
Caso rappresentativo di un paziente prima e dopo intervento di fusione lombare posteriore mininvasiva senza anestesia generale. Le radiografie pre-operatorie (a sinistra) e post-operatorie (a destra) mostrano una fusione corretta e una riduzione della spondilolistesi
Copyright: American Association of Neurological Surgeons (Aans)
In pazienti selezionati, la chirurgia di fusione spinale può essere eseguita con successo senza ricorrere all’anestesia generale e senza che il paziente debba trascorrere un lungo periodo di degenza in ospedale. Lo dimostra uno studio condotto presso l’Università di Miami che ha analizzato i risultati operativi e clinici di cento interventi di fusione lombare posteriore mininvasiva, in particolare con l’approccio Mis-Tlif (endoscopic minimally invasive transforaminal lumbar interbody fusion). Con questa tecnica, il disco intervertebrale viene rimosso e sostituito con un distanziatore osseo nello spazio intersomatico senza retrazione dei nervi spinali. Il chirurgo usa viti e barre in metallo per garantire una stabilità immediata, mentre il distanziatore contiene un innesto osseo e, eventualmente, una preparazione di proteine che induce la formazione di osso che, col tempo, produce una fusione delle due vertebre.
Le procedure di fusione sono spesso effettuate con chirurgia a cielo aperto, ma in questi ultimi anni si sono affacciate tecniche percutanee mininvasive, ora integrate con metodiche endoscopiche.
Solitamente i pazienti arrivano alla chirurgia dopo aver tentato senza successo di alleviare un dolore lombare grave con terapie mediche e fisiche, ma la prospettiva di una prolungata permanenza in ospedale, di una significativa perdita di sangue durante l’intervento e del dolore postoperatorio può essere scoraggiante. La chirurgia minimamente invasiva non richiede l’anestesia generale e si propone come un’alternativa interessante che ora conferma di essere anche efficace.
La maggior parte delle 56 donne e dei 44 uomini che hanno partecipato alla sperimentazione sono state operate in corrispondenza dello spazio tra le vertebre L4 e L5, senza ricevere anestesia endotracheale generale ma solo una moderata sedazione e una analgesia locale, restando dunque coscienti e in grado di fornire dei feedback durante l’esecuzione dell’intervento, sia al chirurgo che all’anestesista. L’aproccio endoscopico limita i danni ai tessuti circostanti, consente un recupero post-operatorio più rapido e meno doloroso e riduce il rischio di complicanze.
Tutto ciò è stato confermato dallo studio americano, in cui mediamente la degenza ospedaliera è stata di 1,4 giorni, la durata dell’intervento di 84,5 minuti e la perdita di sangue intraoperatoria di 65,4 ml (per procedure chirurgiche a un solo livello del rachide).
La differenza nei valori dell’indice di disabilità di Oswestry registrati prima e dopo l’intervento (da una media di 29,6 a una di 17,2) attesta un miglioramento clinico con una forte significatività statistica.
Inoltre gli autori riferiscono che, dopo un follow-up minimo di un anno, non si sono avute indicazioni di instabilità meccaniche, né dall’esame clinico né dalle immagini radiografiche e riportano «miglioramenti dello stato funzionale durevoli e rilevanti».
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia