In Italia, dopo una frattura da fragilità, la maggior parte dei pazienti non viene inserita in alcun percorso diagnostico o terapeutico. Di questo si occupa il documento sulle fratture da fragilità, che è entrato nel Sistema nazionale linee guida
Un traguardo storico e di portata mondiale. Così è stato qualificato in occasione della sua pubblicazione il documento “Diagnosi, stratificazione del rischio e continuità assistenziale delle fratture da fragilità” sviluppato dall’Università di Milano-Bicocca in quanto membro della rete interateneo Healthcare Research and Pharmacoepidemiology (Hrp) in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità. Il documento è entrato a far parte del Sistema nazionale linee guida (https://snlg.iss.it) (1).
Affiancate dalle competenze metodologiche del Hrp, hanno lavorato alla compilazione della prima e unica linea guida finora dedicata al tema delle fratture spontanee o da trauma a bassa energia le principali società scientifiche del settore: Società italiana di ortopedia e traumatologia (Siot), Società italiana di endocrinologia (Sie), Società italiana dell’osteoporosi, del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro (Siommms), Società italiana di reumatologia (Sir), Società italiana di medicina fisica e riabilitativa (Simfer), Fondazione italiana ricerca sulle malattie dell’osso (Firmo), insieme con la Società italiana di gerontologia e geriatria (Sigg), la Società italiana di medicina interna (Simi), la Società italiana di medicina generale e delle cure primarie (Simg) e la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), e con la partecipazione di sedici associazioni di pazienti.
«Il raggiungimento di tale traguardo è stato preceduto da alcune tappe che si sono rivelate fondamentali per la realizzazione del progetto» ha dichiarato il presidente Siot Paolo Tranquilli Leali presentando il documento alla stampa il 20 ottobre scorso in concomitanza con la Giornata internazionale dell’osteoporosi. Il riferimento è innanzitutto alla pubblicazione nel 2017 sul Journal of Orthopaedics and Traumatology (2) di una serie di indicazioni cliniche evidence-based finalizzate alla prevenzione primaria, secondaria e terziaria e al trattamento dell’osteoporosi, alla quale hanno fatto seguito l’istituzione da parte delle medesime società e associazioni della coalizione denominata Frame, acronimo di Fracture Management Expert, e la fondazione alla fine del 2020 dell’Osservatorio fratture da fragilità (Off) ad opera di Maria Luisa Brandi (presidente Firmo), di Francesco Falez (past-president Siot) e del senatore Antonio Tomassini.
Un’epidemia negletta
Qualche settimana prima dell’uscita della linea guida, il 28 settembre, l’Osservatorio fratture da fragilità presentava in un evento pubblico tenutosi a Roma e trasmesso in live streaming (https://youtu.be/0vnsGxgvzCc) le cifre di quella che è stata definita un’emergenza per troppo tempo passata inosservata o quantomeno sottovalutata. I dati sono quelli estrapolati dalla proiezione su scala nazionale dei risultati del progetto regionale Target (Trattamento avanzato rifratture geriatriche in Toscana) avviato nel 2009, che ha rappresentato, tra l’altro, la prima esperienza italiana di implementazione di un modello Fracture Liaison Service, cioè di un approccio integrato per la gestione diagnostico-terapeutica e la prevenzione delle complicanze e delle recidive nei pazienti con recente frattura da fragilità.
Il modello si è rivelato utile nell’applicazione al contesto epidemiologico, consentendo di stimare, a partire dai database delle dimissioni ospedaliere degli ultrasessantacinquenni toscani ricoverati per frattura di femore dal 2010 al 2017, sia il trend generale sia, sulla base della distribuzione demografica per età, quello delle diverse regioni. Le stime, presentate da Giampiero Mazzaglia, professore associato di Epidemiologia e Sanità pubblica all’Università di Milano Bicocca, parlano di un’incidenza annuale media di 7 casi ogni 1.000 residenti, per un totale riferito al 2020 di circa 100.000 soggetti solo per la frattura di femore, e con un rischio di rifrattura a 5 anni prossimo all’8%, che è risultato superiore nelle donne e correlato all’età (con il massimo incremento negli over 85). Il tasso di mortalità supera il 50% nei primi 5 anni successivi all’evento fratturativo, con un picco nei primi 12 mesi, è prevalente nel sesso maschile ed è aggravato da un rischio additivo indipendente in caso di recidiva.
In base alle previsioni dell’International Osteoporosis Foundation, in Italia l’incidenza delle fratture da fragilità, e in particolare delle fratture osteoporotiche maggiori, è destinata ad aumentare in poco più di un decennio di oltre il 20%, portando per il 2030 a quasi 700.000 la quota annuale complessiva, dalle 560.000 registrate nel 2017.
«I dati italiani sono complessivamente in linea con quelli riportati dalla letteratura internazionale, comprese le percentuali relative al sotto-trattamento – ha commentato Maria Luisa Brandi –. Infatti, così come riportato dall’International Osteoporosis Foundation anche nel nostro Paese quasi l’80% dei soggetti over 50 che hanno subito una frattura da fragilità non sono sottoposti ad alcun tipo di percorso sanitario con finalità diagnostica, terapeutica e di prevenzione delle complicanze, e tra quelli in trattamento si riscontra un’aderenza alla terapia non superiore al 50%».
«Se si può dire che nell’ultimo decennio è nettamente migliorata l’appropriatezza dell’intervento in ambito chirurgico, con una quota di soggetti operati entro le 48 ore che rispetto al 30% circa del 2010 oggi si attesta mediamente, ma con una notevole variabilità regionale, intorno al 60%, rimane il fatto che il più delle volte alla gestione dell’evento acuto non fa seguito un adeguato programma di monitoraggio del paziente» ha precisato Graziano Onder, direttore del dipartimento di Malattie cardiovascolari, endocrino-metaboliche e invecchiamento dell’Istituto superiore di sanità.
