Ancora profonde le differenze tra i Paesi europei su formazione degli specialisti e diagnosi e cura delle patologie ortopediche pediatriche, a partire dallo screening ecografico per la displasia dell’anca. E anche l’ortopedia deve misurarsi con il long Covid
Un italiano alla guida dell’ortopedia pediatrica europea: è Antonio Andreacchio, direttore del reparto di Ortopedia e Traumatologia Pediatrica dell’Ospedale dei Bambini “V. Buzzi” di Milano, che prende il timone della European Paediatric Orthopaedic Society (Epos). La società scientifica celebra il suo congresso annuale a metà aprile, naturalmente in modalità virtuale.
Al congresso viene anche presentato il libro “The child elbow – Practical approach to traumatic and orthopedic disorders” (edizioni Griffin-Timeo), curato proprio da Andreacchio insieme a Federico Canavese e che raccoglie i contributi scientifici di numerosi autori internazionali, molti dei quali esponenti della società scientifica europea.
Con il neopresidente Epos abbiamo fatto il punto sull’ortopedia pediatrica a livello europeo nel contesto della pandemia. Intanto cresce il divario tecnologico tra Europa e Usa: a salvare il nostro primato però c’è la creatività.
Professor Andreacchio, ci fa una panoramica europea delle conseguenze che ha portato la pandemia sull’ortopedia pediatrica?
La situazione determinata dalla pandemia ha avuto delle ricadute importanti sia sulle attività chirurgiche, bloccando gli interventi in elezione, sia sugli screening, come quello per la displasia dell’anca. Ma anche sui controlli a distanza delle normali patologie.
Ci sono stati, almeno nel nostro Paese, gravi ritardi nella diagnosi e nella cura di alcune patologie. Altre si sono presentate con un alto alto grado di complessità proprio per il ritardo diagnostico. Le patologie della colonna, proprio perché non dolorose, sono andate peggiorando e nei primi mesi del post-lockdown si è avuto un effetto rebound, con un aumento di diagnosi e di indicazioni chirurgiche. Moltissime visite ambulatoriali sono state annullate e non potranno essere mai più recuperate.
Insomma difficoltà oggettive da ogni punto di vista e da tutto questo credo non riusciremo ad uscirne in tempi brevi: purtroppo la telemedicina adottata in molti ospedali e anche nel nostro non è di grande aiuto per la nostra specialità e rappresenta più un sistema di supporto per parlare con le famiglie, visto che in ospedale è consentito l’accesso a un solo genitore.
Qual è l’impatto clinico del Covid19 sul paziente pediatrico e come cambia il ruolo dell’ortopedico pediatrico in pandemia?
Dal punto di vista ortopedico durante la pandemia, sia in Italia che nel mondo, si è registrata una drastica diminuzione dei traumi, per ovvi motivi, e la diminuzione delle fratture ha certamente alleggerito il carico di lavoro, ma per altri versi alcune situazioni non sono state affrontate per la paura dei genitori di accedere al pronto soccorso.
Inoltre alcune situazioni legate al Covid19 si sono manifestate in modo bizzarro e ci hanno colti impreparati in alcuni momenti, come quelle che erano state etichettate come delle artriti settiche e che in realtà non erano che delle manifestazioni secondarie e satelliti dell’infezione da coronavirus.
Il ruolo dell’ortopedico pediatrico non è cambiato, ma è stato in qualche modo messo in quarantena anch’esso. Sicuramente la traumatologia è nettamente diminuita e la benignità delle lesioni di carattere ortopedico hanno fatto sì che la nostra specialità venisse messa in secondo piano rispetto ad altre che hanno visto ricadere sulle loro spalle l’impatto dell’emergenza sanitaria.
Nuovi virus e vecchie patologie: ci fa il punto sulla displasia dell’anca a livello italiano e anche europeo?
Purtroppo l’attività di prevenzione e screening di massa ecografico per la displasia dell’anca risente ancora di molta confusione e una patologia di squisita pertinenza ortopedica in qualche caso finisce persino ad essere indirizzata a colleghi che per formazione e studi sono lontani dal nostro mondo. Anche gli ortopedici dell’adulto hanno una conoscenza limitata di quello che può essere il problema in termini di prevenzione e cura e spesso il pediatra ha attinto le sue informazioni da articoli del mondo pediatrico, che hanno una visione assolutamente limitata di quella che è la vastità e la complessità della patologia.
Fare una diagnosi precoce della displasia significa avere la possibilità di una guarigione completa con un trattamento incruento, senza o con scarsissime percentuali di ricorso a interventi chirurgici. Viceversa un trattamento ritardato apre la strada a una lunga e penosa terapia, che non sempre dà i risultati sperati.
La società europea di ortopedia pediatrica, così come quella italiana, vive anche di contraddizioni tra le correnti di pensiero che consigliano o meno uno screening ecografico di massa. Per alcuni questo va indirizzato in maniera più precisa verso coloro che hanno fattori di rischio acclarati, ma non va dimenticato che sia la clinica che la familiarità possono essere completamente assenti seppure in presenza di una patologia grave. Altri tendono a minimizzare il ruolo della diagnosi ecografica precoce, asserendo che molte delle displasie diagnosticate sono in realtà, al di sotto dei tre mesi, ritardi di maturazione delle componenti dell’anca.
In più va detto che la formazione dei giovani medici spesso tralascia questa specifica patologia, pertanto i segni clinici possono passare misconosciuti proprio per una carenza di preparazione. Credo sia pertanto necessario, se vogliamo ottenere realmente una diagnosi precoce e un trattamento efficace, continuare in un’opera di educazione in tutte le specialità che hanno a che fare con il mondo pediatrico.
L’età pediatrica è a volte sinonimo di condizioni o patologie sottodiagnosticate e sottotrattate. Qual è la situazione a livello europeo?
Il trattamento delle patologie ortopediche pediatriche in ambito europeo è altamente variegato e risente delle differenze culturali ed economiche presenti nel nostro continente.
A differenza degli Stati Uniti che rappresentano, pur nella loro vastità, una unità reale e nazionale con un sistema sanitario che, per quanto discutibile, è unitario e con una formazione degli specialisti abbastanza uniforme, nella nostra vecchia Europa convivono sistemi sanitari diversi, culture diverse, lingue diverse e diversi approcci a medesimi problemi. Tutto questo rende estremamente variegato il panorama e, se alcune nazioni possono dirsi più tecnologicamente avanzate, per altre la situazione è estremamente difficile. Alcuni Paesi inoltre presentano situazioni geografiche estremamente complesse, dove la possibilità di una cura adeguata risulta difficile anche solo per motivi di carattere logistico, come poter raggiungere un centro ospedaliero che sia attrezzato e con un personale medico adeguatamete preparato a fronteggiare problematiche connesse all’età pediatrica. La stessa preparazione dei medici nel campo dell’ortopedia pediatrica è estremamente diversa tra i vari Paesi e tutto questo crea un’estrema differenza di approccio alla diagnosi e alle cure.
A tutto ciò aggiungiamo la difficoltà di alcuni Paesi di stare tecnologicamente al passo con quelli più industrializzati. Risonanza magnetica e Tac, solo per parlare di imaging, richiedono attrezzature costose e personale addestrato. Strumentari chirurgici sofisticati rappresentano un costo che alcuni Paesi non riescono a sostenere. L’Europa risente della contraddizione di avere Paesi confinanti le cui realtà sanitarie divergono in modo drammatico in termini di servizi, attrezzature, personale. La sfida ai politici di Bruxelles sarebbe quella di prendersi carico di un bene fondamentale come il diritto alla salute, più che stabilire quote latte e norme sui prodotti alimentari, per cercare di regalare ai bambini europei una sanità equa e adeguata agli standard più elevati.
E la traumatologia pediatrica in Italia e in Europa?
Il campo della traumatologia pediatrica è quello che più di altri negli ultimi decenni ha visto mutare in maniera sostanziale il suo trattamento. Ciò è avvenuto sia per una situazione strettamente connessa ai materiali, sia per un cambio radicale delle abitudini sociali, che hanno visto virare il trattamento da quello squisitamente conservativo del passato a un utilizzo più spinto della chirurgia.
Gli studi scientifici recenti hanno evidenziato molti aspetti che in passato non erano stati studiati e hanno messo in evidenza quanto sia fondamentale la conoscenza dello scheletro del bambino e dei nuclei di accrescimento nei vari distretti. La differenza nel trattamento della frattura di un bambino è fatta dalla conoscenza tecnica del tipo di frattura, dall’età, dal distretto corporeo e dalle possibilità che possono essere messe in atto per curare prima, ed evitare poi, le sequele. Queste ultime possono essere inevitabili proprio perché la lesione da frattura di una zona deputata all’accrescimento comporta un danno perenne, che determinerà delle sequele con la crescita.
In Italia non vi sono molti centri pediatrici e pertanto tale trattamento viene demandato all’ortopedico dell’adulto, che si trova a fronteggiare problemi che non conosce perfettamente. In Europa molte nazioni, soprattutto quelle di lingua tedesca, continuano a far curare le fratture dei bambini al chirurgo pediatrico, anche se ormai questo, che è un retaggio legato al passato, tende sempre più a scomparire.
Chi vince la sfida Europa-Usa?
All’Europa in generale e alla Francia in particolare si deve l’introduzione del metodo per la sintesi delle fratture pediatriche più innovativo degli ultimi cinquant’anni. La duttilità e l’elasticità delle menti europee ha sicuramente tracciato la via verso nuovi orizzonti, mentre i colleghi statunitensi hanno dalla loro parte la rigorosità di una catalogazione e inquadramento che produce studi rigorosi e traccia le regole dettate dalla forza dei numeri.
Come esempio basti ricordare come moltissimi ospedali nel nostro Paese, con l’introduzione dell’imaging digitalizzato, hanno mandato al macero tonnellate di vecchie radiografie che rappresentavano un’importante fonte di studio per verificare con dei follow-up mirati la bontà dei trattamenti intrapresi nel passato. Negli Stati Uniti invece lo stesso processo è stato affrontato riconvertendo in formato digitale le radiografie, che sono state scannerizzate e immagazzinate.
A tutt’oggi la sfida tra Europa e Usa viene, secondo me, vinta dall’Europa sul piano intellettuale ma ci vede soccombere sul campo della tecnologia e dell’investimento culturale che viene fatto sulle nuove generazioni di specialisti. Se a tutto questo aggiungiamo che all’interno della nostra Europa esistono realtà estremamente differenti in termini di possibilità economiche, che finiscono per riflettersi inesorabilmente sul sistema sanitario e sull’assistenza, è facile intuire come riuscire a vincere una sfida come questa sia un’impresa titanica.
Uno dei miei mentori e luminare dell’ortopedia pediatrica come il professor Alain Dimeglio, usava dire che la gara tra l’Europa e l’America era come se noi europei dovessimo correre il Tour de France pedalando su un triciclo. Una metafora che rende molto l’idea del divario.
Andrea Peren
Giornalista Tabloid di Ortopedia
“THE CHILD ELBOW”, UNA GUIDA SU PATOLOGIA ORTOPEDICA E TRAUMATOLOGICA DEL GOMITO IN ETÀ PEDIATRICA_L’articolazione del gomito è estremamente complessa e in età pediatrica presenta un numero importante di nuclei di accrescimento, che finiscono per rendere ancora più difficile la diagnosi radiografica. «Per questo il gomito pediatrico, troppo spesso trattato come il gomito di un adulto, crea non pochi problemi e difficoltà ai colleghi – riflette Antonio Andreacchio –. Sulla base di queste considerazioni io e Federico Canavese abbiamo avuto l’idea di creare un testo che potesse riunire tutte le problematiche di carattere traumatico e ortopedico che colpiscono il gomito del bambino, in modo da dare vita a un libro che fosse quanto più possibile esaustivo sull’argomento».
Il volume “The child elbow – Practical approach to traumatic and orthopedic disorders” (edizioni Griffin-Timeo) affronta, oltre che un inquadramento di tipo radiologico, tutte o molte delle patologie che possono affliggere questa articolazione dal punto di vista ortopedico e prende in esame le fratture estremamente complesse e anche di difficile diagnosi che possono andare a localizzarsi nelle ossa del gomito del bambino.
Il testo, in lingua inglese, raccoglie l’esperienza di diverse scuole perché coinvolge tra gli autori molti esperti internazionali, molti dei quali esponenti della società scientifica europea Epos. «Il trattamento o la concezione del trattamento a livello europeo delle patologie del gomito è sicuramente univoca – riflette Andreacchio –, il problema è la diversità che si riscontra laddove alcuni esami più sofisticati possono essere difficili da eseguire in alcuni Paesi il cui livello sanitario è di più basso livello. Pertanto la differenza non è tanto il carattere concettuale, quanto invece legata alla formazione culturale e alle possibilità che la moderna diagnostica di imaging può mettere a disposizione dello specialista per supportare e aiutare a formulare quelle diagnosi che possono essere sicuramente difficili».
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