
Edoardo Crainz
L’ora immediatamente successiva al trauma, sia da arma da fuoco che nei traumi ad alta energia, è quella in cui si prendono le decisioni mediche più importanti. Nelle ferite da armi da fuoco un altro passaggio chiave è il debridement delle lesioni
Le guerre, che con diverse modalità vengono tuttora combattute in molte parti del mondo, mettono alla prova medici e chirurghi, che si trovano ad affrontare quadri clinici estremi e molto differenziati, in condizioni organizzative e logistiche spesso precarie. Ma ormai da inizio millennio, il terrorismo, prima circoscritto in certe aree, si è progressivamente esteso fino a toccare anche quei Paesi che da tempo si consideravano al sicuro da simili eventi. I nostri sistemi sanitari sono attrezzati per far fronte a queste minacce? E quali sono le principali problematiche mediche e organizzative che si pongono in caso di emergenza? Lo abbiamo chiesto a Edoardo Crainz, direttore dell’Uoc di Ortopedia ospedaliera del Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena.
Di medicina di guerra, Crainz ha esperienza diretta: in qualità di tenente medico, nel 2003 ha trascorso quattro mesi in Afghanistan come medico-soldato nel reggimento dei paracadutisti assegnati a Khost e ne ha tratto un libro, “Missione in Afghanistan. Diario di un medico paracadutista” (Mursia Editore).
Dottor Crainz, la minaccia terroristica nel cuore dell’Occidente richiede che anche i medici siano preparati a gestire situazioni complesse che prima si verificavano quasi solo in zone di guerra. In Italia i medici sono adeguatamente organizzati e clinicamente preparati per far fronte a questo tipo di emergenze?
In Italia esiste un sistema di interconnessione regionale che permette di smistare i pazienti, a seconda della patologia, nei migliori centri adatti a trattarle. Inoltre, ogni ospedale ha un piano di emergenza dedicato per questi eventi, che comprende sia l’aspetto organizzativo clinico che logistico e del personale.
Questo sistema varia leggermente nelle sue modalità da Regione a Regione e questo a volte potrebbe rappresentare un problema, ma dovrebbe funzionare nelle grandi emergenze come per la traumatologia della strada.
Ovviamente esistono peculiarità locali legate a edifici o centri storici che a volte sono anacronistiche; tuttavia, laddove possibile, sia le centrali 118 che gli ospedali stanno subendo un processo di decentramento per essere più facilmente raggiungibili in caso di evenienze collettive complesse.
Ci sono collaborazioni internazionali e specialisti a cui fare riferimento?
In un mondo che comunica in tempo reale informazioni e immagini, sarebbe surreale non sfruttare le potenzialità che la tecnologia online ci offre. Ovviamente ogni specialista crea la sua “rete” di riferimenti e contatti più adatti al suo lavoro; in questo ambito, sia le esperienze che le personalità di riferimento si trovano prevalentemente negli Stati Uniti, che possono contare su esperienze decennali in teatri operativi e di guerra; inoltre, di eccezionale qualità e riferimento è anche la scuola israeliana.
Le casistiche da affrontare sono molto differenti; si è riuscito nonostante questo a elaborare protocolli che aiutino i chirurghi in queste circostanze? Si è riuscito a produrre una base di evidenza scientifica?
Come già accennato, tutte le esperienze sia belliche che operative in teatri complessi, che abbiano prodotto casistiche in un particolare ambito, sono state schedate e archiviate. In particolare, la scuola statunitense e anglosassone ha sempre rivolto particolare attenzione a questo ambito proprio perché ogni esperienza operativa può produrre risultati specifici e irripetibili, quindi preziosi in ambito medico chirurgico e scientifico. Grazie a queste esperienze i dati sono consultabili e applicabili nel campo di competenza specifica dallo specialista interessato.
In conseguenza a certi attentati o disastri naturali si pone anche un problema di triage; esistono a questo proposito modelli clinico-organizzativi validati?
Anche in questo caso esistono modelli derivati dalle esperienze operative militari, che sono stati adattati per le esigenze civili. Si pensi ad esempio al modello Atls (Advanced trauma life support), un programma per la preparazione dei medici e infermieri nel trattamento del paziente traumatizzato nella fase iniziale del ricovero, sviluppato dall’American College of Surgeons: è stato adottato praticamente in tutto il mondo e rimane valido per qualsiasi tipologia di trauma, da quelli della strada alle calamità naturali.
Quali sono le criticità maggiori dal punto di vista strettamente clinico?
Dal punto di vista clinico, il punto chiave è la gestione di quella che viene chiamata “golden hour”, ovvero l’ora immediatamente successiva al trauma: è quella in cui si devono riconoscere le priorità e prendere le decisioni che nelle ore successive condizioneranno la sopravvivenza o l’outcome finale del paziente. Anche questo vale sia per un trauma da arma da fuoco che per qualsiasi trauma stradale ad alta energia.
Qual è l’obiettivo iniziale della presa in carico di un ferito da arma da fuoco o da esplosioni?
