Più di un intervento su cento va incontro a un’infezione protesica precoce entro le prime quattro settimane. Se si procede a toilette chirurgica, è importante eseguire indagini microbiologiche intraoperatorie. Dopo i prelievi può essere iniziata la terapia antibiotica
Le infezioni delle protesi articolari rappresentano una grave complicanza in chirurgia protesica: è dunque di grande rilevanza il documento redatto da un gruppo multidisciplinare promosso dalla Commissione ortopedica regionale dell’Emilia Romagna con lo scopo di fornire indicazioni pratiche nell’identificazione dei pazienti con infezioni protesiche precoci, vale a dire quelle che si sviluppano entro le prime quattro settimane dall’intervento.
La loro frequenza è quantificata in modo diverso dagli studi epidemiologici ma è comunque superiore a circa un caso ogni 100 interventi, sia per la protesi d’anca che di ginocchio. Sebbene si tratti di tassi di infezione contenuti, il valore assoluto dei casi non è indifferente, dati gli elevati volumi di attività di implantologia protesica, in costante aumento per l’ampliamento delle indicazioni all’intervento anche per i pazienti più anziani conseguente al miglioramento delle procedure chirurgiche e anestesiologiche.
Le infezioni precoci vengono normalmente acquisite durante l’intervento o, più raramente, sono espressione di diffusione ematogena da focolai infettivi distali, non bonificati prima dell’intervento. Ne sono generalmente responsabili microrganismi ad alta patogenicità, come Staphylococcus aureus, Enterobacteriaceae o bacilli gram negativi non fermentanti.
Il problema più rilevante nella gestione delle infezioni protesiche in genere, e articolari in particolare, è la capacità delle popolazioni microbiche di produrre il biofilm, nel quale i microrganismi sono strutturati e coordinati in comunità funzionali idonee a garantire una efficace barriera nei confronti degli agenti antimicrobici e della risposta immunitaria dell’organismo. Il processo è innescato dalle variazioni metaboliche e strutturali del microrganismo che, rallentando la velocità di crescita, riduce la propria sensibilità intrinseca agli antimicrobici indipendentemente dal dato di chemiosensibilità in vitro; inoltre il biofilm funge anche da vera e propria barriera meccanica rispetto alla penetrazione dei farmaci. Si presuppone tuttavia che il biofilm, nel caso di diagnosi tempestiva, non sia ancora del tutto strutturato: è quindi possibile un approccio combinato medico-chirurgico di tipo conservativo con debridement e ritenzione della protesi associato a terapia antibiotica a lungo termine di massima performance.
Un percorso diagnostico ad hoc
La guida, redatta da Maria Luisa Moro e Susanna Trombetti dell’Agenzia sanitaria e sociale dell’Emilia-Romagna con il supporto di numerosi altri esperti della Regione, definisce le tappe del percorso diagnostico raccomandato in caso di sospetto di infezione protesica precoce. Una corretta diagnosi è particolarmente importante perché normalmente queste infezioni richiedono prolungati tempi di trattamento e, se formulata per tempo, può evitare la necessità di ricorso al reimpianto.
La diagnosi di infezione precoce è fondamentalmente clinica e si basa sulla persistenza di segni importanti di flogosi in sede di ferita chirurgica (tumor, rubor, dolor, calor) o sulla deiescenza della ferita chirurgica stessa, temporalmente oltre la normale evoluzione post-intervento, associata a rialzo febbrile in circa il 50% dei pazienti, senza normalmente altri segni e sintomi di coinvolgimento sistemico.
La maggior parte dei pazienti con infezione protesica acuta (oltre l’80%) si presenta infatti con le seguenti caratteristiche: clinicamente è stabile, senza Sindrome da risposta infiammatoria sistemica (Sirs), la protesi è in sede senza segni di mobilizzazione, non si evidenziano danni significativi a carico dei tessuti molli, ma ci sono invece segni e sintomi di infiammazione in sede di intervento.
Gli accertamenti consigliati iniziano con alcuni esami di laboratorio: particolarmente utile è la determinazione seriata degli indici di flogosi, in particolare la proteina C reattiva, il cui valore diagnostico aumenta dalla seconda settimana in poi ed è correlato alla conoscenza delle concentrazioni plasmatiche pre-intervento; la presenza contemporanea di alterazione di Ves e Pcr aumenta la sensibilità diagnostica di infezione protesica.
L’ecografia è idonea a identificare eventuali raccolte, sopra o sottofasciali, meritevoli di puntura esplorativa, con analisi chimico-fisica e microbiologica, sebbene la sua sensibilità e specificità siano altamente variabili da caso a caso. Non vi sono al momento altre indagini di imaging in grado di sostenere il percorso diagnostico di tali infezioni.
L’artrocentesi diagnostica con esecuzione di esame chimico-fisico (conta dei leucociti e relativa formula) dovrebbe essere eseguita, quando possibile, in tutti i pazienti in cui si sospetti un’infezione protesica acuta sulla base di quadro clinico e dati bioumorali, al fine di eseguire in primis l’esame chimico-fisico con conta leucocitaria e l’esame colturale. Una conta di leucociti su liquido sinoviale superiore a 10.000 cell/?L risulta diagnostica per infezione acuta; leucocitosi più elevate sono più specifiche a fini diagnostici, a patto che il liquido articolare sia prelevato effettivamente entro le prime quattro settimane dall’inizio dei sintomi. Al fine di aumentare la sensibilità e specificità della conta leucocitaria, si potrebbero mediare le evidenze acquisite in altri sedi di infezione (classificazione di Light degli empiemi pleurici, diagnosi di meningite post-chirurgica) aggiungendo anche la determinazione di glucosio, Ldh e lattati. La negatività della coltura del liquido prelevato da artrocentesi non esclude la diagnosi di infezione. Ciò è legato ancora una volta al ruolo del biofilm che, condizionando sia un’elevata adesività batterica al biomateriale sia una rallentata crescita batterica, riduce la sensibilità della coltura del liquido articolare. Deve essere invece dato un elevato valore diagnostico alla valutazione delle caratteristiche chimico-fisiche del liquido articolare, che possono generare un elevato sospetto di infezione a fronte di bassi valori di glucosio e di elevati livelli di neutrofili.
Si raccomanda di non fare terapia antimicrobica prima dell’intervento di toilette chirurgica, di non effettuare emoculture se non vi sono segni di setticemia e di non fidarsi troppo dei tamponi dai tramiti fistolosi, che spesso sono colonizzati dalla flora batterica della cute.
Se si procede a toilette chirurgica, è importante eseguire indagini microbiologiche intraoperatorie sul liquido articolare, sui tessuti perimplantari e delle componenti del biofilm che si forma nelle infezioni tra i tessuti e il materiale inerte. Successivamente ai prelievi può essere iniziata la terapia antibiotica.
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia