
Da sinistra, Giovanna Mantovani e Giulia Del Sindaco, UOC Endocrinologia, Fondazione Irccs Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Università degli Studi di Milano, dipartimento di Scienze cliniche e di comunità
L’osteodistrofia di Albright è uno dei segni patognomonici dello pseudoipoparatiroidismo e dei disordini correlati. Brachidattilia e ossificazioni ectopiche ne costituiscono le manifestazioni più tipiche, tanto da essere due dei criteri maggiori per la diagnosi
Con il termine “osteodistrofia di Albright” (AHO) si fa riferimento a una costellazione di caratteristiche cliniche che accompagnano alcune delle cosiddette sindromi da resistenza al paratormone, meglio note come pseudoipoparatiroidismo (PHP). La prima descrizione di entrambe queste entità cliniche risale al 1942, quando Albright e colleghi descrissero per la prima volta pazienti con ipocalcemia, iperfosforemia, livelli elevati di paratormone (PTH), normale funzione renale e concomitante fenotipo clinico caratterizzato da bassa statura, viso rotondeggiante, obesità/sovrappeso, vario grado di ritardo mentale, variabile presenza di ossificazioni ectopiche e brachidattilia.
Nello specifico, le ossificazioni ectopiche e la brachidattilia, descritta come l’accorciamento di III, IV e V metacarpo, sono le caratteristiche somatiche maggiormente specifiche e tipiche dell’osteodistrofia di Albright. Con gli anni, un’estrema variabilità clinica ha modificato il background di questo spettro di patologie. Dalla prima descrizione di Albright, infatti, sono emerse numerosissime varianti cliniche di pseudoipoparatiroidismo che, ad oggi, è da intendersi piuttosto come un gruppo di patologie rare, caratterizzate da una combinazione variabile di resistenze ormonali, caratteristiche somatiche e biochimiche.
Epidemiologia e fisiopatologia
La prevalenza esatta di queste patologie è perlopiù sconosciuta, in Italia è stimata intorno a 1/150.000 (Orphanet ID 12935). Si tratta quindi di disordini estremamente rari e difficili da diagnosticare, per cui è di primaria importanza avere un sospetto diagnostico sulla base del quale, con l’aiuto dello specialista e dei centri di riferimento, condurre un adeguato work-up diagnostico e terapeutico.
Dal punto di vista eziopatogenetico, una causa molecolare alla base dello pseudoipoparatiroidismo (o delle patologie correlate) è individuabile nell’80-90% dei casi. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di alterazioni genetiche de novo o a ereditarietà autosomica dominante che intervengono nel contesto del pathway di recettori accoppiati a proteine G (alterazioni genetiche o epigenetiche a carico della subunità alfa della proteina G stimolatoria (gene GNAS), alterazioni a carico della subunità regolatoria della protein kinasi A (gene PRKAR1A), o delle fosfodiesterasi (gene PDE4D). Il panorama genetico è complesso e variegato, bisogna sicuramente ricordare che la causa molecolare va ricercata nella cascata di trasduzione del segnale che parte dalla proteina G, passando per cAMP e PKA. Infatti, la miglior conoscenza di questo pathway ha permesso nel tempo di distinguere i diversi sottotipi della patologia, estremamente simili dal punto di vista clinico ma con differenze sostanziali nella patogenesi molecolare/genetica.
Manifestazioni cliniche
L’osteodistrofia di Albright ha, quindi, tra i segni distintivi, la brachidattilia, la brachimetacarpia e/o la brachimetatarsia (fig. 1).
La brachidattilia in questi pazienti viene definita e classificata come brachidattilia di tipo E, ovvero con riduzione della lunghezza dei metacarpi ma lunghezza delle falangi solitamente conservata. Generalmente tali segni sono assenti alla nascita e si rendono evidenti a partire dall’epoca pre-puberale/puberale. Sono secondari a un difetto di signaling durante la maturazione dell’osso endocondrale e si associano, frequentemente, a bassa statura in età adulta, conseguente alla prematura e rapida chiusura delle cartilagini epifisarie tra i 10 e i 15 anni di età. Tuttavia, la frequenza e la severità della brachidattilia varia tra le diverse entità cliniche di pseudoipoparatiroidismo, per esempio è un segno molto precoce e invariabilmente presente nelle forme di acrodisostosi. La brachidattilia può, inoltre, contribuire alla difficoltà nella motricità fine di questi pazienti, che spesso necessitano di sostegno scolastico durante l’infanzia. Benché si tratti di un segno tipico dell’osteodistrofia di Albright, occasionalmente può essere riscontrato anche nella popolazione sana, pertanto la diagnosi può essere difficoltosa. Tra gli ausili diagnostici, al di là di un attento e scrupoloso esame obiettivo, la radiografia della mano può essere utilizzata per misurare metacarpo, falangi prossimali, medie e distali ed elaborare uno z-score della lunghezza di ogni osso. Inoltre, attenti controlli auxologici durante l’infanzia possono permettere di cogliere prontamente una decelerazione della velocità di crescita o lo sviluppo precoce di obesità/sovrappeso, altra caratteristica spesso misconosciuta ma frequentemente associata e precoce nell’osteodistrofia di Albright.
Le ossificazioni ectopiche sono caratteristiche del sottotipo di pseudoipoparatiroidismo causato da alterazioni genetiche a livello del locus GNAS. Bisogna sottolineare che il termine corretto per definirle è “ossificazioni ectopiche” e non “calcificazioni ectopiche”; infatti il loro sviluppo è indipendente dai livelli sierici di calcio e/o fosforo e sono manifestazione clinica del deficit del signaling della proteina G a livello delle cellule mesenchimali, con formazione de novo di osteoblasti extrascheletrici che formano isole di osso ectopico prevalentemente a livello di derma e tessuto sottocutaneo. Non ci sono evidenze che traumi o infezioni possano indurre o favorire la comparsa delle ossificazioni ectopiche in questo sottogruppo di pazienti. Una forma peculiare di ossificazione ectopica è quella dell’osteoma cutis, che è generalmente presente sin dalla nascita e/o a sviluppo estremamente precoce, e si caratterizza come una grande placca cutanea di tessuto scheletrico o come nodulo dermico isolato. In alcuni pazienti le ossificazioni ectopiche possono estendersi ai tessuti profondi, con conseguente dolore e limitazione al movimento articolare; in questi casi l’esecuzione di TC/RMN può essere utile per una migliore localizzazione e definizione nell’ottica di una successiva escissione chirurgica. All’esame clinico si presentano come noduli palpabili di consistenza dura, a localizzazione ed estensione variabile, prediligendo le aree periarticolari, le mani e la regione plantare (fig. 2). Talvolta le ossificazioni possono espellere un materiale biancastro e “calcareo” verso l’esterno. Ad oggi non esistono trattamenti per la prevenzione delle ossificazioni ectopiche, sono stati proposti trattamenti con bisfosfonati nella prevenzione delle complicanze e delle recidive post-chirurgiche e trattamenti con tiosolfato di sodio topico per rallentare la progressione delle ossificazioni ectopiche, ma sono necessari ulteriori dati di conferma in merito. Una corretta mobilizzazione articolare e una mirata fisioterapia possono alleviare il dolore dei pazienti quando le ossificazioni coinvolgono i distretti articolari.
Inoltre, va ricordato che i pazienti con resistenza al paratormone (PTH) vengono principalmente trattati mediante metaboliti attivi della vitamina D (es. calcitriolo o alfacalcidiolo) e supplementazione con calcio per os, al fine di mantenere un normale livello dei valori sierici di calcio. Lo scenario delle resistenze ormonali associate può essere più complesso e, spesso, si associano anche resistenza al TSH (da trattare con levotiroxina), deficit di GH e resistenza alle gonadotropine. Sul trattamento di questi pazienti con ormone della crescita ricombinante (rhGH) i dati sono poco conclusivi, ma sembrerebbe che l’altezza e la velocità di crescita possano beneficiarne in una ristretta finestra temporale in epoca prepuberale.
L’osteodistrofia di Albright rappresenta, dunque, uno dei segni patognomonici dello pseudoipoparatiroidismo e dei disordini correlati. La brachidattilia e le ossificazioni ectopiche ne costituiscono le manifestazioni più tipiche, tanto da essere due dei criteri maggiori per porre diagnosi di patologia. Si tratta, però, di patologie estremamente rare, per cui rimane imprescindibile un approccio e una gestione multidisciplinare (endocrinologo, ortopedico, dentista, neurologo, dietista, psicologo). Indispensabile, inoltre, la presenza di un centro di riferimento a cui indirizzare il paziente, sia per un miglior inquadramento alla diagnosi, sia per una presa in carico globale della malattia e delle possibili complicanze.
Bibliografia
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