I risultati di due studi presentati al congresso europeo annuale di reumatologia (Eular 2018), che si è svolto lo scorso giugno ad Amsterdam, fanno luce sugli interventi di sostituzione articolare nei pazienti affetti artrite reumatoide. Il primo mostra che le procedure di sostituzione articolare in questi pazienti si sono significativamente ridotte negli ultimi dieci anni, mentre il secondo ha analizzato il ruolo che le terapie biologiche hanno avuto su questo cambiamento, fornendo qualche sorpresa.
Lo studio epidemiologico (1) ha esaminato i dati di circa un milione di persone tra il 1997 e il 2010 utilizzando dati sanitari amministrativi. I risultati mostrano un calo del 51,9% degli interventi di chirurgia sostitutiva in pazienti con artrite reumatoide tra il 1997 e il 2010. Gli autori hanno attribuito questo dimezzamento ai miglioramenti che si sono avuti nel trattamento dell’artrite reumatoide negli ultimi decenni.
Ma è il secondo studio (2) a chiarire le ragioni delle cifre fornite dal primo, o meglio a instillare dubbi riguardo alle spiegazioni generalmente fornite fino ad oggi. La gestione dell’artrite reumatoide è progredita in modo significativo, sia perché ora si è in grado di alleviare i sintomi in misura superiore rispetto al passato, sia perché si riesce a influire positivamente sull’attività della malattia. Questa evoluzione è stata determinata da diversi fattori, tuttavia è ampiamente riconosciuto il ruolo decisivo dell’introduzione della terapia biologica, con gli inibitori del fattore di necrosi tumorale (TNFi) che, a partire dalla fine degli anni Novanta, ha rivoluzionato il trattamento. Già si erano avute ricerche, condotte in Gran Bretagna e in Danimarca, che avevano mostrato una riduzione dell’incidenza delle protesi articolari nei pazienti con artrite reumatoide direttamente dopo l’avvento dei TNFi. Tuttavia, i risultati presentati al congresso di Amsterdam suggeriscono che, sebbene l’uso di gli inibitori del fattore di necrosi tumorale possa ridurre la necessità di sostituzione totale dell’anca nei pazienti anziani e più gravi con artrite reumatoide, non esiste alcuna associazione di questo tipo nei pazienti più giovani o meno gravi. «In diverse occasioni, l’uso di terapie biologiche è stato proposto come fattore esplicativo per la riduzione dei tassi di sostituzione negli ultimi anni, ma il nostro studio – ha affermato il primo autore, Samuel Hawley dell’Università di Oxford – suggerisce che siano coinvolti ulteriori fattori. Ad esempio, appare importante una diagnosi precoce e un trattamento tempestivo e i tassi di prescrizione dei farmaci cosiddetti “modificanti il decorso della malattia” (disease-modifying antirheumatic drugs, DMARDs). È però importante sottolineare che il nostro è stato uno studio osservazionale e che nonostante i nostri migliori sforzi per affrontare i fattori confondenti, questi possono ancora in parte spiegare le nostre scoperte».
Giampiero Pilat
Giornalista Tabloid di Ortopedia
Bibliografia
1. Hanly JG, Lethbridge L, Skedgel C. Change in frequency of arthroplasty surgery in rheumatoid arthritis: A 13 year population health study. EULAR 2018; Amsterdam: Abstract SAT0077.
2. Hawley S, Cordtz R, Dreyer L, et al. Impact of TNF inhibitors on need for joint replacement in patients with rheumatoid arthritis: a matched cohort analysis of UK biologics registry data. EULAR 2018; Amsterdam: Abstract OP0116.