Una donna di 54 anni, di professione magazziniera, il 10 febbraio 2018 veniva coinvolta in un incidente motociclistico ad alta energia (incidente in itinere: infortunio sul lavoro). In pronto soccorso, dopo indagini cliniche, veniva refertato «trauma da impatto gamba sinistra in seguito a caduta da motocicletta. Non perdita di coscienza, ipertensione arteriosa, non altre comorbidità». La radiografia alla gamba sinistra evidenziava una frattura plurifocale esposta (Gustilo IIIB) dia-intercondiloidea, con avulsione del condilo femorale mediale e della rotula e lacerazione dell’apparato estensore; a ciò si aggiungeva una frattura del piatto tibiale omolaterale. La paziente veniva quindi ricoverata nel reparto di traumatologia d’urgenza.
Iter clinico
La paziente il giorno seguente veniva trasferita presso altro nosocomio, dove veniva rivalutata dall’ortopedico che, dopo indagini radiologiche, constatava una frattura da scoppio del femore distale e frattura di rotula, avulsione del condilo femorale mediale, perdita di sostanza dell’apparato estensore, frattura del piatto tibiale scomposta associata (fig. 1). Clinicamente si evidenziava una perdita di sostanza cutanea con esposizione dei monconi ossei e polsi periferici presenti. Veniva posta indicazione a intervento (debridment, lavaggio e fissazione temporanea con fissatore esterno a ponte e profilassi antibiotica con cefalosporine di seconda generazione), programmato per il giorno seguente. Alla paziente venne proposto un consenso informato generico e non fu informata sulle possibili complicanze.
Dopo tre settimane (1/3/2018) veniva eseguito un secondo tempo operatorio con trapianto da cadavere di osso più rotula e apparato estensore (tenorrafia TT quadricipitale). Anche in questa fase la paziente non fu informata sui rischi e le possibili complicanze dell’intervento (manca il consenso). La stabilizzazione della frattura e del trapianto veniva eseguita con placca e viti. Venivano successivamente eseguite multiple trasfusioni a seguito di anemizzazione post-operatoria. Veniva quindi dimessa 12 giorni dopo l’intervento (13/3/2018) senza prescrizione di terapia antibiotica.
L’infezione
Dopo la dimissione si verifica una mancata guarigione della ferita chirurgica, con comparsa di necrosi dei tessuti molli. Per tale ragione la paziente viene sottoposta a ulteriore intervento di bonifica chirurgica dei tessuti necrotici con asportazione di escara e di apparato estensore comprendente la rotula. Veniva quindi applicata apparecchiatura a pressione negativa (Vac).
La persistenza della sofferenza cutanea suggerì un consulto del chirurgo plastico, che il 12/5/2018 eseguì un primo intervento di transfert di gemello, fallito. Pertanto nei giorni successivi (20/5/2018) veniva revisionata la plastica con un innesto cutaneo libero (Thiersch). La paziente iniziava terapia antibiotica empirica con rifampicina, ciprofloxacina e gentamicina.
Alla sospensione della terapia antibiotica, protratta per 5 mesi, si assisteva alla ricomparsa del quadro settico. Alla valutazione clinica (15/10/2018) si riscontrava «fistola coscia distale con secrezione francamente purulenta, tumefazione della coscia, segni di flogosi locale». Veniva quindi eseguito un nuovo ciclo di terapia antibiotica non meglio documentata.
Nelle settimane successive (20/11/2018) si assisteva a un’esposizione della placca sul femore distale. La paziente veniva quindi indirizzata, nel febbraio dell’anno successivo, in un centro per il trattamento delle malattie infettive. Dopo esami colturali venivano isolati P. aeruginosa e Mrsa. Iniziava quindi terapia antibiotica mirata con daptomicina e ceftazidime, oltre a un ciclo di ossigenoterapia iperbarica.