La nuova classificazione delle fratture da fragilità
«L’intento che ci siamo posti con i progetti dedicati intrapresi negli ultimi anni e soprattutto con la programmazione della linea guida è stato quello di creare i presupposti perché si possa finalmente affrontare il problema dell’osteoporosi e delle relative complicanze con un approccio strutturato e su più fronti – ha tenuto a sottolineare Tranquilli Leali –. A partire dal momento diagnostico, che ha finora costituito la prima delle criticità, mancando una classificazione che consentisse di associare di volta in volta la frattura da fragilità a una determinata patologia causale. Non c’è infatti un sistema per classificare le fratture da fragilità, tanto che in molti casi i colleghi ortopedici non sono in grado di classificarle e misurarne quindi la frequenza. E proprio questo – prosegue Tranquilli Leali – era il primo obiettivo delle linee guida: arrivare alla creazione di un codice univoco denominato ICD9, che ci consente, da oggi, di associare a una determinata patologia ossea la causa delle fratture da fragilità».
“Garantire l’accesso alle cure” è la parola d’ordine che la comunità medico-scientifica e quella dei pazienti hanno condiviso nel percorso che ha portato all’elaborazione della linea guida, con lo scopo di formalizzare un follow-up post-operatorio multidisciplinare destinato ai pazienti con fratture da fragilità.
«In questo contesto i modelli organizzativi di riferimento, quali la Fracture Unit e il Fracture Liaison Service, che prevedono la collaborazione delle diverse figure professionali coinvolte nella gestione a lungo termine al paziente, a partire dal ricovero e nel periodo successivo alla dimissione, rappresentano l’avanguardia della continuità assistenziale e sono i soli in grado di ottimizzare da un lato gli esiti clinici e dall’altro l’impiego delle risorse sanitarie» ha ricordato Umberto Tarantino, coordinatore della commissione Osteoporosi istituita all’interno della Siot. «In questi modelli – ha detto l’esperto – un ruolo fondamentale ai fini dell’intervento terapeutico e riabilitativo e dei provvedimenti di prevenzione terziaria è assegnato, oltre che all’ortopedico, al medico di medicina generale nonché al cosiddetto Bone Care Nurse, cioè a personale infermieristico dotato di specifica competenza sul paziente con fragilità ossea».
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia
Bibliografia
1. Sistema Nazionale per le Linee Guida – LG-392. Diagnosi, stratificazione del rischio e continuità assistenziale delle fratture da fragilità. Istituto Superiore di Sanità. Roma, 18 ottobre 2021.
2. Tarantino U, Iolascon G, Cianferotti L, Masi L, Marcucci G, Giusti F, Marini F, Parri S, Feola M, Rao C, Piccirilli E, Basilici Zanetti E, Cittadini N, Alvaro R, Moretti A, Calafiore D, Toro G, Gimigliano F, Resmini G, Brandi ML. Clinical guidelines for the prevention and treatment of osteoporosis: summary statements and recommendations from the Italian Society for Orthopaedics and Traumatology. J Orthop Traumatol 2017;18(Suppl 1):S3–S36.
OSTEOPOROSI, LA LINEA GUIDA IN SEI PUNTI_I contenuti della nuova linea guida sono inerenti all’inquadramento della fragilità ossea, alla definizione diagnostica delle fratture da fragilità, alla stratificazione del rischio di rifrattura tramite strumenti di valutazione che tengano conto dei diversi fattori potenzialmente predittivi implicati e agli interventi assistenziali. Le diverse aree tematiche sono state trattate attraverso l’enunciazione di sei quesiti clinici fondamentali che hanno condotto alla formulazione delle sei raccomandazioni qui sintetizzate, relative ai diversi step dell’approccio al paziente con frattura da fragilità.
1. Identificazione della fragilità ossea come causa o concausa della frattura corrente.
2. Applicazione degli strumenti di valutazione del rischio, con particolare riferimento all’algoritmo Frax, ampiamente validato in letteratura, o dei suoi derivati.
3. Valutazione dei fattori ritenuti predittivi (in base a revisione della letteratura e/o a verifica empirica) del rischio di frattura imminente, tra cui età, genere, menopausa, pregresse fratture da fragilità, storia familiare di fratture, diabete, patologie autoimmuni, altre malattie del connettivo, Bpco, malattie infiammatorie croniche intestinali, Aids, insufficienza renale cronica, arteriopatia periferica, assunzione di corticosteroidi, blocco ormonale adiuvante, basso Bmi, morbo di Parkinson, demenza, grave disabilità motoria.
4. Pianificazione di un trattamento sequenziale da anabolico ad anti-riassorbitivo nei pazienti a più alto o imminente rischio di rifrattura.
5. Sorveglianza dell’aderenza alla terapia anti-fratturativa, da eseguire in generale senza interruzioni salvo che per gravi effetti avversi, ma prevedendo per i bisfosfonati la riduzione del dosaggio o la sospensione temporanea di un trattamento di lunga durata in caso di miglioramento clinico, sulla base della valutazione specialistica e fino a nuova quantificazione del rapporto rischio/beneficio.
6. Attivazione di un programma di cura multidisciplinare, come il Fracture Liaison Service, che garantisca al paziente con frattura da fragilità la continuità assistenziale ospedale-territorio.
«Le raccomandazioni della linea guida sono da considerarsi come un punto di partenza – ha commentato Giovanni Corrao, direttore dell’Hrp presso l’Università di Milano-Bicocca –. Ora si tratta di implementarle e di monitorare come queste indicazioni siano in grado di migliorare la qualità delle cure e la qualità di vita dei pazienti».