Esostosi multipla ereditaria e le varie forme di osteogenesi imperfetta sono le malattie scheletriche rare a più alta prevalenza. Di frequente la diagnosi è tardiva e arriva, anni dopo l’esordio delle manifestazioni, in un centro specializzato
Dall’inizio dell’emergenza Covid su tutto il territorio nazionale si sta verificando una generalizzata sottrazione di risorse sanitarie destinate alle altre patologie, che specialmente per le malattie croniche può significare una pregiudizievole compromissione della continuità terapeutica. In tale contesto la categoria delle malattie rare, già in partenza confinate dai dati epidemiologici in una condizione di marginalità, rischia di accumulare ulteriore svantaggio.
Del particolare gruppo delle malattie rare di pertinenza ortopedica, con riferimento ai diversi aspetti della gestione clinica e delle sfide affrontate nella pandemia, parliamo con Luca Sangiorgi, direttore presso l’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna della struttura complessa “Centro malattie rare scheletriche” (Cemars), insignito nel 2017 del ruolo di coordinamento internazionale dei 70 centri specializzati che fanno attualmente parte della European Reference Network on Rare Bone Diseases (Ern Bond).
Dottor Sangiorgi, quali ripercussioni sta avendo la pandemia sulla gestione e sulla condizione dei pazienti con malattie scheletriche rare?
Sul piano dell’assistenza sanitaria questi pazienti stanno subendo la forzata contrazione dell’attività clinica dedicata, che comporta per esempio la riduzione del numero delle visite che possiamo effettuare giornalmente.
Ma l’impatto dell’attuale contesto pandemico va valutato anche sul piano psico-sociale, che coinvolge molteplici aspetti della loro vita: la percezione della condizione di malattia, che può essere oscurata dalla paura di contrarre l’infezione, con conseguente irregolarità o sospensioni dei trattamenti e dei controlli, o viceversa acuita dalla nuova minaccia a un’integrità fisica già compromessa; la sfera relazionale, che subisce limitazioni destabilizzanti per soggetti che necessitano costantemente di aiuto materiale e di sostegno emozionale; la vita scolastica e lavorativa, che spesso in questi pazienti svolge una funzione importante per la costruzione di una più solida immagine di sé.
E sulle attività del Cemars?
Pur con qualche rallentamento stiamo portando avanti un progetto di potenziamento del centro.
Il primo obiettivo che ci siamo posti è quello di tradurre nella pratica clinica l’approccio interdisciplinare, che è imprescindibile per la gestione delle malattie rare scheletriche data la loro complessità dal punto di vista sia diagnostico che terapeutico e la loro frequente presentazione in forme sindromiche.
Oggi per ogni paziente è prevista una valutazione congiunta del genetista, dell’ortopedico, del fisiatra e del fisioterapista, ma stiamo ampliando la rosa delle professionalità coinvolte, con l’inclusione delle varie aree dell’ortopedia specialistica presenti all’interno della struttura e di una serie di altre specialità cliniche reclutate attraverso accordi interaziendali stipulati sul territorio provinciale.
Il fine ultimo è quello di garantire ai pazienti la possibilità di fare visite specialistiche, esami diagnostici e interventi terapeutici presso un servizio integrato che abbiamo chiamato Day Service Ambulatoriale.
Per quanto riguarda le risorse diagnostiche, a breve il Cemars avrà in dotazione, prima struttura in Italia, un apparecchio per la HR-pQCT (high-resolution peripheral quantitative computed tomography), che consente di praticare una sorta di “biopsia virtuale” del tessuto osseo, con la valutazione della microstruttura a livello sia della componente corticale che di quella spongiosa e della densità volumetrica. Si tratta quindi di un esame che fornisce contemporaneamente dati di tipo quantitativo e qualitativo, e in modo relativamente sicuro, in particolare per i pazienti in età evolutiva, sia perché comporta una limitata esposizione alle radiazioni ionizzanti sia perché può essere eseguita in sedi agevolmente accessibili come il polso o il ginocchio. Contiamo di implementare questa indagine diagnostica a partire dalla prossima estate, di includerla tra le prestazioni di screening del Day Service e di offrirla come valutazione periodica ai pazienti affetti dalle forme più accentuate di fragilità ossea.
Che caratteristiche ha l’utenza del Cemars rispetto a provenienza, età, condizione patologica e storia clinica?
L’87% dell’utenza proviene da altre regioni, con ampia diffusione sul territorio nazionale.
A condurre i pazienti al centro sono spesso le indicazioni ricevute da fonti non mediche, dalle associazioni di malati fino al web, ma c’è anche un nutrito gruppo di colleghi che ci inviano i loro pazienti.
Circa il 50% degli accessi è motivato dalla necessità di un approfondimento diagnostico e sul totale di circa 900 casi, tra visite in presenza ed esami molecolari, più o meno 350 rappresentano nuove diagnosi con tipizzazione genetica. A questa quota si aggiunge un centinaio di pazienti in cui per mancanza di un marker molecolare noto viene fatta una diagnosi di tipo esclusivamente clinico.
Tendenzialmente i pazienti arrivano alla nostra osservazione in età pediatrica, ma siamo uno dei pochi centri in Italia che segue anche le fasce di età successive. Attualmente nella popolazione dei nostri utenti il rapporto bambini-adulti è all’incirca di 60 a 40.
Un dato che tengo a rimarcare è che in generale la storia clinica di molti dei soggetti affetti da una malattia rara è caratterizzata da un forte ritardo diagnostico, mediamente di 7-8 anni. Tra i nostri pazienti abbiamo diagnosi tardive a 3-4 anni di distanza dall’esordio delle manifestazioni.
Le patologie che più spesso approdano al Cemars sono anche quelle più rappresentate nei dati epidemiologici: la condizione nota come esostosi multipla ereditaria e le varie forme di osteogenesi imperfetta.
Quali indicazioni fornirebbe ai colleghi e alle strutture non dotate di competenze specifiche per la gestione di pazienti con una malattia rara scheletrica sospetta o accertata?
Partendo da un dato di fatto già accennato, e cioè che questi soggetti sono troppo spesso penalizzati dall’assenza di diagnosi nei primi anni di malattia, suggerirei di inviare il paziente nel più breve tempo possibile a un centro specializzato, perché possano essere avviati l’iter diagnostico e l’intervento terapeutico appropriati a seconda della malattia e del suo stadio evolutivo.
Gli interventi mirati a prevenire, laddove possibile, la progressione della malattia e le complicanze o a correggerne gli effetti diventano infatti impraticabili o meno efficaci se sono tardivi. Inoltre gli obiettivi terapeutici sono diversi nelle diverse fasi della vita del paziente: in età evolutiva favorire, entro i limiti consentiti dalla malattia, la crescita fisiologica e in età adulta mantenere un buon livello della qualità di vita.
La necessità di indagini diagnostiche complesse e di un progetto di assistenza e cura di lungo periodo richiede inevitabilmente un contesto altamente specializzato.
D’altro canto, è fondamentale che ogni centro si impegni a mantenere il rapporto con ogni collega inviante anche dopo la presa in carico di un paziente, affinché questi possa avere nel proprio medico un referente più prossimo e facile da consultare in caso di problematiche che non richiedono l’intervento del centro e il medico possa contare per la gestione degli aspetti più complessi della malattia su un interlocutore esperto.
Quali sono gli elementi che possono indirizzare l’ipotesi diagnostica verso una malattia scheletrica rara?
È impossibile dare informazioni dettagliate dal momento che le malattie rare scheletriche classificate finora sono 436 e che sono caratterizzate sia da un certo grado di eterogeneità genetica, sia da una notevole variabilità fenotipica.
In quelle che sono decisamente più comuni, osteogenesi imperfetta ed esostosi multipla, esistono segnali clinici abbastanza suggestivi: per la prima soprattutto la ripetizione di eventi fratturativi, anche in bambini che non hanno ancora sviluppato un’autonomia motoria, e all’esame radiologico l’anomala rarefazione del tessuto osseo; per la seconda la comparsa di masse prominenti, corrispondenti a osteocondromi, prevalentemente a livello delle zone diafisarie delle ossa lunghe, in numero e dimensioni variabili, che progredisce durante tutto il periodo dell’accrescimento scheletrico.
Il principale indizio di carattere generale, che va sempre indagato in caso di dubbio diagnostico, è senz’altro la familiarità, che è presente in tutte le patologie rare, tenendo però conto del fatto che la stessa anomalia genetica non ha sempre identica espressione anche all’interno della stessa famiglia. Un altro elemento sospetto, sebbene meno specifico, è la tendenza delle manifestazioni cliniche alla progressione.
Ribadisco che la diagnosi è comunque complessa in ogni caso, in particolare per le forme che hanno un background misto con una componente endocrinologica.
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia
LA RICERCA È MULTICENTRICA_Il Cemars redige attualmente cinque registri di patologia che consentono di produrre dati sulle correlazioni genotipo-fenotipo e quindi di indagare anche i determinanti extra-genetici delle malattie. In collaborazione con l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova i dati vengono ulteriormente elaborati con l’obiettivo di individuare gruppi di pazienti con particolari necessità o identificare i casi nei quali approfondire la ricerca genetica. In più c’è un’area di studi più di tipo organizzativo mirata a definire le procedure.
«Voglio sottolineare che sia per l’attività di ricerca che per quella clinica nel campo delle malattie rare si vede sempre più la necessità che i centri dedicati sviluppino competenze molto specialistiche e siano connessi in reti di livello nazionale e sovranazionale – precisa Luca Sangiorgi –. La rete europea Ern Bond rappresenta per esempio un organo di eccellenza, che mette in condivisione anche strumenti di lavoro di grande utilità: uno di questi è il Clinical Patient Management System (Cpms), un’applicazione web che permette il confronto tra specialisti su singoli casi, in modo totalmente sicuro e nel totale rispetto della privacy dei pazienti, ottimizzandone pertanto la gestione».

La squadra helpline del Rizzoli insieme all’assessore alle Politiche per la salute Raffaele Donini, al direttore della struttura Malattie
Rare Scheletriche Luca Sangiorgi, al direttore generale Anselmo Campagna e alla direttrice scientifica Maria Paola Landini
UNA HELPLINE TELEFONICA NATA PER L’EMERGENZA COVID_Così come molti servizi non emergenziali, anche l’attività clinica del Cemars ha subito durante il periodo del primo lockdown nazionale una sospensione, che tuttavia ha fornito lo spunto per un’iniziativa “compensatoria” che si è dimostrata valida non solo come sostituzione delle modalità di lavoro consuete, ma anche come strumento di assistenza complementare – quindi potenzialmente utile per il futuro indipendentemente dalla contingenza epidemica – a favore sia dei pazienti che dei medici.
Nell’ambito delle iniziative della European Reference Network on Rare Bone Diseases (Ern Bond), un team di professionisti della salute italiani è stato coinvolto dal Cemars nell’attivazione della “Covid19 Helpline for Rare Bone Diseases”, un servizio telefonico 24/7 avviato lo scorso marzo, che ha garantito la consulenza di un gruppo di esperti per specifiche esigenze e sui vari aspetti della gestione delle malattie scheletriche rare nel corso dell’emergenza (ernbond.eu/helpline-for-patients-and-clinicians).
Solo nei mesi caldi della prima ondata epidemica il servizio ha ricevuto più di 300 chiamate, provenienti per l’80% da pazienti e per il restante 20% da colleghi, e dati i riscontri estremamente positivi è tuttora in funzione. Il resoconto dell’iniziativa è stato riportato a fine agosto sulla rivista ufficiale di Orphanet (Brizola E et al. Providing high-quality care remotely to patients with rare bone diseases during COVID-19 pandemic. Orphanet J Rare Dis. 2020 Aug 31;15(1):228).