A causa del persistere del quadro infettivo la paziente il 15/04/2018 veniva inviata presso la nostra unità operativa di Chirurgia ricostruttiva e delle infezioni osteoarticolari (Crio) dell’Irccs Ospedale Galeazzi – Sant’Abrogio di Milano, dove si eseguivano indagini radiologiche e sierologiche (tomografia, risonanza, indici di flogosi). Veniva quindi posta indicazione a un programma chirurgico di «rimozione placche e viti, asportazione dei tessuti necrotici (esame istologico e colturale) e artrodesi provvisoria con spaziatore fisso in cemento antibiotato, oltre a terapia antibiotica ad ampio spettro» (fig. 2). Gli esami colturali eseguiti intra-operatoriamente risultavano positivi per P. aeruginosa e S. capitis. Sulla base degli isolamenti iniziava terapia antibiotica mirata con vancomicina e meropenem protratta per 40 giorni. Il 3/6/2019 al controllo clinico si riscontrava «guarigione dei tessuti molli e normalizzazione della Pcr». Pertanto il 15/06/2019 si procedeva a intervento di rimozione dello spaziatore in cemento antibiotato, ripulitura di osso e parti molli e artrodesi definitiva con chiodo Link per grandi resezioni (megaprotesi) (fig. 3).
VALUTAZIONE MEDICO LEGALE
Ritardi e scelte sbagliate: la Condotta terapeutica dei sanitari è censurabile
La paziente è stata dichiarata stabilizzata dall’Inail alla fine del mese di ottobre 2019 e ha ripreso il lavoro con limitazioni di carico da parte del medico competente. A quattro anni dal trauma, la paziente è clinicamente guarita dall’infezione.
Attualmente lamenta lombalgia post-traumatica, dolore e limitazione funzionale dell’arto inferiore sinistro (artrodesi di ginocchio), deambulazione parzialmente compromessa per zoppia, ipomiotrofia coscia e sura, cicatrice cutanea di circa 30 cm (danno estetico), ipometria a sinistra di 3 cm. La donna lamenta l’impossibilità a svolgere la precedente attività professionale (magazziniera) e lamenta inoltre il cambiamento della qualità di vita a livello professionale e sociale.
Dal lato comportamentale il soggetto presenta una sintomatologia di marcata deflessione del tono dell’umore, reattiva alle modificazioni post-traumatiche e a una forte preoccupazione di non poter più avere la dinamicità precedente al trauma.
Considerazioni sulla condotta terapeutica dei sanitari
a) L’applicazione del fissatore esterno provvisorio era indicata, tuttavia il debridment e lavaggio della ferita non è stato eseguito entro sei ore, come auspicabile, ma solo tre giorni dopo l’incidente. Questa attesa aumenta il rischio di trasformare la contaminazione dell’esposizione in una vera e propria infezione (1, 2).
b) La frattura era con grave esposizione ossea (Gustilo IIIB), quindi con contaminazione ambientale del focolaio di esposizione. Nelle fratture esposte è mandatorio effettuare una terapia antibiotica ad ampio spettro per prevenire l’infezione da contaminazione ambientale, che è inevitabile. L’inizio della terapia antibiotica deve essere tempestivo: un ritardo superiore a tre ore si è dimostrato correlato con l’incidenza e gravità dell’infezione (3). Nelle fratture esposte Gustilo III un approccio consigliato è cefalopsporina di prima generazione (o clindamicina se allergia alle beta-lattamine) più un aminoglicoside (gentamicina) o, in alternativa, cefalosporina di terza generazione (ceftriaxone) o piperacillina/tazobactam (4). L’utilizzo della piperacillina/tazobactam o l’aggiunta del metronidazolo trova indicazione nel forte sospetto di una possibile eziologia da clostridi (ferita fortemente contaminata da materiale ambientale). Sulla durata della terapia non vi sono indicazioni univoche, se non la verifica clinica dell’assenza di segni locali e sistemici di infezione.
c) Per quanto riguarda il trapianto da cadavere di apparato estensore e innesti ossei è importante sottolineare come sia stato eseguito a tre settimane dal trauma in un quadro di esposizione ossea che non è stata bonificata (lavaggio e debridment) con un timing corretto. Si tratta di un programma censurabile. Utilizzare un trapianto da cadavere inerte, senza essere certi di avere un sito chirurgico bonificato, è una strategia ad alto rischio di insuccesso. Infatti, tre settimane non sono sufficienti per essere ragionevolmente sicuri che non ci sia un’infezione latente. Corretta invece la scelta di una sintesi con placche (1, 2).
d) L’intervento di bonifica chirurgica dei tessuti necrotici, con asportazione di escara e di apparato estensore comprendente la rotula, non è censurabile, infatti la terapia antibiotica può essere efficace solo nel momento in cui viene asportato tutto il tessuto non vitale. Il posizionamento della Vac in questo caso è corretto, in quanto migliora la condizione dei tessuti molli (1).
e) Il duplice intervento di copertura plastica è censurabile in quanto non si è verificato che ci fossero le condizioni idonee; infatti, non sono stati eseguiti gli accertamenti atti a valutare la possibile presenza/persistenza di infezione nel focolaio di frattura. Proprio questa negligenza ha portato al fallimento delle procedure plastiche (5, 6). In assenza di un isolamento colturale la terapia antibiotica fu empirica, e quindi destinata al fallimento.
f) La censurabile gestione dell’infezione ha portato di fatto alla sua cronicizzazione con sviluppo di osteomielite cronica la cui eziologia, da Pseudomonas aeruginosa e da stafilococchi, era congruente con l’origine dall’esposizione della frattura.
g) Non censurabile l’intervento di rimozione di placca e viti, ripulitura e impianto di spaziatore in cemento antibiotato. Così facendo si vanno a rimuovere i corpi estranei inerti, che rappresentano un pabulum per i batteri in quanto substrato per la formazione di biofilm.
h) Non censurabile l’impianto di chiodo per artrodesi definitiva, vista la precedente rimozione di apparato estensore.
Bibliografia
1. Diwan A, Eberlin KR, Smith RM. The principles and practice of open fracture care, 2018. Chin J Traumatol. 2018 Aug;21(4):187-192.
2. Halawi MJ, Morwood MP. Acute management of open fractures: an evidence-based review. Orthopedics. 2015 Nov;38(11):e1025-33.
3. Lack WD, Karunakar MA, Angerame MR, Seymour RB, Sims S, Kellam JF, Bosse MJ. Type III open tibia fractures: immediate antibiotic prophylaxis minimizes infection. J Orthop Trauma. 2015 Jan;29(1):1-6.
4. Carver DC, Kuehn SB, Weinlein JC. Role of systemic and local antibiotics in the treatment of open fractures. Orthop Clin North Am. 2017 Apr;48(2):137-153.
5. Viol A, Pradka SP, Baumeister SP, Wang D, Moyer KE, Zura RD, Olson SA, Zenn MR, Levin SL, Erdmann D. Soft-tissue defects and exposed hardware: a review of indications for soft-tissue reconstruction and hardware preservation. Plast Reconstr Surg. 2009 Apr;123(4):1256-1263.
6. Vaienti L, Di Matteo A, Gazzola R, Pierannunzii L, Palitta G, Marchesi A. First results with the immediate reconstructive strategy for internal hardware exposure in non-united fractures of the distal third of the leg: case series and literature review. J Orthop Surg Res. 2012 Aug 28;7:30.
CONSIDERAZIONI MEDICO-LEGALI
Imperizia: c’è una chiara responsabilità professionale
Dopo l’applicazione di fissatore esterno vi fu un inizio tardivo e non corretto della copertura antibiotica, che non consente di attribuire alla sola esposizione la causa dell’infezione: proprio perché era esposta doveva farsi una corretta terapia antibiotica.
La signora fu quindi sottoposta a sintesi. Stupisce che, dopo tre settimane, sia stata sottoposta a trapianto d’osso da cadavere, senza la certezza di bonifica del quadro anatomo-clinico, e questo costituisce il presupposto del riconoscimento della responsabilità. Deve essere altresì segnalato che non risulta il consenso (e non risulta documentata l’informazione) per la tecnica posta in atto: la legge 219 impone il consenso scritto per ogni pratica terapeutica, e a maggior ragione questo obbligo deve essere rispettato in caso di trapianto, sia pure da cadavere.
Si ritiene altresì censurabile il duplice intervento di copertura plastica senza i necessari accertamenti per valutare la presenza di infezioni e, nel caso in esame, la copertura antibiotica fu empirica e, pertanto, inefficace.
Agli errori terapeutici è conseguito indubbiamente un aggravamento delle conseguenze delle lesioni rispetto a quelle che sarebbero state le conseguenze (certamente non trascurabili) del traumatismo di base, con negative ripercussioni sulla sfera dinamico relazionale (danno biologico) e sulla capacità di lavoro, venendosi così a realizzare un maggior danno.
Valutazione del danno
Nel caso di specie sono state identificate più condotte censurabili che hanno concorso con la patologia di base al realizzarsi del danno attuale (artrodesi ginocchio sinistro).
Innanzitutto vi è stato un prolungamento dello stato di malattia rispetto a quello che sarebbe comunque conseguito alle lesioni. Tenuto conto che complessivamente il danno biologico temporaneo fu di 21 mesi (febbraio 2018 – ottobre 2019) e tenuto conto della natura delle lesioni, che avrebbe comportato comunque un prolungato iter, si può ritenere che gli errori abbiano determinato un maggior danno temporaneo valutabile in un anno così suddivisibile:
– 2 mesi al 100%;
– 5 mesi al 75%;
– 5 mesi al 50%.
Complessa è la valutazione del danno biologico permanente in quanto dobbiamo operare facendo riferimento al danno differenziale: deve essere anzitutto valutato il danno permanente attuale e quindi scorporare il danno che sarebbe comunque esitato alle lesioni indipendentemente dagli errori dei professionisti sanitari; il risarcimento per le conseguenze degli errori dovrà quindi essere costituito dal cosiddetto danno differenziale, e cioè la differenza tra la valutazione economica del danno permanente complessivo meno la quota economica relativa al danno che si sarebbe comunque realizzato.
Se questa è la regola generale, nel caso di specie la questione è ulteriormente complicata dal fatto che si tratta di un infortunio in itinere ammesso come tale alla tutela Inail, che ha indennizzato un danno permanente del 40% e l’indennizzo deve essere detratto dal risarcimento; in ogni caso Inail potrebbe fare azione di rivalsa sui professionisti e sulle strutture sanitarie per il danno economico conseguente agli errori.
In ogni caso procediamo per gradi. Il danno biologico permanente attuale è costituito dalle ripercussioni dinamico-relazionali del danno ortopedico, del danno estetico conseguente alle cicatrici degli interventi e del danno psichico reattivo ed è valutabile nella misura del 45%. La quota di danno che si sarebbe comunque realizzata è da valutarsi nella misura del 20% e le conseguenze imputabili agli errori medici sono da identificarsi in misura pari al 25%, inteso come danno differenziale dal 20% al 45%.
Nel caso di specie si è inoltre realizzato un danno alla capacità di produrre reddito del soggetto che può essere valutata, tenuto conto dell’attività di magazziniera comportante un notevole impegno fisico, nella misura del 45%, sempre restando il fatto che l’eventuale danno economico dovrà essere dimostrato dalla donna.
Il danno biologico in ambito Inail dovrà essere valutato in misura pari al 40%.
Ai fini della valutazione del danno morale deve essere segnalato che il danno iatrogeno ha causato una contingente sofferenza soggettiva di grado elevato in ordine all’iter clinico terapeutico subìto.
Si ritengono giustificate e congrue le spese mediche riconducibili alla censurabile condotta terapeutica dei sanitari e sono da valutarsi le spese future.
Autori:
Michele Peretti, Scuola di specialità in Ortopedia e traumatologia, Università degli Studi di Milano
Antonio Virgilio Pellegrini, Responsabile Unità operativa Crio Irccs Ospedale Galeazzi – Sant’Ambrogio
Paolo Costigliola, Specialista in Malattie infettive
Fabio Maria Donelli
Ortopedico e medico legale, Prof. a.c. presso l’Università degli Studi di MIlano
Mario Gabbrielli
Professore ordinario di medicina legale all’Università di Siena