In questa tipologia di pazienti, una volta eseguite tutte quelle manovre che consentono di preservare prima la vita e poi la sopravvivenza degli arti, è fondamentale saper eseguire un accurato debridement delle ferite e delle lesioni, ovvero un bilancio tra ciò che va conservato e ciò che invece non è più vitale, per poter ottimizzare ed eseguire nelle migliori condizioni tutti gli eventuali interventi ricostruttivi successivi; è un passaggio chiave che richiede molta esperienza e competenza.
Quali sono invece le principali problematiche che devono essere affrontate dopo che si è raggiunta una stabilizzazione del paziente?
Una volta stabilizzato il paziente, bisogna stabilire le priorità dei successivi step chirurgici e medici, dettate innanzitutto dalle sue condizioni cliniche, ed eseguirli nelle corrette finestre temporali per evitare stress ulteriori che potrebbero danneggiare il paziente stesso. A tal fine è indispensabile un approccio multidisciplinare e un continuo dialogo tra gli specialisti interessati, sotto il controllo di un trauma leader che possa coordinare tempistiche e modalità. Vanno infine riconosciute tutte quelle lesioni che possono essere differite o inviate verso centri superspecialistici per il trattamento definitivo.
Quali aspetti psicologici devono essere affrontati? Quali professionisti devono essere coinvolti oltre ai medici?
Purtroppo, in queste tipologie di trauma, esistono esiti meno appariscenti ed evidenti di quelli clinici, ma non per questo meno devastanti. Il disturbo post-traumatico da stress, associato a vari altri spettri clinici di ambito psichiatrico come ansia, attacchi di panico, fobie, è estremamente comune sia nei reduci anche sani dai teatri operativi che in individui vittime di episodi violenti.
Purtroppo questo è un aspetto che spesso viene trascurato, o meglio viene trattato solo nelle fasi iniziali più evidenti, dimenticando che spesso invece le sequele psicologiche possono diventare sintomatiche anche a mesi o anni dal trauma. In questo, un monitoraggio attento dei medici curanti e dei colleghi psichiatri può senz’altro rivelarsi fondamentale per l’esito finale positivo di un trauma complesso.
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia
GUERRIGLIA URBANA E ATTI DI TERRORISMO
IN UN CORSO DI ISTRUZIONE AL CONGRESSO SIOT
Gli episodi di guerriglia urbana sono ormai frequenti in tutte le parti del mondo così come, purtroppo, gli attentati terroristici, che hanno di fatto portato l’ortopedia di guerra in Europa.
In particolare dopo gli attentati terroristici a Parigi, Bruxelles, Londra, Berlino e Manchester, la comunità ortopedica europea è consapevole di doversi preparare dal punto di vista clinico e organizzativo ad affrontare anche questa evenienza e di questi temi si è parlato prima al congresso Efort di Vienna e recentemente in un corso di istruzione al congresso Siot di Palermo.
A portare la sua esperienza è stato il chirurgo italiano Massimo Morandi, che lavora presso il Department of Orthopaedic Surgery del Louisiana State University Health di Shreveport. «Il nostro trauma center viene attivato quando ci sono più di cinque pazienti. Per ogni paziente ci devono essere due infermieri. In caso di emergenza quindi viene attivato un altissimo numero di persone» spiega Morandi, che all’ospedale di Shreveport può contare su 28 sale operatorie. Nei casi di grande emergenza, il piano prevede l’utilizzo della sala mensa, con i tavoli da pranzo che si trasformano in tavoli operatori. L’organizzazione delle sale in emergenza viene gestita attraverso una lavagna in zona comune, dove vengono segnate le destinazioni d’uso in quel momento: paziente per amputazione nella 2, debridement nella 14, applicazione di fissatore esterno nella 27…
I traumi da attentati terroristici sono molto complicati dal punto di vista clinico perché le armi e gli ordigni sono spesso non convenzionali. Come quelle dell’attentato del 2013 alla maratona di Boston, quando le lesioni furono provocate dall’esplosione di pentole a pressione riempite di biglie metalliche e chiodi, con un raggio di esplosione di 400 metri.
Un altro problema è che durante questi grandi incidenti, come ad esempio nella strage di Las Vegas di quest’anno, la stragrande maggioranza dei pazienti viene trasportata in ospedale da normali cittadini e non dalle ambulanze, obbligando quindi gli ospedali a prevedere un sistema organizzativo diverso dal solito, con un triage specifico ed efficiente. «Molta di questa organizzazione manca in Europa, mentre in Inghilterra va un po’ meglio» riferisce Morandi.
Negli Usa oltre al terrorismo c’è un forte problema legato all’utilizzo delle armi da fuoco e negli ultimi vent’anni si è registrato un aumento degli scontri tra le gang, le bande di strada americane.
Le ferite da armi non sono comunque una novità per l’ortopedia europea, dagli anni di piombo in Italia alle gambizzazioni dei terroristi irlandesi dell’Ira, che punivano i loro avversari con un colpo di pistola al ginocchio da distanza ravvicinata. Racconta Morandi che i chirurghi ortopedici di Belfast erano diventati così bravi a ricostruire queste lesioni che i terroristi dovettero cambiare sistema e iniziarono a usare i trapani a mano per puntare e inchiodare la rotula. In questo modo nessun ortopedico avrebbe potuto vanificare le loro aggressioni.
Andrea Peren
Giornalista Tabloid di Ortopedia