Sebbene costituiscano una complicanza poco comune della chirurgia protesica, le infezioni peri-impianto sono gravate da un impatto clinico e sanitario importante, non solo perché sono causa di un incremento della morbilità e della mortalità post-operatorie, ma anche perché rappresentano una delle sfide di maggior complessità nella gestione sia di breve sia di lungo periodo dei pazienti protesizzati. Per le infezioni periprotesiche d’anca infatti i dati epidemiologici internazionali riportano tassi variabili da 0,3 a 2,5% a seconda delle casistiche e delle aree geografiche.
Il lavoro dell’università britannica di Bristol da poco pubblicato su The Lancet Infectious Diseases è dedicato all’individuazione dei principali fattori di rischio associati agli interventi di revisione delle protesi d’anca eseguiti su indicazione infettiva.
Attraverso un disegno di studio prospettico di coorte gli autori hanno selezionato tra i casi di artroprotesi d’anca primaria registrati nel decennio 2003-2013 dal National Joint Registry – database della chirurgia protesica ortopedica realizzata in Inghilterra, Galles, Irlanda del Nord e isola di Man – le procedure di revisione rese necessarie da infezioni peri-impianto. Relativamente a queste ultime, vale a dire 2.705 revisioni su un totale di 623.253 interventi primari eseguiti in 460 ospedali diversi, hanno esaminato una serie di plausibili fattori di rischio per le infezioni periprotesiche, pertinenti le caratteristiche demografiche e mediche dei pazienti, gli aspetti clinici e tecnici della chirurgia primaria e i parametri sanitari di maggior rilevanza, verificandone contemporaneamente l’impatto in rapporto alla distribuzione temporale degli interventi di revisione nel periodo post-operatorio.
Ciò che emerge dalla loro analisi, oltre al peso di alcune variabili modificabili e non modificabili nel condizionare il rischio di revisione per infezione, è la diversa influenza di alcune di esse a seconda dell’intervallo di tempo intercorso tra l’intervento di revisione e quello primario. Nella casistica considerata la durata del follow-up post-operatorio varia da 2,6 a 7 anni, con un valore mediano di 4,6 anni, e tra gli interventi di revisione il 14% è risultato classificabile come precoce (avvenuto entro i primi 3 mesi dalla chirurgia primaria), il 44% come ritardato (a distanza di 3-24 mesi) e il 42% come tardivo (dopo oltre 24 mesi).
Tra le variabili relative alle caratteristiche preoperatorie dei pazienti si associano a un maggior rischio di infezione periprotesica il sesso maschile, l’età più bassa (<60 anni rispetto a >70 anni), un alto indice di massa corporea (>30 kg/m2 rispetto a <25 kg/m2) e la presenza di alcune comorbidità, quali il diabete, le malattie respiratorie croniche, le patologie epatiche, lo scompenso cardiaco, le forme di demenza, le malattie reumatiche.
Per quanto riguarda le indicazioni alla chirurgia primaria, le fratture e la necrosi avascolare della testa del femore predispongono i pazienti protesizzati a futuri eventi infettivi molto più dell’osteoartrosi, anche in ragione delle condizioni spesso più critiche dei soggetti che incorrono in fratture e della condizione di immunosoppressione iatrogena di quelli affetti da necrosi avascolare. L’occorrenza di pregressi episodi di artrite settica a carico dell’articolazione dell’anca è un altro fattore di rischio di rilievo, probabilmente a causa della persistenza latente di germi patogeni oppure di un deficit delle riposte immunitarie.
Tra le variabili della tecnica operatoria assume importanza il tipo di approccio chirurgico utilizzato nella sostituzione primaria, con quello laterale associato al rischio di infezione più alto e quello posteriore associato al rischio più basso. Anche il tipo di impianto condiziona la probabilità di revisione, con le protesi a superfici portanti in metallo (sia su metallo sia su polietilene) responsabili di successiva infezione più spesso di quelle in ceramica (sia su ceramica sia su polietilene). Più a rischio inoltre sono i pazienti che nell’intervento primario abbiano ricevuto un innesto osseo a livello femorale, mentre non è apparso altrettanto predisponente l’impiego di innesto osseo a livello acetabolare.
Ininfluenti invece, tra i fattori connessi alla gestione chirurgica, sono il tipo di anestesia, il regime di profilassi anticoagulante e il verificarsi di complicanze intraoperatorie. Analogamente, non è stata riscontrata alcuna associazione tra l’incidenza di revisione per infezione peri-impianto e le variabili sanitarie considerate: tipologia della struttura nella quale è stato eseguito l’intervento primario, volume della protesica d’anca svolta, livello professionale dello specialista operante, compresenza in sala di un superiore in grado.
«Quasi nessuno dei fattori identificati è risultato però essere indipendente dalla dimensione temporale, essendo ciascuno di essi associato a un maggiore o minore rischio di revisione per infezione nell’immediato post-operatorio, piuttosto che a breve oppure a lungo termine» precisano Erik Lenguerrand e i collaboratori nelle conclusioni. I dettagli della distribuzione di tali fattori negli intervalli prefissati dagli autori (0-3 mesi, 3-6 mesi, 6-12 mesi, 12-24 mesi e >24 mesi) sono riportati nelle tabelle del materiale supplementare al loro articolo.
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia