Ortopedici e traumatologi in collegamento da tutto il mondo si sono confrontati sulla risposta all’emergenza e sulla riorganizzazione dei reparti. C’è chi in emergenza-urgenza esegue una radiografia al torace per identificare i sintomatici
Stesse sfide e approcci simili. La pandemia da Covid19 ha costretto i sistemi sanitari ad affrontare problematiche inedite in tempi rapidi, spesso concitati, nella necessità di continuare a offrire servizi medici senza mettere a ulteriore rischio una popolazione flagellata dal virus e gli operatori sanitari stessi. Già il titolo del World Wide Webinar organizzato il 20 ottobre dalla sezione italiana di Osteosynthesis & Trauma Care Association (Otc) dà conto di questa situazione: “Healthcare during Covid-19 pandemics, protect our patients and protect ourselves”.
Con la presenza del presidente della Otc Foundation Michael Edwards e del presidente Otc Italy Rocco Erasmo, il chairman dell’evento è stato Alessandro Are, direttore del reparto di Ortopedia dell’Ospedale Santa Maria Goretti di Latina, ma il webinar ha visto gli interventi di ortopedici e traumatologi collegati da tutto il mondo: Spagna, Francia, Germania, Inghilterra, Stati Uniti, Cina e Brasile, oltre alla partecipazione stimolante di Giorgio Casati, direttore generale della Asl Latina, e di Francesco Falez, presidente della Società italiana di ortopedia e traumatologia (Siot).
Hanno seguito la diretta più di mille ortopedici da tutto il mondo, per un’esperienza che solo Otc poteva mettere in piedi, grazie alla sua diffusione internazionale, e che ripeterà con lo stesso format nel 2021, per parlare magari di telemedicina applicata alla traumatologia.
Da epidemia a pandemia
Com’è noto, la pandemia ha avuto andamenti differenti nelle diverse aree del mondo. La Cina è stata colpita per prima, ma grazie a misure molto stringenti e al loro rispetto da parte della popolazione è stata anche tra le prime a uscirne: in questo Paese di un miliardo e quattrocentomila persone ormai i casi sono molto bassi. L’Europa, e l’Italia in particolare, è stata colta di sorpresa: c’è stata una prima fase in cui molti sistemi sanitari hanno affrontato la situazione con estrema difficoltà e le autorità politiche hanno disposto un lockdown che ha drasticamente ridotto contagi e decessi, una seconda fase di relativa tranquillità, in cui le misure restrittive si sono allentate, e infine una seconda ondata che si sta abbattendo, pur con caratteristiche diverse dalla prima, in quasi tutto il continente. Stati Uniti e Brasile, invece, pur essendo stati colpiti in un secondo tempo, hanno messo in atto un lockdown molto meno rigido, hanno subito perdite ingenti e non hanno ancora visto una reale remissione dei casi, se non in alcune zone.
Tempi diversi, risposte simili
Come emerso dal confronto tra i chirurghi nel corso del webinar Otc, le misure messe in atto dai diversi sistemi sanitari e, in particolare, dalle unità di ortopedia e traumatologia, hanno ovviamente risentito delle tempistiche e delle situazioni specifiche, ma sono state simili nella sostanza.
Il Covid ha trasformato gli ospedali in luoghi molto più chiusi verso l’esterno, per ridurre le probabilità di contagi, e ha cambiato il modo in cui ci si prende cura dei pazienti. Quasi dappertutto si sono stabiliti percorsi differenti per i pazienti Covid e non Covid, ma determinare la positività dei pazienti non è facile né immediato. I falsi negativi sono molti e Philippe Adam di Strasburgo (Francia) ha rilevato come alcuni pazienti, entrati nel suo reparto come negativi, siano risultati positivi al controllo fatto al momento della dimissione.
Con il lockdown e le limitazioni imposte alle attività sportive, gli interventi di emergenza si sono ridotti dovunque, ma per questi pazienti la possibilità di determinare la positività al Covid19 è ancora più complessa. Una soluzione è stata quella di fare una radiografia al torace per verificare l’eventuale coinvolgimento polmonare determinato dal virus: come ha riferito Jesus Gomez Vallejo di Saragozza (Spagna), la sensibilità di questo esame ha raggiunto il 69%.
Anche per le chirurgie non urgenti, separare i pazienti positivi al Covid dagli altri è uno dei punti cruciali. Dato il numero di falsi negativi dei tamponi, basarsi solo sui risultati dei test può non essere sufficiente; molti ospedali richiedono un’auto-quarantena variabile da una a due settimane, un tampone effettuato da due a cinque giorni prima del ricovero e una valutazione clinica del rischio.
Le chirurgie elettive hanno avuto dovunque dei ritardi: Nikolaos Kanakaris dell’ospedale universitario di Leeds (Gran Bretagna) ha spiegato che tuttora i reparti di chirurgia ortopedica elettiva non stanno lavorando a pieno ritmo e che in Inghilterra ci sono oltre 300mila pazienti in attesa, di cui ben 24mila da oltre un anno. I pazienti sono stratificati in base all’età e ai fattori di rischio e viene valutato il tipo di anestesia, dando la preferenza quando possibile a quella loco-regionale; deve inoltre essere garantita in anticipo una unità di terapia intensiva non Covid, cosa tutt’altro che scontata nei momenti più critici.
La telemedicina
Una delle conseguenze di maggiore portata della pandemia è che in tutti i Paesi ha portato a uno sviluppo della telemedicina.
Anche nei tecnologicamente avanzati Stati Uniti, si tratta di una sostanziale novità. Come ha spiegato John Scolaro della University of California, Irvine, in un sondaggio del 2013 il 96,1% dei clinici ammetteva di avere conoscenze scarse sul tema e nel 2017 solo il 20% degli ortopedici dell’Aoa (American Orthopaedic Association) dichiarava di ritenere utile la telemedicina. Pur riconoscendo il ritardo nella risposta alla pandemia che si è avuta negli Usa, Scolaro ha citato l’equiparazione dei rimborsi tra visite virtuali e presenziali come segno dell’apertura alla telemedicina: «non si tratta di una soluzione valida in tutti i casi e ci sono molte limitazioni, come le fratture e le lussazioni, le lesioni alle articolazioni, ai legamenti o ai tendini, le infezioni, i problemi circolatori e neurologici». Ma il controllo dell’andamento delle cronicità e anche la riabilitazione hanno tratto numerosi vantaggi dagli interventi a distanza, che in parte rimarranno anche dopo il superamento dell’emergenza sanitaria: «sono particolarmente adatti per molte visite di routine, per i pazienti anziani con difficoltà di movimento e per coloro che vivono in zone remote» ha detto il chirurgo.
Secondo Giorgio Casati, la telemedicina ha la potenzialità di incidere profondamente sul sistema sanitario italiano. «Il maggiore cambiamento è che richiede di lavorare in una rete, di cui il paziente rappresenta un nodo fondamentale; rende indispensabile condividere i protocolli clinici e il paziente non “appartiene” più al singolo specialista ma a tutta la rete. Professionalmente dobbiamo accettare di abbandonare il modello competitivo per arrivare a soluzioni condivise, in cui il network assume il ruolo predominante. Se la telemedicina assumerà un ruolo più pervasivo rispetto al passato, ci spingerà verso l’integrazione tra ospedali diversi, specie per la gestione di pazienti cronici. Certo, è più difficile realizzare uno schema di questo tipo per ortopedia e per traumatologia, in cui la relazione fisica tra medico e paziente è ritenuta un elemento fondamentale; ma spesso la difficoltà di passare da un modello a un altro molto diverso sta soprattutto nella nostra mente. La nostra resistenza culturale è però stata spazzata via dal Covid19».
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia