
Giovanni Di Giacomo
Chirurghi, matematici, ingegneri, informatici e biomeccanici studiano insiemei movimenti dinamici in vivo della spalla attraverso nuovi modelli bioingegneristici. Lo studio in dinamica di articolazioni e protesi rivoluzionerà la chirurgia?
In attesa del congresso Siagascot, di cui è presidente, Giovanni Di Giacomo è volato in Australia. Con alcuni dei principiali esperti a livello mondiale ha discusso di chirurgia di spalla; non dell’attuale stato dell’arte di questa specialità, ma di cosa potrà diventare nel prossimo futuro, grazie a un approccio del tutto innovativo, che sarà reso possibile dalla convergenza di diverse discipline scientifiche – matematica, ingegneria, informatica, anatomia e biomeccanica – per la messa a punto di modelli bioingegneristici.
Dottor Di Giacomo, qual è l’obiettivo dei modelli bioingegneristici per le articolazioni?
I modelli bioingegneristici si propongono di studiare il movimento in dinamica su sei piani, tre di traslazione e tre di rotazione, di un osso rispetto all’altro, dal vivo e mentre l’articolazione si muove. Chiaramente non è possibile ottenere un risultato di questo tipo con la tomografia o con la risonanza magnetica, perché non si può certo camminare o lanciare una palla all’interno di questi macchinari di generazione di immagini.
Si vuole invece capire esattamente, nel ginocchio, in che modo si muove la tibia rispetto al femore durante il passo, come ruota e come trasla sui tre piani; in modo del tutto analogo, nella spalla, si vuole capire come l’omero si muove rispetto alla scapola sui tre piani di traslazione e di rotazione durante il lancio di un oggetto.
Se la Tac e la risonanza non servono, allora cosa si può utilizzare?
L’unica possibilità è data dalla dual fluoroscopy dinamica: si tratta di due tubi catodici, strutture che si usano normalmente per l’esame radiografico, che vengono posizionati con un’inclinazione di 60 gradi, producendo in tal modo due radiografie incrociate; poi viene fatta una Tac tridimensionale e il tutto viene caricato a computer. Le immagini vengono analizzate da un software dedicato che combina la posizione ricavata della Tac con quella delle due immagini che sono state ottenute con l’esame radiografico. In questo modo si riescono a riprodurre a computer tutti i movimenti della tibia rispetto al femore o dell’omero rispetto alla scapola. Almeno si possono osservare, anche se comprenderli in modo preciso non è semplicissimo.
Questa tecnica è già stata applicata all’articolazione del ginocchio, ma non ancora alla spalla.
Da qui il suo viaggio in Australia…
Sì, abbiamo formato un gruppo di ricerca, con esperti statunitensi guidati da uno tra i più importanti chirurghi di protesi inverse di spalla al mondo, Mark Frankle del Florida Orthopaedic Institute; australiani con Markus Pandi, biomeccanico dell’Università di Melbourne; e italiani, del Concordia Hospital di Roma, coordinati dal sottoscritto. È la prima volta nella storia dell’ortopedia che si studiano i movimenti dinamici in vivo della spalla.
Quale sarà il significato clinico di questo studio?
Lo studio ci permetterà di capire in che misura un intervento chirurgico può riprodurre la funzione di una spalla sana. Sappiamo che, dopo un intervento per trattare una lesione di Bankart, di remplissage o di stabilizzazione della spalla secondo Latarjet, più del 90% dei pazienti sta bene, ma in che modo l’intervento condizioni biomeccanicamente il movimento non ci è ancora noto.
Noi degli interventi vediamo solo il risvolto clinico, ma abbiamo molta difficoltà a comprendere se la biomeccanica è tornata alla normalità, eppure sarebbe di grande importanza, perché se persistono delle imperfezioni biomeccaniche ci possiamo aspettare delle brutte sorprese nei risultati a medio e lungo termine, ossia cinque o dieci anni dopo la chirurgia.
Questo tipo di conoscenza ci fornirà dei criteri per scegliere, tra le diverse protesi possibili, quelle che maggiormente rispettano la normalità fisiologica dell’essere umano; allo stesso modo, quando ci sono più interventi in grado di trattare un problema di spalla, si potrà decidere di ricorrere a quello che permetterà al paziente di eseguire movimenti nella maniera biomeccanicamente più corretta.
In concreto, come verrà eseguito lo studio?
Abbiamo previsto due tipi di studi.
Il primo prenderà in esame l’intervento di Latarjet su pazienti operati per instabilità recidivante antero-inferiore; vogliamo vedere, a un anno di distanza, come l’omero si muove rispetto alla scapola durante un movimento di lancio. Avremo un gruppo di controllo di 15 pazienti con spalla normale, a cui faremo lanciare una palla, e altrettanti operati di Latarjet che eseguiranno lo stesso gesto dinamico; poi, grazie all’applicazione dei modelli bioingegneristici, analizzeremo le differenze nei movimenti.
Il secondo progetto riguarda invece le protesi, in particolare quelle inverse, che possono attivare diversi pattern; i più frequenti sono due: quello medio-laterale (glenosfera mediale e omero onlay lateralizzato) e quello latero-mediale (glena laterale e componente protesica omerale mediale). Questi due pattern delle protesi inverse condizionano la lunghezza dei muscoli, in particolare del deltoide e della cuffia che ancora rimane, normalmente la parte più posteriore del sovraspinoso, l’infraspinato e il piccolo rotondo: nei due pattern i muscoli hanno una lunghezza diversa. Anche qui, con la dual fluoroscopy, vogliamo vedere com’è la biomeccanica e come cambiano le distanze muscolari. È estremamente importante, perché in questo modo riusciremo un giorno a capire quali sono i pattern protesici che ci danno il miglior risultato in termini di forza muscolare.
Questi modelli sono già stati applicati a studi sul ginocchio: che ricadute cliniche ci sono state?
Hanno permesso di perfezionare gli elementi protesici del ginocchio. Per esempio, si sono studiate molto bene le rotazioni della tibia rispetto al femore, usando delle componenti protesiche sempre più vicine all’anatomia normale, ricostruendo lo stesso movimento su tutti i piani di traslazione e di rotazione di un ginocchio sano. Per sapere se una protesi consente di ottenere questo risultato, bisogna studiarla in modo dinamico. Si sta così capendo sempre meglio quali sono le protesi migliori da questo punto di vista.
I modelli bioingegneristici non sono le uniche tecnologie innovative applicate alla chirurgia di spalla. Quali altre vengono in aiuto del chirurgo?
Tutta la chirurgia ortopedica è sempre più tecnologica e si stanno aprendo spiragli interessanti relativamente alla realtà virtuale e alla robotica; tuttavia, rispetto per esempio all’articolazione del ginocchio, la spalla presenta caratteristiche che ne rendono più ardua l’applicazione.
Infatti, i software attualmente disponibili riescono molto bene a fare valutazioni del tessuto osseo, mentre hanno grosse difficolta a quantizzare i tessuti molli che prevalgono nell’articolazione della spalla: si dice spesso che la protesica di spalla non è tanto un intervento sull’osso ma sui tessuti molli. È molto difficile con un computer riuscire a quantificare il grado di lassità, di instabilità o di stiffness e quindi, nella chirurgia di spalla, l’esperienza e la sensibilità del chirurgo giocano un ruolo predominante, a differenza di quanto accade nella chirurgia di ginocchio.
Per il posizionamento della protesi, indubbiamente anche nella chirurgia di spalla la robotica può aiutare; però dobbiamo ricordare che, tutto sommato, l’80% delle problematiche che richiedono l’impianto di una protesi di spalla non riguardano principalmente l’osso; la robotica è utile, come la pianificazione computerizzata, per quelle spalle disastrate che rappresentano la minoranza dei casi. Io ritengo che, in prima istanza, dobbiamo puntare a risolvere le problematiche che intervengono nella maggior parte degli interventi: meglio indirizzare gli investimenti principalmente in quegli ambiti che impattano sul maggior numero di pazienti.
Anche le guide per il taglio sono certamente un ottimo ausilio, ma non è che sia tanto difficile effettuare un taglio corretto sulla spalla; il problema grosso che deve affrontare il chirurgo è, ripeto, la corretta valutazione dei tessuti molli.
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia