Emergenza Sars-CoV-2
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I dati raccolti dalle sezioni regionali Otodi certificano una forte carenza di specialisti nei reparti di ortopedia e traumatologia. Per velocizzare la formazione pratica delle nuove leve, Otodi mette a disposizione dell’università tutte le sue unità operative
Gli Ortopedici e traumatologi ospedalieri d’Italia (Otodi) tornano a occuparsi in modo profondo degli aspetti professionali del loro lavoro e lo fanno giovedì 19 e venerdì 20 marzo a Firenze, presso il Palazzo Pucci, dove è in programma la prima Convention programmatica Otodi. «Basta con il subire passivamente le regole, senza conoscerle e senza sapersi muovere al loro interno» ha detto Mario Manca, presidente Otodi, a Tabloid di Ortopedia.
Il contesto è quello ben noto a tutti gli ortopedici, con difficoltà continue nel lavoro di tutti i giorni, appesantite dalla carenza degli organici in numerose unità operative in tutta Italia. Ecco il punto di vista del presidente Otodi, che ci ha anche fornito i numeri, Regione per Regione, della carenza di ortopedici negli ospedali. Numeri reali di un’emergenza reale che «diventerà ancora più critica in futuro, ma già oggi è una vera emergenza a livello nazionale».
Presidente, al di là dei numeri, l’ortopedico ospedaliero nel pubblico ha la percezione di vivere una situazione di costante emergenza?
Sì, per l’ortopedico ospedaliero è proprio questa la percezione: una costante emergenza. La difficoltà nella programmazione sanitaria ha fatto sì che ogni situazione lavorativa, di fatto, sia vissuta come un’emergenza da affrontare.
Le visite inserite dal Cup a volte ogni 10 minuti; le fratture da operare tempestivamente con un numero di sale insufficienti a farlo; le ridotte possibilità di operare in elezione; le liste di attesa per prestazioni ambulatoriali o chirurgiche; il rispetto di budget quasi mai concordati ma frequentemente subiti; la scarsa offerta formativa istituzionale; la pressione medico legale; la scarsa organizzazione della rete ospedaliera; le esigenze di pazienti sempre più anziani, e quindi più bisognosi di risposte mediche; la mole di lavoro amministrativo che toglie, di fatto, spazio al lavoro assistenziale; turni frequentemente doppi e ferie arretrate e, come se non bastasse tutto questo, il demagogico attacco sui media, dove il medico è spesso esposto e condannato prima ancora di un vero e proprio giudizio. Per tutti questi motivi l’ortopedico ospedaliero si trova ad affrontare, quotidianamente e nelle varie sfaccettature del proprio lavoro, una strada in salita che deve affrontare con risorse relativamente scarse.
La carenza di organico nei reparti di ortopedia e traumatologia è un problema di vocazione, di programmazione formativa o di risorse degli ospedali pubblici?
Probabilmente è la sommatoria di tutti questi fattori.
La pressione medico legale e l’estrema facilità di andare in giudizio ha fatto sì che le vocazioni per tutte le specialità chirurgiche, e in particolare per l’ortopedia e traumatologia, siano di fatto molto diminuite, anche a fronte di remunerazioni non in linea con gli standard europei. Il rischio lavorativo è di fatto percepito come eccessivo: ormai la rivendicazione medico legale sta diventando un ammortizzatore sociale, spesso è pretestuosa e frequentemente si conclude in un nulla di fatto, ma in ogni caso impegna il professionista in anni di difese, spese, preoccupazioni e difficoltà psicologiche non da poco.
A questo si aggiunge che la programmazione degli specialisti è stata completamente sbagliata nei numeri: oggi le università “sfornano” specialisti non in base alle necessità del territorio in cui dovranno operare, ma in base a criteri di accreditamento interni al mondo universitario. Così, fatto 100 il numero dei neolaureati, solo 50 accedono alle scuole di specializzazione; gli altri rimangono in un limbo con pochissime possibilità lavorative.
L’ortopedico, anche in base al DM 70 (decreto Balduzzi) deve essere presente nella quasi totalità degli ospedali ma, soprattutto quelli più piccoli, trovano sempre maggiori difficoltà a coprire i posti vacanti. I pochi specialisti attivi, ovviamente, scelgono la sede per loro migliore e più attrattiva dal punto di vista lavorativo. Gli ospedali insomma hanno le risorse per la copertura economica dei posti vacanti, ma non trovano specialisti disponibili. Questa situazione diventerà ancora più critica in futuro, ma già oggi è una vera emergenza a livello nazionale.
Cosa propone Otodi per risolvere il problema?
È evidente che in questa situazione emergenziale la mole di specialisti già oggi necessari non sia sostenibile dalle sole strutture universitarie, le uniche istituzioni deputate alla loro formazione.
Per questo motivo Otodi mette a disposizione le unità operative di ortopedia dislocate sul territorio nazionale come rete formativa di supporto per le strutture universitarie. Gli ospedali e i medici ospedalieri sono a disposizione per fornire il loro supporto dal punto di vista della formazione pratica, sul campo. Una modalità già attuata in alcune realtà, dove gli specializzandi frequentano i reparti ospedalieri durante il loro iter formativo.
Sarebbe quindi necessario aumentare il numero degli specializzandi che ogni anno entrano nelle scuole, integrando il percorso didattico con la formazione sul campo, all’interno della rete ospedaliera, naturalmente con programmi prestabiliti dalle varie sedi universitarie. I fondi potrebbero essere ricavati dalla mancata copertura dei posti a ruolo e di conseguenza dalla mancata spesa.
Allo stesso tempo occorre rendere più attrattivo il lavoro ospedaliero, con retribuzioni di risultato reali e non di basso livello come è attualmente in uso. Chiunque deve poter contare su una concreta possibilità di crescita professionale ed economica, commisurate alle proprie capacità e al proprio impegno: non si può livellare tutto verso il basso per una demagogica e irreale organizzazione per cui siamo considerati tutti uguali. Non è così e non può esserlo neppure negli ospedali.
Alla Convention programmatica di Firenze affronterete in maniera esplicita temi professionali e difficoltà operative di tutti i giorni.
Gli ostacoli che l’ortopedico deve superare ogni giorno sono molteplici e saranno argomento di questa Convention e, se la formula dovesse piacere, anche delle prossime.
Le “regole del gioco” non sono sempre così conosciute. L’ortopedico infatti tende a formarsi e ad aggiornarsi soprattutto sotto il profilo scientifico, clinico e chirurgico e meno sotto l’aspetto manageriale, con il quale ha poca dimestichezza. Ma non è più possibile subire passivamente le regole, senza conoscerle e senza sapersi muovere al loro interno.
Tra le “regole del gioco” di cui discutete al convegno c’è il tema della progressione di carriera dei collaboratori. Come è cambiato negli anni il rapporto tra responsabile e collaboratori?
Nel corso degli anni sicuramente è cambiato, ma non è facile descrivere come. Molto dipende dalla tipologia di responsabile e dalla sua gestione della leadership, molto dipende anche dai collaboratori, dalla voglia e curiosità da cui sono animati nel loro lavoro.
Come in tutte le specialità, si va verso una sempre maggiore specializzazione. Di sicuro il responsabile non è più il tuttologo che fa tutto meglio di tutti, ma è piuttosto colui che dirige un’orchestra ricavando il meglio da ogni musicista e dalle capacità personali.
Il responsabile, pur mantenendo un ruolo attivo dal punto di vista assistenziale e chirurgico, deve trovare il tempo e il modo per organizzare al meglio le varie tipologie di attività, studiare e contestualizzare percorsi e processi, riuscire a dare spazio ai suoi collaboratori e dare la possibilità di continuarne la formazione, che è alla base del nostro lavoro. Una formazione che deve avvenire anche quotidianamente, con scambi di esperienze di fronte ai casi più importanti, senza far venire mai meno l’aspetto collegiale. Il briefing mattutino, ove possibile e se possibile, diventa una costante forma di aggiornamento bidirezionale; da parte dei più anziani verso i più giovani per quanto concerne esperienze e da parte dei più giovani verso i più anziani per quanto concerne evidenze e dati di letteratura.

CARENZA DI ORTOPEDICI È REALE: I DATI OTODI, REGIONE PER REGIONE_ Secondo i dati raccolti dagli Ortopedici e traumatologi ospedalieri d’Italia (Otodi), la carenza di organico nei reparti di ortopedia e traumatologia è una situazione diffusa in tutto il Paese. Ecco alcuni dati.
Partiamo dal sud. In Calabria, per garantire le prestazioni richieste dalla popolazione, alla conta mancherebbero ben 38 specialisti nei principali ospedali pubblici della Regione, con ad esempio 5 posti da dirigente medico che sono vacanti a Reggio Calabria, addirittura 6 a Castrovillari. A Locri, Rossano e Vibo Valentia manca persino il direttore. «Bisogna inoltre ricordare l’età media elevata dei medici, molti dei quali a breve andranno in pensione, e l’elevato numero di medici con esoneri vari» fa notare Vincenzo Macrì, presidente Oto, che ha raccolto i dati in Calabria.
Non va meglio in Campania: «Carissimo presidente – scriveva qualche mese fa Achille Pellegrino, presidente Acoto, a Mario Manca che ha richiesto i dati a tutte le sezioni regionali – purtroppo per la Campania non è possibile quantificare numericamente la carenza di organico delle unità operative sia perché la Regione è ancora commissariata, sia perché diverse aziende ospedaliere e sanitarie non hanno ancora approvato le nuove piante organiche.
Da una stima approssimativa, per colmare le carenze di organico di tutte le unità operative di ortopedia e traumatologia della Regione Campania, dovrebbero essere assunti almeno 40 dirigenti medici».
Centro Italia. In Emilia-Romagna «mancano 52 unità mediche per le sezioni di ortopedia che vi sono rappresentate» riporta Norberto Negri, presidente di Otodi Emilia-Romagna. Per la Toscana a riferire sulla situazione è il presidente Otodi Mario Manca: «Le posso dire che in Toscana ci sono soprattutto gli ospedali più piccoli in grossa difficoltà per scarso numero di medici, come Piombino, Castelnuovo, Elba, Fivizzano Volterra Cecina, e stanno andando avanti con “prestiti” da altre unità operative».
Ma di certo il nord non sta meglio. Per quanto riguarda le carenze di organico in Liguria, secondo i dati raccolti da Silvio Boero, presidente Alioto, mancano più di 35 specialisti di ortopedia e traumatologia, con l’Ospedale Policlinico San Martino che è in difetto addirittura di dieci medici. Non si salvano nemmeno gli ospedali che sono storicamente delle eccellenze in ambito ortopedico, come l’Ospedale di Pietra Ligure, o nella chirurgia della mano, come Savona: in entrambi mancano specialisti.
Sempre secondo i dati Otodi, mancano ortopedici anche in Lombardia. Almeno 30, senza contare le assenze per maternità.
In Friuli Venezia Giulia mancano all’appello almeno 21 ortopedici e, secondo i dati riportati da Luigi Corso, presidente Otodi Friuli Venezia Giulia, solo tre ospedali su 11 sono a pieno organico.
Non da poco nemmeno l’emergenza in Piemonte. «Negli ospedali pubblici del Piemonte mancano in questo momento 70 ortopedici, 71 da gennaio 2020 perché andrò in pensione io – riporta Victor Rosso, presidente Sotop –. La scuola di specialità ne sfornerà 7 all’anno per i prossimi tre anni, poi diventeranno 13 all’anno. Come vedete la situazione è disastrosa».

MEDICI IN CORSIA FINO A 70 ANNI? PER GIMBE SERVE UNA PROCEDURA DI VALUTAZIONE E MONITORAGGIO DELLE PERFORMANCE_ Per fronteggiare la carenza di personale, il Patto per la salute 2019-2021 ha previsto la possibilità per i medici ospedalieri di rimanere in corsia fino a 70 anni. Tuttavia, secondo la Fondazione Gimbe «consistenti evidenze scientifiche dimostrano che questa misura rischia di ridurre la sicurezza dei pazienti e la qualità dell’assistenza e di aumentare il contenzioso medico legale» e chiede «una procedura nazionale standardizzata per valutare le performance fisiche e cognitive dei medici che offriranno la loro disponibilità a rimanere in corsia sino a 70 anni, oltre a un potenziamento del monitoraggio degli eventi sentinella nelle strutture in cui lavoreranno questi professionisti».
Il Patto per la Salute 2019-2021, approvato lo scorso dicembre da Governo e Regioni, contiene una sezione (Scheda 3. Risorse umane) dedicata a varie misure volte a fronteggiare la carenza di medici e altri professionisti sanitari. Tra gli interventi in grado di garantire un tamponamento immediato dell’emergenza c’è la facoltà, sino al 31 dicembre 2022, per i «medici specialisti, su base volontaria e per esigenze dell’azienda o dell’ente di appartenenza, di permanere in servizio anche oltre il limite di 40 anni di servizio effettivo […] e comunque non oltre il 70esimo anno di età». Una misura già prevista per medici universitari, medici di medicina generale e pediatri di famiglia.
Secondo le stime del ministero della Salute sarebbero almeno 10.000 i medici potenzialmente interessati a questa misura, fortemente criticata da Anaao, il sindacato più rappresentativo dei medici ospedalieri, anche perché l’attuale età media dei medici in servizio è già tra le più elevate d’Europa. Altrettanto critico è Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe: «il dibattito non ha tenuto conto né dei potenziali rischi per i pazienti, né il fatto che i dati di letteratura sulla relazione tra età dei medici e performance professionali sono contrastanti, quando non decisamente allarmanti». Ad esempio, una revisione sistematica sulla relazione tra qualità dell’assistenza e anni di carriera condotta su 62 studi e oltre 33.000 medici ha dimostrato che in 15 (25%) degli studi inclusi i medici più anziani hanno performance analoghe o migliori dei più giovani, ma in 32 studi (52%) i medici a fine carriera hanno minori conoscenze cliniche, aderiscono meno alle raccomandazioni delle linee guida e hanno performance peggiori sull’appropriatezza dei processi preventivi, diagnostici e terapeutici.
«Più in generale – spiega Cartabellotta – anche se i medici sono più resilienti al decadimento fisico e cognitivo legato all’età, robuste evidenze scientifiche dimostrano che con l’aumentare degli anni apportano al contempo benefici e rischi sia ai pazienti, sia all’organizzazione sanitaria». Infatti, se da un lato la cosiddetta “intelligenza cristallizzata”, ovvero la capacità di utilizzare rapidamente conoscenze, abilità ed esperienze acquisite, aumenta dai 40 ai 70 anni, dall’altro l'”intelligenza fluida”, che include bisogno di aggiornamento, velocità di elaborazione dei dati e risoluzione di scenari clinici e problemi insoliti, inizia a declinare molto lentamente a partire dai 40 anni, per ridursi drasticamente dopo i 60-65 anni».

OTODI PER I GIOVANI: RISORSE CRESCENTI PER L’«ADDESTRAMENTO RECLUTE»_ Otodi in questi anni ha promosso una partecipazione attiva dei giovani a ogni attività della società, favorita da una serie di iniziative pensate apposta per loro.
Ci sono ad esempio i “Trauma Meeting Focus On” dedicati agli under 40, veri e propri approfondimenti su argomenti in ortopedia e traumatologia, svolti con il solito criterio della regionalità: per ogni argomento tre eventi, uno al sud, uno al centro e uno al nord. In questi eventi, interamente gestiti da Otodi Young con la collaborazione di Aisot (Associazione degli specializzandi in ortopedia e traumatologia), oltre a presentazioni frontali, c’è molto spazio per la presentazione di casi clinici, con ampia discussione interattiva e premi (cadaver lab) ai migliori casi.
All’interno del Trauma Meeting c’è un’intera giornata dedicata agli specializzandi del terzo anno di tutte le scuole, con lezioni frontali, discussioni interattive e presentazione di casi clinici con la partecipazione di docenti universitari e ortopedici ospedalieri. «Viene chiamato Boot Camp ed è un vero e proprio corso di addestramento reclute» conferma il presidente Otodi Mario Manca. Gli stessi studenti, al quarto anno, si ritroveranno in un Summer Camp, dove verranno riprese le nozioni teoriche apprese al Boot Camp e riportate nella pratica, con discussioni interattive e workshop pratici in tre intere giornate senza pause.
«Oltre a tutto questo – spiega Manca – nel consiglio direttivo della società scientifica è presente un esponente di Otodi Young e in ogni attività c’è un occhio di riguardo verso i giovani, vera, preziosa e insostituibile risorsa per Otodi. Sono la nostra forza interiore e il nostro reale futuro. Per questo molte risorse vanno nella loro direzione».

OTODI, IL CONGRESSO SI TRASFORMA IN CONVENTION PROGRAMMATICA_Giovedì 19 e venerdì 20 marzo a Firenze (Palazzo Pucci) si terrà la prima Convention programmatica Otodi, che si inserisce nello spazio del più tradizionale congresso nazionale, riscrivendone completamente il format. «L’Otodi ha un evento nazionale importantissimo che è il Trauma Meeting, un evento che attrae moltissimi giovani ed è molto partecipato, in costante crescita ogni anno. La nostra società scientifica ha però bisogno di un altro evento nazionale, anche di tipo assembleare, dove potersi confrontare e prendere decisioni collegiali e di impatto nazionale – spiega Mario Manca, presidente Otodi –. Il nostro congresso nazionale ha raggiunto le 50 edizioni ma è andato via via perdendo di freschezza e interesse, con scarso appeal da parte dei partecipanti e con sempre maggiori difficoltà, anche finanziarie, per sostenerlo. Così abbiamo riscritto il format e dato vita a questa Convention programmatica, all’interno della quale ci sarà uno spazio assembleare indispensabile per votazioni a livello nazionale là dove siano richieste, e necessaria per mettere al corrente tutti i soci del lavoro svolto dal consiglio direttivo».
La Convention mantiene uno spazio formativo su un tema ortopedico, quest’anno le revisioni d’anca, sempre più frequenti anche in ambito ospedaliero insieme alla traumatologia. Sarà uno spazio gestito dalle aziende, sotto la supervisione organizzativa del direttivo nazionale circa gli interventi. E poi, accanto allo spazio formativo «abbiamo introdotto un approfondimento sugli aspetti organizzativi e manageriali del nostro lavoro» ci ha detto Manca.
La professoressa Sabina Nuti, rettrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che con il sistema “bersaglio” monitora in tutta Italia le performance delle aziende ospedaliere, spiegherà l’importanza di essere “misurati”, il modo con cui questo controllo avviene e fornirà indicazioni pratiche su quali misure di miglioramento o di consolidamento è possibile prendere in ogni ambito del lavoro in reparto.
La dottoressa Francesca Mignoni, direttore della Valorizzazione del personale dipendente della Usl Toscana Nord Ovest, descriverà le regole esistenti, ma spesso non ben conosciute, per consentire una reale progressione di carriera ai collaboratori. «Anche se tali progressioni non si associano a grandi miglioramenti economici, sono comunque un modo per gratificare il buon lavoro fatto e un incentivo per migliorare ancora» sottolinea Mario Manca.
Alla Convention programmatica Otodi si parlerà poi di problematiche medico legali, con gli interventi dell’onorevole Federico Gelli, dell’avvocato civilista Adriano Montinari e di un magistrato, così da avere idee più chiare sulle implicazioni della legge Gelli-Bianco, sia in ambito civile che penale. A seguire, ci sarà una sessione istituzionale sulle linee guida, che vedono l’Otodi impegnata a fianco della Siot.
Infine, grazie al lavoro della sezione Young di Otodi, ci sarà un divertente e interessante aggiornamento sulle App in ortopedia e traumatologia: alcune inutili, altre ben fatte e utilissime.
Andrea Peren
Giornalista Tabloid di Ortopedia