarda il danno permanente, la stima potrà essere effettuata solo quando si stabilirà definitivamente l’inoperabilità o, per contro, al termine dei trattamenti sanitari volti alla riprotesizzazione. Si può però formulare un approccio valutativo tenendo conto delle due ipotesi.
Per la valutazione del danno la legge 24/2017 ha previsto che il danno biologico nei casi di responsabilità sanitaria debba essere risarcito in base ai criteri, ai parametri e alle tabelle previste dagli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni: fino ad oggi tali tabelle sono state emanate per i danni da 1 a 10 (cd. micropermanenti), mentre per la valutazione da 10 a 100 siamo in attesa della imminente promulgazione delle tabelle, peraltro non esente da critiche (1).
Nel caso di specie il danno è molto maggiore del 10 per cento e allo stato il medico legale deve far riferimento per la valutazione alle tabelle dei più comuni barèmes medico-legali, mentre per la quantificazione economica si deve fare rifermento alle tabelle del Tribunale di Milano.
Nel caso in esame si dovrà valutare la condizione menomativa che deriva al danneggiato nel suo complesso, identificando poi l’entità del danno iatrogeno sempre in termini percentuali. Alla teoria del cosiddetto “danno differenziale” i medici legali hanno dato diverse interpretazioni, pur riconoscendo che la questione della monetizzazione del danno spetta, ovviamente, ad altre figure professionali.
Vi è comunque da dire che il cosiddetto “danno incrementativo” è stato pienamente accolto sia dalla giurisprudenza di merito che dalla Cassazione civile (sent. n. 6341 del 19 marzo 2014; n. 17219 del 29 luglio 2014; n. 28986 del 2019), ritenendo risarcibile la differenza tra il corrispettivo economico assegnabile allo stato complessivamente invalidante, compreso il peggioramento arrecato al predetto stato dalla prestazione sanitaria erronea, e il corrispettivo economico che sarebbe comunque conseguito alla lesione senza il danno iatrogeno, meccanismo accusato di pericolosi automatismi (2). Va da sé che se il nocumento iatrogeno non insiste sulla stessa funzione che è stata oggetto di prestazione sanitaria, risultando del tutto indipendente dallo stato anteriore, il criterio del danno differenziale non può trovare applicazione (3, 4, 5).
Conclusivamente, se da un lato si può affermare che per la frattura femorale e per i trattamenti (protesi) che comunque sarebbero stati necessari, sarebbe residuato un quadro menomativo stimabile orientativamente e mediamente attorno al 15% con riferimento all’integrità psicofisica (alla luce di quanto previsto dai comuni baremes di riferimento tra cui le linee guida Simla per la valutazione medico-legale del danno alla persona in ambito civilistico), dall’altro è molto probabile, in conseguenza della ulteriore cruentazione dei tessuti ossei e muscolari, che alla riprotesizzazione residuerà una menomazione stimabile nella fascia del 20-25%, motivo per il quale vi sarà un danno biologico permanente incrementativo pari alla differenza tra il 25% e il 15%.
Qualora invece risultasse inattuabile, il danno biologico permanente differenziale (o che dir si voglia incrementativo) sarà sicuramente di notevole maggiore entità, venendosi a realizzare un quadro invalidante complessivo paragonabile alla monoplegia dell’arto inferiore, con valutazione non inferiore al 55-60%.
Competenza del giudice sarà poi la liquidazione del danno morale, mentre saranno da risarcire anche le spese sostenute e da sostenere.
Bibliografia
1. Marozzi F. Tabelle 2018, un’operazione opaca, Insurance Daily, 4.3.2021.
2. Pedoja E. Criticità interpretative medico legali delle recenti sentenze della Cassazione in tema di “danno morale e “danno differenziale”. Notiziario Simla 202.
3. Buzzi F. Principi ispiratori e struttura delle linee guida. In: Linee guida per la valutazione medicolegale del danno alla persona in ambito civilistico. Giuffrè, 2016.
4. Ronchi E. Risarcimento del danno non patrimoniale, il danno differenziale-incrementativo: gliaspetti medico-legali. In: Ri.Da.Re., 14 luglio 2016.
5. Domenici R. Metodologia valutativa del danno biologico permanente. In: Linee guida per lavalutazione medico-legale del danno alla persona in ambito civilistico. Giuffrè, 2016.
6. Vasapollo D. La responsabilità dell’ortopedico. Maggioli Editore, 2019.
7. Donelli FM (cur.). La responsabilità dell’ortopedico. Implicazioni medico legali nei diversi scenari clinici. Griffin-Timeo, 2020.
Autori
Fabio Maria Donelli
Ortopedico e medico legale, Prof. a.c. presso la scuola di specializzazione in Ortopedia e Traumatologia dell’Università di Pisa
Mario Gabbrielli
Professore ordinario di medicina legale all’Università di Siena
Domenico Vasapollo
Già direttore della scuola di specializzazione
in Medicina legale, Università di Bologna
Luca Pieraccini
Specialista in medicina legale
Federica Ansaloni
Specialista in medicina legale