
Francesco Biggi
Sabato 9 marzo presso il Policlinico di Monza è in programma il convegno “La protesi monocompartimentale di ginocchio: tra vecchi dubbi e nuove certezze”. «La protesi monocompartimentale è un argomento molto attuale e ancora sospeso tra vecchi dubbi e nuove certezze – spiega Francesco Biggi, direttore scientifico del Dipartimento di ortopedia e traumatologia del Policlinico di Monza e ideatore del convegno –. Porteranno la loro esperienza alcuni tra i più importanti chirurghi ortopedici del ginocchio italiani, stimolati a dare un taglio quanto più possibile pratico alle relazioni, con l’obiettivo di fornire quei messaggi da portare a casa indispensabili nella pratica clinica e chirurgica quotidiana».
La moderna chirurgia protesica articolare è sempre più orientata verso la minore invasività (MIS/Minimally Invasive Surgery), intesa come rimozione del solo tessuto patologico, massima conservazione dell’osso sano, totale rispetto delle parti molli circostanti, utilizzo di componenti protesiche e strumentari dedicati.
La gonartrosi è l’espressione clinica e radiografica della degenerazione cartilaginea a carico dei tre compartimenti anatomici del ginocchio: femoro/tibiale interna, femoro/tibiale esterna e femoro/rotulea. Quando, invece, sono coinvolti singoli compartimenti parliamo di artrosi compartimentale interna (tipica del ginocchio varo), artrosi compartimentale esterna (tipica del ginocchio valgo), artrosi femoro/rotulea: attorno a queste patologie, e per soddisfare le richieste di una popolazione di pazienti sempre più giovani, si è sviluppata la ricerca in ambito clinico e tecnologico arrivando alla produzione di protesi monocompartimentali o parziali, che consentono di trattare la patologia principale salvaguardando le parti sane.
«Fin dai primi impianti negli anni ‘60/’70, eseguiti prevalentemente in Europa, erano emerse le due principali criticità: indicazioni (clinica più diagnostica strumentale radiologica) e modelli protesici (design, materiali, strumentari) disponibli. Conseguentemente – spiega Biggi – i fallimenti a 5 anni oscillavano tra il 30 e il 40% e solo a inizio anni ’90 le società scientifiche hanno stabilito criteri riproducibili per una corretta indicazione chirurgica e le controindicazioni».
Indicazioni
– sesso indifferente
– età compresa tra 50 e 85 anni
– peso inferiore a 120 kg
– BMI tra 32 e 45 alto rischio di fallimento
– artrosi degenerativa di un solo compartimento
– articolarità conservata (ROM 10°-110°)
– stabilità legamentosa
– deformità in varo correggibile non superiore a 10°
– deformità in valgo correggibile non superiore a 10°
– paziente motivato e informato
Controindicazioni
– degenerazione artrosica di altri compartimenti
– rigidità con escursione articolare compromessa
– gravi deformazioni in varo/valgo non riducibili
– artropatie infiammatorie
– instabilità post-traumatiche e neurologiche
La tecnica chirurgica
Il direttore scientifico del Dipartimento di ortopedia e traumatologia del Policlinico di Monza ricorda che la tecnica chirurgica, ormai universalmente accettata, prevede il massimo rispetto dell’interlinea articolare attraverso una resezione minima della tibia, essendo quella femorale limitata pressochè esclusivamente all’asportazione della cartilagine degenerata; bisogna evitare correzioni dell’asse meccanico (il ginocchio varo o valgo deve rimanere tale); è importante bilanciare (ritensionare) correttamente gli spazi articolari in flesso/estensione; risparmiare l’eminenza intercondiloidea al momento della resezione tibiale ad evitare lesioni al LCA; mininvasività nei riguardi delle componenti capsulo-legamentose e muscolo-tendinee.
Tutto questo può consentire una riabilitazione rapida, con possibilità di mobilizzare l’articolazione appena cessato l’effetto dell’anestesia periferica, e di iniziare stazione eretta e deambulazione il giorno successivo.
«L’industria, che da decenni affianca il chirurgo ortopedico, ha contribuito in maniera importante al miglioramento dei risultati con materiali (in particolare il polietilene), sempre più resistenti all’usura; design delle componenti sempre più anatomico; strumentari affidabili che guidano e facilitano l’impianto. I dati della letteratura internazionale, attualmente, riportano percentuali di sopravvivenza a 10 anni oscillanti tra il 90 e il 98%» riporta Francesco Biggi.
Guardando in casa nostra, attraverso il più importante e longevo Registro Impianti Protesi Ortopedici (Ripo Emilia-Romagna), si conferma un costante incremento del numero di impianti monocompartimentali (PTG 89% – PMG 11%, incremento circa 12%), ma con una percentuale di fallimento superiore (PTG 2,2% – PMG 5,8%).
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