Tra gli sviluppi dell’intelligenza artificiale che trovano applicazione in medicina, il machine learning è forse quello che negli ultimi anni ha conosciuto la più rapida evoluzione, con il perfezionamento di una serie di algoritmi di addestramento indirizzati a rendere i computer capaci di elaborare e mettere in relazione set di dati – sempre più ampi, eterogenei, strutturati e non, in modo più o meno supervisionato – per mezzo di modelli analitici che si costruiscono autonomamente, “imparando” dai dati stessi.
Le potenzialità dei sistemi artificiali di apprendimento automatico nella pratica clinica concernono svariati settori e una vasta gamma di finalità, dalla formulazione di diagnosi e previsioni prognostiche all’attuazione di processi decisionali. L’ortopedia è uno degli ambiti maggiormente interessati ai sistemi di intelligenza artificiale, che qui hanno già alcuni impieghi, come per esempio la radiomica, i software per la pianificazione preoperatoria, la chirurgia robotica, le piattaforme per il coaching riabilitativo.
Mentre in quest’area disciplinare innovazione tecnologica e sperimentazione procedono senza sosta esiste un filone di ricerca parallelo praticato con altrettanto impegno: quello intenzionato a chiarire se e in che misura una macchina “pensante” possa garantire prestazioni equiparabili o addirittura superiori a quelle basate su competenza ed esperienza umane.
Nel campo del machine learning di pertinenza dell’ortopedia una delle prime e più sperimentate applicazioni è quella volta all’interpretazione dei dati di imaging. Ed è proprio sulle performance diagnostiche effettuate a partire da immagini radiologiche che gli autori di una revisione sistematica di recente riportata da Clinical Orthopaedics and Related Research hanno messo a confronto intelligenza artificiale e intelligenza naturale.
A partire da 12 studi comparativi pubblicati fino al mese di ottobre del 2019 un team multinazionale Usa-Olanda di ricercatori ha valutato l’operato dei modelli di machine learning utilizzati, tutti in modalità supervisionata e funzionanti con algoritmi del tipo rete neurale convoluzionale e random forest, e di una quindicina di clinici, tra cui quattro ortopedici e sei radiologi, nell’identificazione di fratture ossee e altre anomalie muscolo-scheletriche.
Le diagnosi, di tipo dicotomico, prodotte dai computer e dai medici sulla base di immagini radiografiche nella maggior parte dei casi (8 studi), di risonanza magnetica (3 studi) ed ecografiche (1 studio) sono state giudicate rispetto ad accuratezza, sensibilità e specificità.
Complessivamente le prestazioni dei computer hanno superato quelle dei clinici, con scarti minimi per accuratezza e sensibilità, mentre sono risultate sovrapponibili per specificità. La modesta affermazione dell’intelligenza artificiale su quella naturale è stata registrata prevalentemente nell’interpretazione delle immagini radiografiche e nel confronto con le diagnosi dei competitor umani non specialisti del settore. Ortopedici e radiologi hanno quindi tenuto testa alle macchine, ma nei due studi in cui sono state esaminate le performance dei clinici con e senza il supporto di modelli di machine learning, la collaborazione si è dimostrata decisamente proficua.
«L’implementazione di sistemi di apprendimento automatico nella pratica clinica offre molti vantaggi ma presenta alcune criticità, legate per esempio da un lato all’impostazione degli algoritmi e dall’altro alla dimestichezza dei medici con i principi del loro funzionamento – precisano gli autori –. Ma di certo il vero obiettivo da perseguire è la cooperazione tra le due intelligenze e non la sostituzione di una all’altra».
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia