Dall’esperienza di un ortopedico e di un radiologo pediatrici, ecco come riconoscere i traumi non accidentali e come gestire la situazione: è importante segnalare subito il sospetto di maltrattamento e, per tutelare il minore, è opportuno prescrivere il ricovero
Lesioni traumatiche conseguenti a violenza fisica costituiscono un riscontro non raro nei bambini, soprattutto nei più piccoli e in quelli con patologie croniche o handicap. I tassi di incidenza e prevalenza dei traumi non accidentali variano molto da Paese a Paese. Secondo i dati epidemiologici riportati in letteratura, dal 25% al 56% delle fratture nei bambini di età inferiore all’anno ha origine in atti violenti perpetrati da adulti, che nella maggior parte dei casi sono i genitori o comunque membri del nucleo familiare.
Così nella comune pratica clinica ospedaliera, specialmente nel contesto del pronto soccorso, la valutazione della possibile origine non accidentale di un trauma muscolo-scheletrico in età pediatrica è un’evenienza relativamente frequente che richiede, oltre ovviamente alla capacità di formulare una diagnosi differenziale rispetto alle condizioni infantili possibilmente associate a fratture patologiche, competenze specifiche relative alle manifestazioni cliniche tipiche dei casi di maltrattamento e agli elementi contestuali significativi.
Testimoni di tali competenze sono Federico Canavese della Clinica universitaria di Ortopedia infantile del Centro Ospedaliero Universitario di Lille in Francia e Roberta Cotti del dipartimento di Diagnostica per immagini e Radiologia interventistica dell’Ospedale Infantile Regina Margherita-AOU Città della Salute e della Scienza di Torino.
TRAUMI NON ACCIDENTALI NEI MINORI: IL RUOLO DELL’ORTOPEDICO

Professor Canavese, nella sua esperienza qual è la presentazione clinica più comune nei casi di trauma non accidentale?
Nella maggior parte dei casi quando un bambino viene portato in pronto soccorso per un trauma muscolo-scheletrico recente sono rilevabili contemporaneamente altri esiti di maltrattamento, a carico di apparati diversi e prodotti in tempi diversi.
Nel bambino che ha subito percosse violente, le fratture ossee sono tra le manifestazioni più comuni insieme con le lesioni contusive visibili a livello cutaneo (ematomi, ecchimosi) e, dato che il maltrattamento è di solito una condotta reiterata, spesso alla diagnosi della lesione scheletrica recente si aggiunge il riscontro radiologico di lesioni precedenti in varie fasi di consolidamento.
Nei più piccoli, al di sotto di 1-2 anni di età, è frequente l’associazione tra fratture ossee e sintomi neurologici centrali, in particolare nel contesto della cosiddetta “shaken baby syndrome”. In questa forma di maltrattamento si possono produrre gravi lesioni encefaliche, anche in assenza di un trauma cranico, in virtù delle caratteristiche anatomiche del distretto capo-collo del bambino: il volume e il peso del capo proporzionalmente elevato in rapporto al resto della massa corporea, l’ipotonia della muscolatura cervicale, la prevalente componente acquosa del sistema nervoso centrale, la vulnerabilità delle strutture encefaliche ancora incompletamente mielinizzate.
Traumi contusivi ad alta energia possono determinare anche pericolose lesioni viscerali a livello degli organi toraco-addominali.
Si aggiungono infine le lesioni indotte con altri meccanismi, come le ustioni cutanee appositamente causate con sigarette accese, fiamma, acqua bollente e le escoriazioni o abrasioni da costrizione con corde o cinghie.
Si possono descrivere lesioni muscolo-scheletriche specifiche?
Non si può dire che esistono lesioni scheletriche assolutamente patognomoniche, anche se alcuni quadri clinici possono essere ritenuti fortemente sospetti: per esempio la presenza di fratture multiple e magari bilaterali policrone, in particolare di fratture localizzate a livello delle coste o a livello delle metafisi delle ossa lunghe, suggerisce la possibilità di un’origine traumatica non accidentale.
