
Gianfelice Trinchese
Quando possibile è preferibile salvare il menisco e optare per una sutura, che dà migliori risultati dal punto di vista dell’evoluzione artrosica: dopo meniscectomia parziale, infatti, già nel primo anno si manifestano modificazioni artrosiche
A eccezione del contorno periferico, nelle persone adulte i menischi sono costituiti da tessuto non vascolarizzato che ne rende virtualmente impossibile la rigenerazione dopo una lesione (ma ci sono alcuni studiosi che non si arrendono a questa difficoltà); nei bambini, al contrario, il sangue raggiunge il menisco e in certi casi ne permette la guarigione.
In generale, esistono trattamenti conservativi e chirurgici: abbiamo approfondito questi ultimi con Gianfelice Trinchese che, con Arcangelo Russo, presiede l’Arthromeeting della Società italiana di artroscopia (Sia), in programma a Napoli venerdì 24 e sabato 25 giugno, in cui si parla proprio degli esiti delle meniscectomie oltre che del ginocchio degenerativo.
La tendenza attuale comunque è quella di salvare il menisco quando è possibile. «La letteratura ci mostra chiaramente che quando si comparano i risultati a dieci anni delle meniscectomie selettive rispetto alle suture meniscali, queste ultime danno risultati migliori sia dal punto di vista clinico che rispetto all’evoluzione artrosica» ci ha detto Trinchese.
Dottor Trinchese, quali sono le indicazioni per la rimozione del menisco?
Diciamo subito che la meniscectomia totale con l’avvento della tecnica artroscopica non viene quasi più eseguita. La rimozione del menisco generalmente avviene in maniera selettiva asportando solo la parte interessata dalla lesione.
È indicata nel caso di rotture meniscali clinicamente significative, cioè associate a blocchi articolari, versamenti recidivanti e dolore localizzato in corrispondenza della rima articolare. Non tutte le rotture meniscali sono destinate alla rimozione chirurgica. Ad esempio lesioni molto piccole, stabili e asintomatiche, non vanno trattate. Altre lesioni, quelle che si verificano nella parte più periferica del menisco, dove vi è apporto vascolare, possono essere suturate, salvando il menisco, con alte percentuali di successo soprattutto nei giovani.
Quali sono i risultati secondo la letteratura e secondo la sua pratica clinica?
I risultati di una meniscectomia selettiva sono riportati eccellenti o buoni in più dell’80% dei casi. Questo è quanto ho notato anche nella mia pratica. Inoltre, va sottolineato che i risultati migliori si ottengono nei pazienti senza significativi danni cartilaginei.
Quanto è importante la riabilitazione e comunque la fase successiva all’intervento?
Sicuramente nella fase post-operatoria la riabilitazione occupa un ruolo molto importante. Deve essere considerata parte integrante del trattamento, in quanto la sua più o meno corretta esecuzione può condizionare il risultato finale.
Un cenno va fatto anche all’utilità della riabilitazione pre-operatoria, troppo spesso trascurata. È dimostrato che il decorso post-operatorio è più favorevole quando il ginocchio si presenta all’intervento in buone condizioni, sia per quanto riguarda l’escursione articolare che per il tono muscolare.
Quali sono le controindicazioni alla meniscectomia?
Non esistono controindicazioni a una meniscectomia se non l’età del paziente e le sue condizioni generali. Diciamo che ci sono dei casi in cui non è opportuno eseguire un intervento di meniscectomia. Ad esempio in quei pazienti anziani con degenerazione artrosica, laddove il problema non è legato alla lesione meniscale ma alle condizioni delle superfici articolari. In questi casi la rimozione del menisco potrebbe addirittura peggiorare la sintomatologia.
Quali sono le possibili complicanze?
Fortunatamente le complicanze di una meniscectomia artroscopica sono molto rare. In totale esse rappresentano lo 0,27% dei casi. Sono descritte rotture di strumenti all’interno dell’articolazione, infezioni superficiali e profonde, lesioni iatrogene a menischi, cartilagine e legamenti, lesioni vascolari o neurologiche ed episodi tromboembolici.
Esistono complicanze dovute a errori di indicazioni?
Esistono certamente. Uno degli errori di indicazione più frequenti è sicuramente quello in cui il chirurgo si lascia condizionare dal risultato di un esame radiologico che mostra una lesione meniscale e frettolosamente pone indicazione di meniscectomia senza valutare a fondo le condizioni cliniche del ginocchio.
Un altro problema è legato all’età del paziente. È del tutto inutile, se non dannoso, praticare una meniscectomia artroscopica a un settantenne con ginocchio artrosico. Al di sopra dei quarant’anni è indispensabile valutare quanto della sintomatologia sia dovuta alla lesione meniscale e quanto alla eventuale patologia degenerativa concomitante. È dimostrato, infatti, che i risultati di una meniscectomia sono fortemente influenzati dal tipo e dall’entità delle lesioni cartilaginee presenti. Quindi per evitare che la sintomatologia non si risolva o addirittura si aggravi dopo un intervento di meniscectomia, l’indicazione chirurgica deve essere posta solo dopo un’accurata valutazione clinica. È l’esame clinico del paziente che deve guidare la decisione terapeutica.
Quali complicanze possono invece derivare da errori nell’esecuzione dell’intervento? Come si possono ridurre al minimo?
Sono diverse. Un’errata esecuzione della via di accesso può dare difficoltà a raggiungere con gli strumenti la zona da trattare, con rischio di creare seri danni alla cartilagine circostante o addirittura rompere lo strumento. Quindi è sempre necessario utilizzare un ago da spinale nel ricercare il punto di accesso in articolazione, se esso non raggiunge facilmente il menisco è altamente improbabile che lo possa fare lo strumento chirurgico. Una volta in articolazione bisogna sempre effettuare un esame completo e sistematico di entrambi i menischi, valutandone la superficie superiore ed inferiore con l’utilizzo del palpatore. Questo è il modo migliore per evitare di misconoscere una rottura meniscale, cosa che renderebbe vano l’intervento chirurgico. Da evitare anche un’asportazione insufficiente di tessuto, nel tentativo di risparmiare quanto più menisco possibile, poiché ciò potrebbe condurre a una recidiva della lesione. Molta attenzione va posta nell’utilizzo di strumenti motorizzati e a radiofrequenze, al fine di non danneggiare cartilagine, legamenti e strutture vascolari.
Da ciò si deduce che la chirurgia meniscale artroscopica deve essere eseguita correttamente per avere successo e per ridurre al minimo le complicanze, le quali possono essere anche gravi qualora ci si avvicini a questa tecnica con superficialità e senza un’adeguata preparazione.
In quali casi è più probabile che la meniscectomia porti a un’artrosi?
Senza dubbio una meniscectomia totale conduce più rapidamente e precocemente l’articolazione a una degenerazione artrosica, come già dimostrato da Gillquist nel 1982. Vi è da dire, però, che i risultati di una meniscectomia selettiva non sono così rasserenanti. Modificazioni artrosiche si manifestano già nel primo anno dopo una meniscectomia parziale. A distanza di venti-trent’anni dalla chirurgia tre pazienti su quattro hanno un’artrosi femoro tibiale radiograficamente evidente. E infine, il rischio di sviluppare una gonartrosi a dieci anni da una meniscectomia è circa del 20% in caso di coinvolgimento del menisco mediale e del 40% in caso che la lesione interessi il menisco laterale.
Quali sono i punti fermi di questa chirurgia, ovvero le certezze su cosa fare e cosa non fare? E quali invece i punti ancora controversi o molto paziente-specifici?
Diciamo che la tendenza attuale è quella di salvare il menisco quando è possibile. La letteratura ci mostra chiaramente che quando si comparano i risultati a dieci anni delle meniscectomie selettive rispetto alle suture meniscali, queste ultime danno risultati migliori sia dal punto di vista clinico che rispetto all’evoluzione artrosica. Quindi le riparazioni meniscali devono essere praticate in tutti quei casi in cui la lesione interessa zone con conservato apporto ematico, tipicamente nella zona più periferica detta “rossa” o quella un pò più centrale detta “rosso-bianca”. Quando, invece, la lesione si presenta in zona non vascolarizzata, detta “bianca”, vi è indicazione a una meniscectomia selettiva artroscopica, correttamente effettuata.
Considerando gli esiti negativi che nel tempo affliggono il ginocchio in seguito alla meniscectomia, sono state sviluppate negli anni tecniche dedicate alla sostituzione del menisco: il trapianto meniscale e l’impianto di scaffold. Il trapianto meniscale con allograft attualmente è una valida opzione terapeutica in pazienti giovani attivi con una storia di meniscectomia totale in un ginocchio doloroso, senza segni di atrosi avanzata. L’impianto di scaffold biologici o sintetici permette di ottenere buoni risultati in pazienti con esiti di meniscectomie parziali in lesioni acute o croniche.
Ancora controverso in letteratura l’utilizzo di cellule da addizionare agli scaffold al fine di ottenere la rigenerazione dell’intero menisco con tutte le sue complesse caratteristiche biomeccaniche. In futuro è ipotizzabile il trasferimento nella pratica clinica dell’uso di tessuti bioingegnerizzati. In questo senso il cammino è lungo e molti studi necessitano ancora per chiarire i punti oscuri.
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia