I pazienti con protesi d’anca e ginocchio sono sempre più attivi. Lo dimostrano due studi presentati a Chicago, in occasione del meeting annuale dell’American academy of orthopaedic surgeons (Aaos).
Il primo è stato condotto da Adolph V. Lombardi, chirurgo ortopedico americano e presidente di Operation walk Usa, un’organizzazione no profit che promuove la chirurgia protesica rivolta ai pazienti sprovvisti di assicurazione.La sua indagine si è svolta attraverso un sondaggio che ha interpellato 660 pazienti, di età compresa tra i 18 e i 60 anni, operati di protesi totale di ginocchio in cinque importanti centri medici, da uno a cinque anni prima dell’indagine. Adottando le definizioni del Dictionary of occupational titles del dipartimento federale del lavoro, i partecipanti sono stati classificati in base al grado di attività fisica richiesto dal loro lavoro: sedentaria, leggera, media, pesante o molto pesante.
Circa tre pazienti su quattro erano impegnati in un’attività lavorativa nei tre mesi precedenti l’intervento e il 98% di loro è tornato al lavoro dopo le dimissioni; per la maggior parte (89 su cento) hanno ripreso la medesima attività che svolgevano prima. La ripresa è avvenuta in misura pressoché indipendente dall’intensità dell’attività fisica: è tornato al lavoro il 95% dei pazienti impiegati in un lavoro sedentario, il 91% se il lavoro era leggero, il 100% se era medio, il 98% se era pesante e il 97% se era molto pesante.
Sei partecipanti su dieci erano donne: mediamente sono tornate al lavoro più tardi degli uomini (70% nei primi tre mesi, contro l’83%), ma su periodi più lunghi le percentuali sono simili.
Così commenta Lombardi: «quando il dolore collegato agli stadi avanzati di una patologia degenerativa all’articolazione del ginocchio compromette la capacità del paziente di continuare a svolgere la propria attività lavorativa, la sostituzione protesica totale di ginocchio permette loro di riprenderla: questo dà al paziente un senso di realizzazione personale ed è economicamente utile alla società».
Allo stesso congresso è stato presentato uno studio analogo ma riferito alla protesi d’anca, effettuato in una grande struttura ospedaliera svizzera. Il suo principale punto di forza è aver prolungato i controlli su lungo periodo, da cinque fino a dieci anni dopo l’intervento. Ha coordinato la ricerca l’ortopedica svizzera Anne Lübbeke-Wolff, che ha analizzato lo stile di vita di un campione consistente di pazienti: 2.916 prima e 1.565 dopo la sostituzione dell’anca. L’età media al tempo dell’intervento era di 68,4 anni e per il 56% si trattava di donne. Se prima di operarsi solo il 39% dei pazienti aveva una vita attiva, la percentuale è salita al 55% cinque anni dopo l’applicazione della protesi, dato particolarmente interessante se si tiene conto dell’età piuttosto elevata. Nell’ultimo decennio la percentuale di pazienti che praticavano attività fisica (sia prima che dopo l’intervento) è aumentata del 10%. Secondo lo studio, diversi fattori sono collegati alla ripresa dell’attività: la presenza di altre patologie, l’indice di massa corporea, una diagnosi preoperatoria di osteoartrosi primaria o secondaria e il livello di attività che il paziente svolgeva prima dell’intervento.
«Nella maggior parte dei casi – riferisce la dottoressa Lübbeke-Wolff – i pazienti che praticavano ciclismo, bowling, golf, escursionismo in montagna o nuoto hanno potuto riprendere il loro sport dopo la chirurgia protesica d’anca».
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