
Un maialino intento a mangiare osservato con la tecnologia Xromm
Si chiama X-ray reconstruction of moving morphology ma, se avrà successo al di fuori dei laboratori sperimentali dove è stata utilizzata finora, verrà certamente chiamata con il più maneggevole acronimo Xromm. È una tecnica di imaging sviluppata presso la Brown University di Providence, nel Rhode Island, che ha in qualche modo preso ispirazione dalla motion capture (o mocap), impiegata nella computer grafica per la registrazione digitale dei movimenti di un oggetto, in genere il corpo di un uomo o di un animale: diverse telecamere effettuano riprese da diversi punti di vista e le immagini prodotte vengono elaborate da un software specifico che ricostruisce il movimento in 3D.
La differenza è che nel caso della Xromm non si fa uso di telecamere ma di macchine a raggi X; la tecnica è dunque applicata esclusivamente a esseri viventi e permette di riprendere tridimensionalmente le ossa e le articolazioni mentre si muovono.
In questi ultimi anni, i ricercatori dell’università americana hanno pubblicato una trentina di articoli, quasi tutti condotti su animali: dalle salamandre ai pesci rossi, ai maiali, alle tartarughe.
Beth Brainerd, professoressa di ecologia e biologia evoluzionistica alla Brown, è direttrice del progetto di sviluppo della tecnologia Xromm e riferisce che la cosa più interessante di questo innovativo sistema di imaging è «la possibilità di osservare aspetti assolutamente invisibili esternamente: si può vedere ciò che avviene all’interno degli organismi».
Le animazioni non mostrano soltanto le ossa in movimento, ma anche come la loro forma e posizione rendono possibile il movimento stesso. Questo tipo di conoscenza può essere utile anche ai paleontologi, per determinare quali movimenti sarebbero stati compiuti da animali oggi non più esistenti: è stata ad esempio adottata da Stephen Gatesy per affrontare con un approccio del tutto originale lo studio dell’evoluzione.
Ma anche l’ortopedia potrebbe trarre da Xromm nuove possibilità di ricerca, a partire dalle sue basi biomeccaniche. Per ora risulta un solo studio pubblicato in letteratura scientifica: lo ha condotto nel 2013 Braden Fleming, che alla Brown University è appunto professore di ortopedia.
Fleming si è proposto di studiare le differenze dei movimenti delle ginocchia maschili e femminili mentre eseguono dei salti, in particolare durante le manovre dello stacco da terra e dell’atterraggio. Le atlete incorrono più spesso in infortuni e, proprio grazie alle immagini Xromm, il ricercatore americano ha mostrato una maggiore rigidità e una minore capacità di assorbire le energie a cui le ginocchia vengono sottoposte durante il salto, fattori che potrebbero porle a maggior rischio rispetto agli atleti di sesso maschile.
Giampiero Pilat
Giornalista Tabloid di Ortopedia