Tuttavia tale evenienza deve essere considerata anche per fratture meno specifiche se inquadrate nel contesto particolare: le fratture diafisarie delle ossa lunghe oppure le fratture del cranio in un bambino che non ha ancora raggiunto l’autonomia motoria sono difficilmente spiegabili con un meccanismo accidentale e, anche qualora risultino conseguenti a una caduta, come minimo va indagata la responsabilità per negligenza di chi lo accudisce.
Nel bambino più grande, che è in grado di mettere in atto comportamenti difensivi, per esempio proteggendosi il viso e la testa dalle percosse con gli avambracci, una lesione tipica è la frattura dell’ulna a circa metà della diafisi.
Ovviamente, oltre alle red flags di pertinenza ortopedica, durante la valutazione clinica del bambino vanno ricercati eventuali altri segni di violenza tra quelli citati, con particolare attenzione, nei più piccoli, ai segni neurologici tipici della “shaken baby syndrome”: ematoma subdurale, edema cerebrale, emorragie retiniche.
In quali circostanze si può e si deve sospettare che il bambino sia vittima di maltrattamento?
In realtà il sospetto di maltrattamento è sempre il risultato della valutazione contestuale dell’insieme dei rilievi clinici e radiologici, dei dati anamnestici recenti e remoti e delle informazioni fornite dai familiari sulla dinamica dell’evento traumatico.
L’elemento che maggiormente orienta verso l’ipotesi di un trauma non accidentale è l’incongruenza tra l’obiettività clinica e il resoconto dei familiari sull’incidente occorso al bambino: il meccanismo traumatico riferito non corrisponde a quello verosimilmente richiesto per il determinarsi delle lesioni osservate, oppure non è plausibile rispetto al livello di sviluppo del bambino. Per esempio i genitori possono addurre una caduta fortuita del piccolo per giustificare una serie di fratture costali bilaterali che invece probabilmente sono state provocate da una forte compressione del torace, una frattura metafisaria che invece più facilmente è la conseguenza di un brutale scuotimento del bambino tenuto agli arti, una frattura che per le caratteristiche della rima è riconducibile piuttosto a un trauma da torsione o infine una frattura diafisaria dell’omero o del femore in un lattante che non ha neppure la capacità di cambiare posizione da solo.
Indicativa è anche la discordanza tra versioni dell’evento traumatico raccontate da diversi familiari, oppure dallo stesso familiare in momenti successivi.

Due lesioni extra-scheletriche frequenti: ecchimosi da percosse e ustione da immersione in acqua bollente Courtesy of Prof. Antonio Andreacchio
Qual è il ruolo dell’ortopedico pediatrico nell’iter diagnostico e di intervento in questi casi?
In questi casi il medico che per primo osserva il bambino deve essere preparato a inquadrare le lesioni muscolo-scheletriche nel contesto clinico generale e in quello anamnestico, a verificare attentamente la consistenza e la coerenza delle testimonianze dei familiari e a orientare gli approfondimenti diagnostici (imaging, valutazione internistica, visita neurologica, esame oculistico ecc.) di conseguenza, perché se l’obiettivo primario è quello di trattare la situazione patologica presente, il fine ultimo, altrettanto importante, è quello di tutelare il bambino da successivi abusi.
Tengo a sottolineare l’importanza dell’intervento preventivo immediato in quanto è dimostrato dai dati epidemiologici di scala internazionale che dopo un primo accesso in ospedale per un trauma non accidentale, in assenza di provvedimenti a protezione del bambino l’evenienza più frequente è che ne seguano altri con lesioni che via via sono più gravi delle precedenti fino, nei casi estremi, a danni organici irreversibili, invalidanti e talvolta fatali.
Quindi, anche se non è compito del medico indagare e verificare le condotte parentali, egli ha invece la responsabilità di comunicare il sospetto di maltrattamento per attivare la procedura ospedaliera di segnalazione agli organi giuridici competenti, sapendo che una notifica successivamente non confermata non è perseguibile, mentre una mancata denuncia è un’omissione che può avere conseguenze legali.
Il medico infine può attuare un primo livello di protezione temporanea del bambino disponendone il trattamento in regime di ricovero, anche quando non sia strettamente richiesto dalle condizioni cliniche.
TRAUMI NON ACCIDENTALI NEI MINORI: IL RUOLO DEL RADIOLOGO
Dottoressa Cotti, capita spesso che la diagnosi radiologica per lesioni muscolo-scheletriche in età pediatrica comporti di valutarne la possibile origine non accidentale?
Sicuramente oggi rispetto al passato il quesito riguardo all’origine presumibile, accidentale o non, dei traumi infantili viene posto più di frequente e si sta registrando un incremento delle diagnosi di abuso perché tra i professionisti dell’area pediatrica sono aumentate la sensibilità nei confronti del fenomeno e la capacità di riconoscerlo.
Inoltre può anche capitare che il bambino arrivi in pronto soccorso per motivi diversi dal traumatismo acuto, per esempio per problemi di accrescimento, grave irrequietezza, pianto inconsolabile, e che lesioni scheletriche recenti o pregresse e lesioni traumatiche di altra natura siano un riscontro casuale nel corso degli approfondimenti diagnostici.
Talvolta il radiologo pediatrico è il medico che per primo solleva il sospetto di maltrattamento.
Esistono nel suo settore linee guida internazionali o nazionali dedicate, che indirizzano l’approfondimento diagnostico in caso di sospetto maltrattamento?
Nel 2018 le società scientifiche britanniche The Royal College of Radiologists e The Society and College of Radiographers hanno pubblicato una linea guida aggiornata sull’imaging nei bambini con sospette lesioni non accidentali, contenenti raccomandazioni molto specifiche riguardo al protocollo da seguire nell’iter diagnostico e al timing dei diversi esami.
La pubblicazione, intitolata “The radiological investigation of suspected physical abuse in children”, è disponibile sul sito del Royal College of Radiologists (www.rcr.ac.uk).
Quali indagini radiologiche e quali tecniche di esecuzione specifiche sono indicate in questi casi, a seconda della sede delle lesioni e dell’età del bambino?
La tecnica di imaging di primo livello è sicuramente l’esame radiografico convenzionale: la valutazione di tutto lo scheletro è d’obbligo prima dei 2 anni di vita, mentre è riservata a casi particolari tra i 2 e i 5 anni e raramente indicata dopo i 5 anni.
Ovviamente il radiologo deve sempre perseguire i principi di appropriatezza e ottimizzazione della tecnica diagnostica applicata, considerando di volta in volta il rapporto rischio/beneficio della singola indagine, con l’obiettivo di limitarne il danno biologico.
Motivo per cui nei casi in cui è indicata l’esplorazione dell’intero scheletro non si ricorre mai a un unico radiogramma total body, il cosiddetto “Rx babygramma”, in quanto comporta un’irradiazione indebita del piccolo paziente, ma si eseguono radiogrammi separati per i vari distretti, eventualmente a più ampia panoramicità, se necessario seguiti da proiezioni più specifiche sulle aree di interesse.
Tecniche addizionali di secondo livello possono essere ecografia, RM e TC, indispensabili quando si sospetta la compresenza di lesioni viscerali o del sistema nervoso centrale.
Quali reperti radiologici possono essere considerati suggestivi dell’origine non accidentale di lesioni muscolo-scheletriche nel bambino?
Altamente specifiche sono le immagini di frammentazione metafisaria, soprattutto di quelle fratture descritte come “corner lesion” e “bucket handle fracture”, in quanto sono espressione di traumi da scuotimento e compressione, eventualmente aggravati dall’istintiva reazione difensiva del bambino, e sono favorite dalle prerogative strutturali dell’osso infantile e in particolare del periostio.
È però opportuno ricordare che queste lesioni determinano scarsi rilievi clinici per cui, se non sono accompagnate da altri traumi, non rappresentano quasi mai la causa prima di ospedalizzazione.
Inoltre, quando viene coinvolta esclusivamente la cartilagine di accrescimento può essere particolarmente difficoltoso evidenziarle nelle fasi più precoci con le semplici tecniche radiografiche, nel qual caso è giustificato ricorrere all’apporto spesso dirimente della ecotomografia.
Le fratture metafisarie sono tuttavia significative dal punto di vista diagnostico in quanto possono essere datate con una certa precisione, dal momento che vanno incontro a processi riparativi tipici: per esempio la reazione condrocitica a livello della giunzione osteocondrale sottoposta a frammentazione o la marcata iperostosi corticale esterna che si verifica in seguito al progredire dello scollamento periostale verso la diafisi.
Anche in presenza di fratture per il resto aspecifiche, come quelle diafisarie, alcuni aspetti riparativi come calli ossei irregolari ed esuberanti o angolazioni e scomposizioni eccessive sono segnali di allarme in quanto espressione di mancato o ritardato trattamento e pertanto di una condotta omissiva da parte dei familiari.
Non meno rilevante è la sede del trauma: per esempio, tra le fratture costali deve essere considerata sospetta la localizzazione posteriore, che difficilmente può essere causata dalle manovre rianimatorie spesso addotte dai familiari come giustificazione.
Quali difficoltà pongono l’esecuzione e l’interpretazione degli esami radiologici per la diagnosi di trauma non accidentale, anche in relazione all’età del bambino?
Le difficoltà sono sicuramente collegate all’età del bambino e alla necessità di ottenere immagini diagnostiche di elevata qualità.
L’apparato scheletrico del bambino più piccolo è in gran parte costituito da cartilagine ed è su questo che si basano le peculiarità delle lesioni: si pensi alla già citata frammentazione marginale della fisi o alla reazione periostale.
Il compito del radiologo non si limita quindi al mero rilevamento delle lesioni: è essenziale che ne consideri attentamente nelle immagini i caratteri morfologici, valutandone la specificità rispetto al supposto meccanismo traumatico. Anche il personale tecnico che si interfaccia con questi casi deve essere opportunamente addestrato a eseguire correttamente gli esami richiesti.
Fondamentale, laddove possibile, è poi la datazione delle lesioni, perché, come già accennato, la presenza di lesioni multiple non sincrone deve destare il sospetto di ripetuti traumi non accidentali e di incuria.
DENUNCIA OBBLIGATORIA, LE FONTI NORMATIVE
Articolo 331 del Codice di procedura penale
«[…] i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria».
Articolo 29 del Codice di deontologia medica
«Il medico deve contribuire a proteggere il minore, l’anziano e il disabile, in particolare quando ritenga che l’ambiente, familiare o extrafamiliare, nel quale vivono, non sia sufficientemente sollecito alla cura della loro salute, ovvero sia sede di maltrattamenti, violenze o abusi sessuali, fatti salvi gli obblighi di referto o di denuncia all’autorità giudiziaria nei casi specificatamente previsti dalla legge. Il medico deve adoperarsi, in qualsiasi circostanza, perché il minore possa fruire di quanto necessario a un armonico sviluppo psico-fisico e affinché allo stesso, all’anziano e al disabile siano garantite qualità e dignità di vita, ponendo particolare attenzione alla tutela dei diritti degli assistiti non autosufficienti sul piano psichico e sociale, qualora vi sia incapacità manifesta di intendere e di volere, ancorché non legalmente dichiarata. Il medico, in caso di opposizione dei legali rappresentanti alla necessaria cura dei minori e degli incapaci, deve ricorrere alla competente autorità giudiziaria».
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia