
Stephen Cannon

James Plant
Come distinguere tra tumori benigni e maligni? Una semplice regola è quella di considerare sempre maligne, fino a prova contraria, le masse più grandi di cinque centimetri. Spesso poi la localizzazione della lesione è indicativa di una specifica forma tumorale
«Non è necessario che i chirurghi ortopedici generali e i medici di base abbiano una conoscenza approfondita sulle modalità per diagnosticare un tumore osseo. È però opportuno che siano in grado di riconoscere una lesione sospetta in un paziente e lo indirizzino a un centro specialistico». È a partire da questa considerazione che James Plant e Stephen Cannon hanno pubblicato su Efort Open Reviews (www.efortopenreviews.org) una guida diagnostica essenziale che indirizza chi non è oncologo a intercettare i casi sospetti, rendendo così possibile un trattamento precoce che può essere essenziale nel determinare la prognosi di questi tumori.
I due autori, che svolgono la loro attività presso il Royal National Orthopaedic Hospital di Stanmore, nella periferia londinese, sottolineano l’importanza di spiegare la ragione degli approfondimenti diagnostici a pazienti tipicamente ansiosi e bisognosi di rassicurazioni.
Anomalie ossee benigne sono comuni, specie nei bambini, mentre i sarcomi, tumori maligni del tessuto connettivo, sono così rari che un ortopedico può incontrarne solo un caso o due in tutta la sua carriera professionale. Si tratta però di tumori aggressivi, dall’esito spesso infausto, che bisogna trattare tempestivamente e in modo appropriato, ma i centri specialistici lamentano che vengono loro inviati, inutilmente, molti pazienti affetti da forme benigne e dall’esito prevedibile.
La diagnosi richiede una correlazioni dei dati clinici e di quelli radiologici, mentre la biopsia è utilizzata successivamente a conferma e chiarimento di un’ipotesi già formulata.

Osteosarcoma del femore in un bambino
(Da Plant J, Cannon S. Diagnostic work up and recognition of primary bone tumours: a review. Efort Open Rev 2016;1:247-253)
Indicazioni per la diagnosi clinica
Come accade per le altre problematiche ortopediche, anche la pratica oncologica richiede che vengano poste al paziente domande specifiche per ricostruirne una storia completa e significativa. Sintomi persistenti di malessere, dolore e febbre, soprattutto di notte, sono un campanello d’allarme per una possibile neoplasia.
Il dolore prodotto dai tumori ossei primari è molto simile al dolore metastatico, può essere inizialmente sordo e profondo, intermittente e legato ad attività che producono un carico; può dunque erroneamente essere attribuito a un innocuo trauma dovuto a un movimento sbagliato o alla pratica sportiva. Ma a differenza di questi disturbi muscoloscheletrici transitori, il dolore prodotto dal cancro progredisce per diventare costante, senza trovare sollievo con i blandi analgesici di normale utilizzo. Al contrario, questo dolore può essere mascherato da analgesici più forti, prescritti in modo non appropriato, prima di aver formulato la diagnosi.
Se è presente una massa, occorre chiarire da quanto tempo si è formata e la rapidità della sua crescita. Quest’area va ispezionata e palpata, facendo attenzione alle modificazioni della cute e alla dimensione e profondità della formazione. Plant e Cannon ricordano una semplice regola da applicare in questi casi: le masse più grandi di cinque centimetri dovrebbero essere considerate maligne, salvo dimostrazione contraria. Anche i tessuti circostanti devono essere palpati per valutare un’eventuale adenopatia e un esame appropriato degli altri sistemi (tiroide, seno, prostata ecc.) deve essere compiuto in caso di sospetto di metastasi.

Tumori ossei e loro principali localizzazioni anatomiche
(Da Plant J, Cannon S. Efort Open Rev 2016;1:247-253. In: Ramachandran M. Basic orthopaedic sciences: the Stanmore guide. London: Hodder Arnold, 2007)
La diagnosi strumentale
C’è poi il fondamentale capitolo dell’imaging e, secondo gli autori di questa guida, dovrebbe farsene carico l’ortopedico prima dell’eventuale rinvio all’oncologo, a patto che le indagini non comportino un ritardo: «dovrebbero essere effettuate radiografie ortogonali dell’area interessata per tutte le lesioni e, se si sospetta una neoplasia maligna, anche una radiografia del torace».
Nel leggere queste immagini, è poi importante che qualunque medico sappia distinguere le lesioni benigne da quelle che possono indurre preoccupazioni ed è stato William Enneking, uno dei maestri dell’ortopedia statunitense, a suggerire un set di domande che ogni medico in questa situazione dovrebbe porsi.
Prima di tutto, dove si trova la lesione? In quale osso e in quale sua parte? Spesso la localizzazione della lesione è indicativo di una forma tumorale; per esempio, il tumore a cellule giganti (generalmente benigno ma localmente aggressivo) colpisce specialmente le epifisi e le metafisi delle grandi ossa lunghe. Si tratta poi di capire cosa produce la lesione a carico dell’osso: alcuni tumori sono osteolitici, altri sono osteoblastici, altri ancora, come le metastasi del cancro del seno o della prostata, possono essere misti.
Strettamente collegata a questa è la domanda: come sta reagendo l’osso? La risposta dell’osso dipende dall’istologia del tumore e dello stadio in cui si trova, inclusa la rapidità della sua crescita. La risposta universale a una lesione dell’osso è la produzione di nuovo tessuto osseo; se è benigna può in certi casi non indurre modificazioni dell’osso o del periostio, però ad esempio l’osteoma osteoide può produrre un ispessimento dell’osso circostante. I tumori a rapido accrescimento forniscono i più evidenti e caratteristici cambiamenti.
Infine: cosa c’è nella lesione? Un controllo della matrice di una lesione può fornire indicazioni utili per una diagnosi istologica.
Se le radiografie piane offrono le migliori immagini per caratterizzare una lesione, la risonanza magnetica è il gold standard per effettuare la stadiazione. I due ortopedici britannici ricordano che l’intero osso interessato dovrebbe essere esaminato con la risonanza magnetica e forniscono una serie di indicazioni utili per leggere le immagini in modo appropriato, così come per quelle ricavabili attraverso la tomografia computerizzata, utile in condizioni particolari grazie alla sua migliore risoluzione.
Gli esami di laboratorio
Quando si sospetta una neoplasia, devono anche essere fatti alcuni esami del sangue, prima di tutto conteggio completo e marcatori infiammatori. «Nei pazienti più anziani – si legge nell’articolo – l’elettroforesi del siero è necessaria per escludere o confermare un disordine mieloproliferativo. L’antigene prostatico specifico dovrebbe essere quantificato in caso di sospette metastasi di un tumore della prostata. Urea, elettroliti e parametri epatici sono utili per registrare la funzionalità dei reni e del fegato alla baseline, prima di iniziare una terapia citotossica. I livelli di acido urico possono aiutare per confermare o escludere la gotta, mentre i test per la valutazione della funzionalità delle paratiroidi sono effettuati se si sospetta un tumore bruno».
C’è infine il fondamentale e controverso tema della biopsia, ma qui siamo ormai definitivamente nel territorio dello specialista e «dovrebbe essere eseguita sotto diretta indicazione del chirurgo che opera nell’unità dedicata all’oncologia ossea; è infatti ben noto che le biopsie effettuate in un centro generico possono portare a errori diagnostici, a un piano di trattamento inappropriato, a un danno e perfino ad amputazioni non necessarie».
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia