Il secondo International Consensus Meeting on Prosthetic Joint Infection di Filadelfia si è concluso ancora una volta con un documento che rappresenterà il punto di riferimento scientifico per i prossimi anni
Sono ormai trascorsi cinque anni dal primo consensus meeting internazionale sulle infezioni articolari periprotesiche. A quell’incontro, che si era svolto a Filadelfia nel 2013, avevano partecipato 400 delegati provenienti da 52 paesi in rappresentanza di più di cento società scientifiche nazionali e internazionali e gli atti del congresso, dopo essere stati pubblicati sul Journal of Arthroplasty, erano diventati un libro, tradotto in 18 lingue e distribuito in oltre 300mila copie.
La crescente attenzione non è certo bastata per ridurre l’incidenza delle infezioni articolari periprotesiche, che continuano a rappresentare una delle principali minacce al successo finale degli interventi di ortopedia protesica. La comunità ortopedica continua a impegnarsi nella ricerca e generare evidenze scientifiche, ma nonostante questi sforzi numerosi aspetti della cura del paziente mancano ancora di prove conclusive. Le nuove evidenze hanno però convinto gli esperti a organizzare un nuovo incontro per rivedere il documento prodotto nel 2013. E così, dal 25 al 27 luglio di quest’anno, nella città della Pennsylvania, c’è stato il secondo International Consensus Meeting on Prosthetic Joint Infection, che ha aperto i lavori a un panel ancora maggiore rispetto al primo: più di 700 delegati di oltre 80 paesi che hanno accettato di contribuire alla stesura del nuovo documento, che aggiorna il precedente e che da oggi rappresenta il nuovo punto di riferimento scientifico per la prevenzione e gestione delle infezioni in ortopedia.
L’intero materiale scientifico è disponibile all’indirizzo icmphilly.com
Il meeting di quest’anno ha fatto registrare alcune importanti novità, a partire dal coinvolgimento di nuovi soggetti, come rappresentanti di organizzazioni governative e di aziende che, sebbene non abbiano potuto votare durante il processo di consenso, hanno costituito una presenza importante per lo sviluppo di una road map per il futuro finanziamento, supporto e approvazione delle tecnologie correlate alle infezioni ortopediche.
Il convegno ha visto la partecipazione delle sottospecialità ortopediche che si occupano di colonna vertebrale, trauma, piede e caviglia, spalla e gomito, oncologia, pediatria e sport.
Il consenso è stato di nuovo condotto secondo il metodo Delphi. I partecipanti sono stati inseriti in 18 gruppi di lavoro per valutare la letteratura disponibile, estrarre le informazioni provate e utili per la pratica clinica e identificare le aree che necessitano di ulteriori ricerche; questa volta il livello di evidenza relativo a ciascuna raccomandazione è stato determinato ed evidenziato.
Centinaia di domande e risposte evidence based
Ogni cento persone che ricevono una protesi dell’anca o del ginocchio, una o due svilupperanno un’infezione grave e potenzialmente debilitante, in alcuni casi anni dopo l’intervento. Per prevenire lo sviluppo di queste infezioni, si sono tentate diverse strategie e gli esperti si sono posti moltissime domande che i convenuti lo scorso luglio presso la Thomas Jefferson University a Filadelfia hanno meticolosamente elencato e a cui hanno cercato di fornire delle risposte supportate da evidenze scientifiche.
L’uso degli oppioidi favorisce lo sviluppo di un’infezione? I cellulari, potenziale fonte di batteri, dovrebbero essere banditi dalle sale operatorie? I pazienti che non seguono una buona igiene dentale sono a maggior rischio? «Sono domande che ci poniamo ogni giorno», ha affermato Javad Parvizi, chirurgo e direttore di ricerca clinica presso il Rothman Institute della Jefferson, uno degli organizzatori del congresso.
Oltre a rivedere gli studi su protesi di anca e ginocchio, che insieme costituiscono oltre un milione di interventi chirurgici ogni anno negli Stati Uniti, i partecipanti al meeting hanno esaminato le strategie adottate negli interventi chirurgici su altre articolazioni, come spalla, caviglia, gomito e colonna vertebrale, insieme a soluzioni che potrebbero essere applicate a qualsiasi procedura ortopedica.
Una delle difficoltà che devono affrontare i ricercatori in questo ambito sono i numeri. Secondo uno studio dello stesso Parvizi pubblicato quest’anno, nei cinque anni successivi all’intervento chirurgico, le infezioni articolari si verificano in appena 11 su mille pazienti con impianto d’anca e in 14 su mille che ricevono una protesi di ginocchio. Ne deriva che, per validare una strategia che possa ridurre le infezioni, bisogna fare studi su un gran numero di interventi, quindi molto difficili da organizzare e molto costosi. In alcuni casi, questo ha costretto gli esperti convenuti a Filadelfia a formulare la risposta migliore sulla base di studi di laboratorio o semplicemente della propria esperienza clinica.
I risultati si tradurranno ancora una volta in un libro di linee guida, le cui implicazioni sono enormi, poiché solo negli gli Stati Uniti si spende un miliardo di dollari all’anno per il trattamento delle infezioni articolari.
Oltre a discutere le strategie per prevenire le infezioni che si verificano in profondità nel tessuto circostante l’impianto, i ricercatori hanno anche esaminato i modi per prevenire le infezioni meno gravi che possono verificarsi in corrispondenza del sito della ferita chirurgica.
INTERNATIONAL CONSENSUS MEETING ON PROSTHETIC JOINT INFECTION UNA SELEZIONE DI DOMANDE E RISPOSTE DELLA PARTE GENERALE
Dopo l’incisione cutanea, la lama del bisturi andrebbe cambiata per l’incisione profonda?
« Sì, il bisturi deve essere cambiato dopo aver praticato l’incisione cutanea. Ci sono studi che dimostrano come i batteri presenti negli strati superficiali della pelle possono contaminare il bisturi e potenzialmente trasferirsi nei tessuti più profondi».
LIVELLO DI EVIDENZA: LIMITATO
La preparazione preoperatoria della pelle con antisettici può aiutare a ridurre il numero di microrganismi, ma non può eradicarli del tutto, e ipoteticamente, ogni volta che la pelle è incisa, si può avere una contaminazione dei tessuti esposti.
La letteratura in materia è scarsa, anche per la difficoltà di progettare uno studio che possa affrontare la questione in maniera corretta, così il livello di evidenza è basso. Tuttavia, tenendo conto del costo limitato di un bisturi e della possibilità di evitare conseguenze devastanti, gli esperti raccomandano di cambiare il bisturi prima di accedere ai tessuti più profondi.
La scarsa igiene dentale aumenta il rischio di infezioni del sito chirurgico e di infezioni periprotesiche?
«Esiste un rischio piccolo, ma reale, di diffusione ematogena di patogeni orali nei pazienti sottoposti a interventi di artroprotesi. I pazienti con scarsa igiene orale sono a maggior rischio di infezioni, pertanto i pazienti edentuli o con patologie orali dovrebbero essere identificati e trattati in modo ottimale prima dell’artroplastica elettiva».
LIVELLO DI EVIDENZA: LIMITATO
Una batteriemia transitoria si verifica normalmente in seguito a procedure odontoiatriche e teoricamente si associa a un rischio di diffusione per via ematica, che può arrivare alla protesi e produrre infezioni periprotesiche. Diversi studi, pur condotti su piccoli numeri, hanno mostrato un’associazione tra i batteri isolati intorno alle protesi infette e quelli che compongono la flora batterica orale.
Nonostante il rischio teorico, studi clinici di larga scala non hanno identificato associazioni statistiche tra procedure odontoiatriche e infezioni periprotesiche, né si sono verificati effetti positivi prodotti da una profilassi antibiotica. Tuttavia, nei pazienti con scarsa igiene dentale e patologie odontoiatriche, si è trovata una maggiore incidenza di batteriemia. Il rischio è basso, ma cresce in presenza di alcuni fattori: uso di sostanze, fumo di tabacco, non aver effettuato un controllo odontoiatrico nei dodici mesi precedenti, edentulia, età avanzata, mancato uso del filo interdentale.
Quali fattori modificabili e non modificabili riferiti al paziente contribuiscono a un aumento del rischio di infezioni del sito chirurgico e di infezioni periprotesiche?
«È dimostrato che alcuni fattori modificabili, come l’indice di massa corporea, il fumo e l’alcol aumentano il rischio di queste infezioni, analogamente a fattori non modificabili come l’età avanzata, il genere maschile e l’etnia nera, nonché diverse comorbilità mediche».
LIVELLO DI EVIDENZA: FORTE
Il rischio di sviluppare infezioni del sito chirurgico e infezioni periprotesiche successive alle procedure di artroplastica totale è influenzato da diversi fattori riconducibili alle caratteristiche dei pazienti, all’intervento chirurgico e alle cure post-operatorie. Tuttavia, i fattori correlati al paziente, come le caratteristiche socio-demografiche, l’indice di massa corporea e la storia clinica e chirurgica sembrano svolgere un ruolo particolarmente importante. Con l’eccezione di fattori come l’età, il sesso e l’etnia, molti sono modificabili e potrebbero essere utilizzati per l’identificazione di soggetti ad alto rischio, a cui destinare appropriati interventi mirati. La letteratura che ha valutato l’associazione di questi fattori con le infezioni è molto ampia e gli esperti che hanno partecipato al meeting li hanno analizzati con una revisione sistematica.
Riguardo a sovrappeso e obesità, il consenso appare unanime ed è stato riportato che il rischio di infezione al sito chirurgico delle persone obese è doppio rispetto ai soggetti normopeso. Oltre ad alcol e fumo, fattori ben noti, giocano un ruolo anche condizioni socio-economiche, come la malnutrizione e l’indigenza.
Molte comorbilità hanno dimostrato un ruolo negativo per lo sviluppo di infezioni, tra cui diabete, insufficienza cardiaca, aritmie cardiache, malattie vascolari periferiche, malattie renali, cirrosi epatica, artrite reumatoide, depressione, psicosi, infezione da Hiv.
Anche alcuni farmaci sono stati correlati a un aumento del rischio, in particolare i corticosteroidi.
Infine, una precedente chirurgia articolare comporta un rischio triplicato rispetto a quello che si verifica in caso di intervento primario.
Deve essere effettuata la tricotomia intorno all’incisione chirurgica pianificata? Quali sono il metodo e la tempistica migliori per la rimozione dei peli?
«I peli in corrispondenza del sito di incisione dovrebbero essere rimossi immediatamente prima della chirurgia, utilizzando gli appositi rasoi elettrici per tricotomia preoperatoria o creme depilatorie».
LIVELLO DI EVIDENZA: CONSENSO
In realtà, le prove scientifiche sull’opportunità o meno di rimuovere i peli prima dell’intervento sono controverse, ma la tricotomia preoperatoria è un’abitudine consolidata e dietro questa pratica c’è una logica che non dovrebbe essere sottovalutata. La depilazione è considerata una misura precauzionale per ridurre il rischio che i peli entrino nella ferita aperta durante la procedura operatoria; esiti potenzialmente avversi dovuti alla contaminazione dei peli nel sito di incisione includono sia le reazioni dei tessuti al corpo estraneo durante il processo di guarigione delle ferite sia, appunto, le infezioni.
Riguardo agli strumenti utilizzati per la depilazione, i clipper elettrici e le creme depilatorie si sono associati a un tasso di infezioni inferiore rispetto alle lamette. Questi risultati sono attribuiti ai microtraumi che si formano sulla pelle durante il processo di rasatura, che a loro volta creano un ambiente favorevole a colonizzazioni batteriche e infezioni. La depilazione dovrebbe essere completata il più vicino possibile al momento dell’intervento, da parte dell’équipe chirurgica o da personale infermieristico addestrato; è inoltre consigliabile che l’operazione sia svolta al di fuori della sala operatoria.
C’è un legame tra il consumo di oppiacei e un aumento del rischio di infezioni del sito chirurgico e di infezioni periprotesiche?
«Sì. L’utilizzo di oppiacei prima dell’intervento chirurgico è stato associato a un maggior rischio di contrarre queste infezioni».
LIVELLO DI EVIDENZA: LIMITATO
Studi in vitro e su modelli animali hanno evidenziato che gli oppioidi hanno effetti immunosoppressivi, andando a modulare sia il sistema immunitario innato che quello adattativo. Gli esperti del meeting riferiscono che queste sostanze sono implicate nello sviluppo di diversi tipi di infezioni e alcuni studi clinici hanno confermato un maggior rischio anche per le infezioni periprotesiche che possono colpire i pazienti sottoposti a sostituzioni protesiche; comunque, le evidenze scientifiche attualmente disponibili sono limitate,
È opportuno bandire cellulari e altri dispositivi mobili dalla sala operatoria?
«Data la mancanza di evidenze che associno il manifestarsi di effetti avversi alla presenza in sala di questi apparecchi, al momento non si può raccomandare di bandirli; tuttavia, dovrebbe essere effettuata regolarmente una pulizia dei cellulari».
LIVELLO DI EVIDENZA: LIMITATO
Le apparecchiature elettroniche non mediche, come i telefoni cellulari e i tablet multimediali wireless, si sono integrati in maniera crescente nell’attività degli operatori sanitari e gli studi riportano percentuali variabili dal 33% all’88% di operatori sanitari che ammettono di utilizzare i telefoni cellulari anche in sala operatoria. Questi dispositivi potrebbero essere una fonte di distrazione e le loro superfici costituiscono una fonte potenziale di contaminazione batterica, che del resto è stata confermata da numerosi studi. Ma tuttora mancano lavori che abbiano stabilito un’effettiva correlazione dell’utilizzo di apparecchi elettronici mobili con le infezioni che si producono in chirurgia protesica.
Il tipo di anestesia influisce sul rischio di infezioni del sito chirurgico e di infezioni periprotesiche?
«Rispetto all’anestesia generale, l’anestesia neuroassiale risulta associata a un minor rischio di infezioni dopo la sostituzione totale di anca o di ginocchio».
LIVELLO DI EVIDENZA: LIMITATO
La tecnica anestesiologica può rientrare tra i fattori di rischio modificabili per lo sviluppo di complicazioni infettive dopo artroplastica totale dell’anca o del ginocchio. Le ricerche che hanno confrontato il tipo di anestesia con i rischi delle infezioni del sito chirurgico sono numerose; la maggior parte degli studi sono di tipo retrospettivo oppure hanno raccolto dati in modo prospettico da database di grandi dimensioni; la loro qualità complessiva è buona, eppure i risultati ottenuti non sono univoci. Se una parte di studi non ha riscontrato differenze, altri hanno mostrato vantaggi dell’anestesia neuorassiale, con minori complicanze cardiache e polmonari e anche, nello specifico, minori infezioni rispetto a quelle occorse in pazienti sottoposti ad anestesia generale. Il consiglio degli esperti va dunque a supporto della peridurale.
Ci si è poi chiesto se l’anestesia regionale possa essere somministrata con sicurezza a pazienti che hanno infezioni, essendoci il timore di una disseminazione attraverso il midollo spinale. Ma gli studi (livello di evidenza: moderato) indicano che complicanze infettive del sistema nervoso centrale, come meningite, ascessi epidurali o osteomielite vertebrale, associabili alla somministrazione di anestesia epidurale, sono estremamente rare e i benefici di questo tipo di anestesia superano di gran lunga i rischi.
La carenza preoperatoria di vitamina D aumenta il rischio di infezioni del sito chirurgico e di infezioni periprotesiche?
«La carenza di vitamina D può aumentare il rischio di infezioni nei pazienti sottoposti a interventi di chirurgia protesica, riducendo le risposte immunitarie innate e adattative mediate da questa vitamina».
LIVELLO DI EVIDENZA: LIMITATO
L’evidenza è limitata, tuttavia sono numerosi gli studi che hanno rilevato questa interazione. Si è dimostrato che la vitamina D attiva il sistema immunitario innato, stimolandolo ad eliminare i batteri attraverso la regolazione intracrina dei monociti e con la modulazione di peptidi antimicrobici e citochine. La vitamina D attiva anche la risposta immunitaria adattiva, attraverso la regolazione paracrina nelle cellule dendritiche, nelle cellule T e B.
Nonostante i ricercatori siano riusciti a identificare questi meccanismi biologici, non esistono attualmente studi clinici che dimostrino i benefici di una supplementazione con vitamina D ai pazienti che ne sono carenti.
I pazienti con allergie alle penicilline e alle cefalosporine dovrebbero essere sottoposti a test o a procedure di desensibilizzazione prima di essere sottoposti a chirurgia protesica?
«La maggior parte dei pazienti con allergia alle penicilline tollera le cefalosporine e non è richiesto un test cutaneo di routine. Ai pazienti con allergia non anafilattica alle penicilline e alle cefalosporine può essere somministrata una dose di test di cefalosporine in sala operatoria».
LIVELLO DI EVIDENZA: LIMITATO
I rischi sembrano meno rilevanti di quanto si temeva in passato. Quella alla penicillina è una delle allergie ai farmaci più frequente, si stima che interessi circa il 10% della popolazione ed è certamente la più comune delle allergie agli antibiotici. Tuttavia, nella letteratura più recente, la cross-reattività delle penicilline e delle cefalosporine si è dimostrata molto più bassa rispetto a quanto si stimava in precedenza. Questi pazienti possono essere testati per l’allergia alle cefalosporine e, se il test è negativo, può essere somministrata come profilassi una cefalosporina. L’ambiente ottimale per ricevere un antibiotico può essere la sala operatoria, con l’occhio vigile di un anestesista, dove a fronte di un’eventuale ipersensibilità di tipo immediato possono essere tempestivamente somministrati i farmaci necessari. Tutto questo vale per le ipersensibilità di tipo immediato, mentre per le ipersensibilità ritardate il discorso è più complesso: andrebbero valutate caso per caso e può essere considerata la possibilità di sottoporre il paziente a una terapia di desensibilizzazione.
Per i pazienti con allergia anafilattica nota alle penicilline e cefalosporine, può essere valutata una profilassi antibiotica con vancomicina, teicoplanina o clindamicina.
Precedenti infezioni del sito chirurgico e infezioni periprotesiche in un’articolazione aumentano il rischio di successiva infezione in un’altra articolazione? In caso affermativo, l’artroplastica elettiva deve essere sospesa in pazienti con infezione attiva o trattata in un’altra articolazione?
« Sì. Una precedente infezione del sito chirurgico o periprotesica aumentano il rischio di successiva infezione in un’altra articolazione. L’artroplastica elettiva dell’altra articolazione deve essere sospesa nei pazienti con infezione attiva».
LIVELLO DI EVIDENZA: LIMITATO
Infezioni locali o sistemiche attive, così come un’infezione del sito chirurgico, anche precedente, oppure un’infezione periprotesica in un’articolazione diversa, sono state considerate fattori di rischio per lo sviluppo di un’infezione successiva: alcuni ricercatori ne hanno stimato un’incidenza superiore al 20%. Si ritiene che la semina ematogena svolga un ruolo importante in questo processo, così come altri fattori di rischio già presenti quando si era verificata la prima infezione.
I dati finora disponibili confermano che in caso di infezioni remote il rischio di semina ematogena esiste. Questo meccanismo è influenzato anche dal tipo di agente patogeno e la seconda infezione risulta più frequente quando è determinata dallo Staphylococcus aureus. Pertanto, nello scenario in cui esiste anche solo il sospetto di un’infezione remota, l’intervento chirurgico di elezione deve essere ritardato fino a quando tutte le possibili fonti di infezione non vengano trattate.
Il numero di individui presenti nella sala operatoria influisce sul tasso di infezioni? In tal caso, quali strategie dovrebbero essere implementate per ridurre il numero di persone richieste?
«Sì. Il numero di persone in sala operatoria e le frequenti aperture della porta durante l’intervento sono correlati al numero di particelle aerodisperse. Numerose particelle disperse nell’aria in sala operatoria possono predisporre a successive infezioni articolari periprotesiche. Pertanto, la circolazione di persone in sala operatoria dovrebbe essere ridotta al minimo».
LIVELLO DI EVIDENZA: MODERATO
È stato riportato che numerose persone presenti in sala operatoria e l’apertura delle porte alterano il flusso d’aria e ne influenzano la qualità.
Gli esperti suggeriscono diverse strategie che possono aiutare a far fronte a questa criticità: il numero di osservatori, ricercatori e commerciali di aziende dovrebbe essere ridotto al minimo; gli strumenti usati frequentemente dovrebbero essere già presenti in sala operatoria durante l’intervento; il personale dovrebbe essere informato e sensibilizzato riguardo alle potenziali correlazioni tra il traffico di persone in sala operatoria e le infezioni; dovrebbe essere attuata un’accurata pianificazione preoperatoria per avere in sala tutto il necessario per l’intervento; la porta esterna dovrebbe essere bloccata subito dopo l’ingresso del paziente; la rotazione del personale durante un intervento di ortopedia protesica dovrebbe essere minimizzata e possibilmente azzerata; per le comunicazioni con l’esterno dovrebbe essere utilizzato l’interfono; la porta non dovrebbe essere aperta per visite, discussioni cliniche o rifornimento di anestesia per l’intervento successivo; si potrebbe installare un allarme che scatti in occasione dell’apertura della porta; l’apertura di confezioni contenenti attrezzature da utilizzare durante l’intervento dovrebbe avvenire immediatamente prima del momento dell’incisione, per ridurre l’esposizione degli strumenti sterili.
Qual è il metodo migliore per ottenere delle colture intraoperatorie?
«Ogni campione di tessuto deve essere raccolto utilizzando strumenti sterili separati, immesso direttamente in bottiglie di coltura e trasferito al laboratorio il più presto possibile. Si dovrebbero disporre un minimo di tre e un massimo di cinque colture intraoperatorie di tessuto periprotesico. È preferibile che i campioni siano ottenuti, quando possibile, dall’interfaccia osso-impianto. I tamponi per esami colturali dovrebbero essere evitati a causa della loro scarsa accuratezza diagnostica. Ove possibile, anche il liquido sinoviale dovrebbe essere raccolto e inserito nelle bottiglie per emocoltura».
LIVELLO DI EVIDENZA: MODERATO
L’accurata identificazione dei microrganismi responsabili dell’infezione periprotesica è un passo fondamentale nella gestione di questa complicazione: oltre a confermare la diagnosi, consente di somministrare antibiotici specifici. Al contrario, la mancata identificazione del microrganismo corretto può comportare trattamenti potenzialmente tossici e un aumento dei costi, oltre al possibile fallimento nell’eradicazione dell’infezione. È pertanto necessario concordare metodi standard per il campionamento intraoperatorio.
Gli studi presenti in letteratura dimostrano che le colture tissutali hanno una sensibilità e una specificità più elevate rispetto alle colture effettuate con i tamponi, che dovrebbero dunque essere evitati.
Ogni campione di tessuto deve essere raccolto utilizzando strumenti chirurgici separati per prevenire la contaminazione incrociata e disporre di campioni realmente indipendenti. Le biopsie dovrebbero essere prese dal rivestimento sinoviale e dai tessuti periprotesici con l’obiettivo di analizzare il tessuto visibilmente infiammato o anormale; la preferenza dovrebbe essere data al campionamento della membrana all’interfaccia tra osso e impianto, dove i campioni hanno una probabilità maggiore di produrre risultati positivi.
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia