In un articolo apparso sul Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia, l’autore Matteo Palmisani, chirurgo vertebrale presso il Centro scoliosi e malattie della colonna vertebrale, Ospedale accreditato Hesperia Hospital di Modena, offre una disamina sull’utilizzo del titanio e delle sue leghe nella osteosintesi vertebrale, facendo un confronto con l’acciaio e la lega cromo-cobalto.
I progressi tecnologici nello sviluppo di questi materiali hanno dato un forte impulso alla chirurgia vertebrale, come testimoniato dall’elevato numero di stabilizzazioni vertebrali (100mila) e di revisioni (16mila) eseguite ogni anno. Le strumentazioni vertebrali in titanio sono state introdotte per ovviare ad alcuni inconvenienti degli impianti in acciaio e lega cromo-cobalto, quali la formazione di artefatti in sede di follow-up post-operatorio con le tecniche diagnostiche a immagini di nuova concezione (Tac e Rmn) e i problemi di biocompatibilità e di corrosione. Il titanio, rispetto all’acciaio e alla lega cromo-cobalto, presenta inoltre una migliore biocompatibilità (resistenza alla corrosione e minore incidenza di infezioni tardive o dolori in sede di intervento a distanza) e un’ottima osteointegrazione.
L’acciaio sembra inoltre presentare vantaggi a livello di resistenza meccanica. Infatti, quando le barre di titanio devono essere modellate (come nel caso di deformità), presumibilmente si formano microdifetti superficiali che ne peggiorerebbero, almeno in parte, proprietà meccaniche quali il modulo di rigidezza e la resistenza alla rottura in presenza di intaccature sulla superficie. Nel caso di deformità, le barre devono essere modellate lungo le curve fisiologiche sagittali ed è quindi indispensabile che non peggiorino le proprietà meccaniche del materiale della strumentazione di osteosintesi. Pur tuttavia l’autore riferisce che, in base all’esperienza personale, l’utilizzo del titanio nelle deformità non ha determinato un aumento apprezzabile dei cedimenti meccanici.
Palmisani M. L’utilizzo del titanio nella osteosintesi vertebrale. Giot. agosto 2011;37(suppl.1):12-28