Considerando il rischio di revisione, la monocompartimentale ha ormai eguagliatola protesi totale. È necessario però seguire indicazioni selettive e orientare sempre la chirurgia al ripristino dell’anatomia, evitando l’ipercorrezione delle deformità
“La gonartrosi: dalla cellula al metallo” è il tema del Current Concept Sigascot in programma a Parma giovedì 28 e venerdì 29 novembre, dove chirurghi ortopedici nazionali e internazionali faranno il punto sulle possibilità di trattamento dell’artrosi evoluta del ginocchio, dalla terapia ortobiologica alla chirurgia protesica.
A presiedere l’evento è Paolo Adravanti, responsabile del reparto di ortopedia della Casa di cura Città di Parma, con il quale abbiamo approfondito uno tra i molti argomenti del congresso: la protesi monocomportamentale di ginocchio.
«Il congresso è dedicato soprattutto alle nuove generazioni che si approcciano alla chirurgia del ginocchio e al trattamento di questo tipo di patologia – ci ha detto Adravanti –. Molto spazio sarà dato all’interattività tra il folto panel di esperti nazionali e internazionali e gli auditori, che si sentiranno i veri protagonisti dell’incontro. Oltre alle keynote lecture, condotte dai massimi esponenti della chirurgia del ginocchio ad altissimo contenuto scientifico, la presentazione di numerosi casi clinici renderà inevitabile un vivace dibattito. Numerose saranno anche le tavole rotonde, che solleveranno problematiche e temi tra i più attuali e controversi».
Dottor Adravanti, i primi risultati della monocompartimentale di ginocchio erano caratterizzati da un elevato tasso di fallimenti, con frequenti revisioni in protesi totali, ma oggi c’è un rinnovato interesse per questa tecnica. Da cosa è determinato?
Sì, in effetti i primi risultati della protesi monocompartimentale non erano assolutamente brillanti ed erano caratterizzati da un elevato tasso di revisione. Questo era dovuto soprattutto a errori di tecnica chirurgica o comunque alla mancanza di esperienza da parte del chirurgo nell’effettuare l’intervento stesso. Questo avveniva all’inizio degli anni Novanta e attualmente la situazione è decisamente cambiata, con riduzione notevole del tasso di revisione.
Un altro importante fattore da considerare è che la protesi monocompartimentale può essere revisionata con molta più semplicità rispetto a una protesi totale, per cui il chirurgo era propenso a una revisione senza una reale motivazione, ma solo per la persistenza del dolore post-operatorio.
Come si sono modificati nel tempo i disegni degli impianti e le tecniche chirurgiche?
Tutto sommato i disegni degli impianti protesici non sono sostanzialmente cambiati. Sono migliorati alcuni dettagli, come la presenza di alcuni piccoli fittoncini, sia della componente femorale che tibiale, che hanno stabilizzato la protesi al tessuto osseo.
Invece, le tecniche chirurgiche sono notevolmente cambiate nel tempo, soprattutto per l’esperienza del chirurgo ma anche per la valutazione degli errori commessi negli interventi precedenti. Oggi c’è molta più esperienza nel capire quali sono le problematiche nell’impianto delle protesi monocompartimentali con rispetto dell’anatomia del paziente e che quindi possono ripristinare la funzionalità cinematica del ginocchio.
Quanto aiuta lo sviluppo delle tecniche di progettazione assistita?
Le tecniche di progettazione assistita si effettuano con l’aiuto di esami pre-operatori, in modo particolare la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica, che permettono di utilizzare strumentari dedicati costruiti sugli esami strumentali che dovrebbero aiutare il chirurgo a realizzare un impianto più preciso.
Attualmente però, più che parlare di tecniche di progettazione assistita, preferirei parlare di impianti eseguiti sotto l’assistenza della chirurgia robotica, che dal punto di vista pratico si traduce in un più preciso gesto chirurgico, con migliori risultati funzionali a distanza. Ancora oggi però non vi sono certezze assolute che la chirurgia robotica possa realmente determinare un miglioramento del risultato funzionale e una sopravvivenza dell’impianto a lungo termine.
Quali sono oggi le indicazioni per le protesi monocompartimentali?
Le indicazioni fondamentalmente sono rimaste le stesse. Più che altro si sono allargate proprio per l’esperienza del chirurgo che riesce a effettuare l’impianto in situazione di maggiore difficoltà. Pensiamo ad esempio ad alcune indicazioni particolari, come la protesi monocompartimentale che può essere eseguita anche in esiti di rottura del legamento crociato anteriore associando, nello stesso tempo chirurgico, la ricostruzione del legamento stesso. Queste, ovviamente, sono indicazioni di nicchia, che però rappresentano uno scenario diverso rispetto a quello ipotizzato in passato.
Quali sono i fattori di successo nella protesi monocompartimentale mediale e in quella laterale?
Il principale fattore di successo per la protesi monocompartimentale mediale è il ripristino dell’anatomia del paziente. Occorre evitare assolutamente l’ipercorrezione della deformità ed è importante eseguire gesti chirurgici estremamente meticolosi, oltre al fatto che l’indicazione sia corretta. Tra questi parametri, relativi all’indicazione alla protesi monocompartimentale, bisogna prendere in considerazione anche un eventuale coinvolgimento della femoro-rotulea soltanto nella parte mediale e la presenza della riducibilità della deformità.
Lo stesso discorso può essere considerato per la protesi monocompartimentale laterale, che è indicata in un numero di casi più ristretto rispetto alla mediale ma ha risultati molto soddisfacenti, soprattutto in relazione alla tipologia del compartimento che si va a trattare. Quello laterale, infatti, è un compartimento estremamente più mobile di quello mediale e quindi si adatta e tollera meglio alcuni difetti di tecnica chirurgica rispetto alla protesi monocompartimentale mediale.
Quanto è elevato oggi il rischio di revisioni e come si può ridurre?
Oggi si può dire che il rischio di revisione è praticamente analogo o leggermente inferiore a quello delle protesi totali. Le indicazioni, ovviamente, sono molto più limitate e devono essere più rigorose. Una protesi totale può essere eseguita su qualsiasi paziente mentre una protesi parziale necessita di indicazioni selettive. A questo proposito bisogna ricordare quanto sia fondamentale, per la protesi parziale come per la totale, l’assenza totale di cartilagine e la presenza di contatto “osso-osso”.
Per ridurre il rischio di revisioni è fondamentale l’esperienza del chirurgo, che deve eseguire un numero congruo di interventi chirurgici all’anno per poter praticare questo tipo di chirurgia senza incorrere in errori dettati dall’inesperienza; come dicevo, è inoltre essenziale che le indicazioni siano corrette sia dal punto di vista clinico che della programmazione radiologica. Nella protesi monocompartimentale è molto importante eseguire esami radiografici corretti, che consentano di effettuare o meno questo tipo di intervento.
Sempre più spesso, questi interventi sono effettuati su pazienti giovani, con stili di vita più attivi, che sottopongono le articolazioni a maggiori sollecitazioni: questo costituisce una controindicazione all’intervento?
In effetti è un paziente giovane, in cui si valuta di eseguire una protesi monocompartimentale come intervento chirurgico utile per ritardare la protesi totale, anche se invece andrebbe considerato come un intervento alternativo e comunque definitivo.
È ovvio che nel paziente giovane, per lo stile di vita e per il ritorno all’attività sportiva, la durata e la sopravvivenza dell’impianto possono essere inficiate. A questo proposito vale la pena di ricordare che al paziente operato di protesi monocompartimentale di qualsiasi età vengono consigliate alcune discipline fisiche come il golf, il tennis in doppio, jogging o lo sci di fondo, mentre altre attività sportive più aggressive sono sconsigliate, così come avviene per la protesi totale. È ovvio quindi che il sovraccarico dell’articolazione può condizionarne la durata e la sopravvivenza. L’intervento di protesi monocompartimentale rimane comunque adatto anche a una popolazione di giovane età.
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia