L’osteoporosi è una malattia cronica che comporta un elevato rischio di fratture, di comorbilità e di decesso. I rischi dell’assunzione a lungo termine dei farmaci per l’osteoporosi non sono ben conosciuti, il rischio di morte per altre cause, che non è trascurabile trattandosi in genere di pazienti anziani, complica le analisi ed è difficile predisporre strategie di trattamento senza informazioni precise sull’aspettativa di vita nei pazienti.
Le stime più recenti della International Osteoporosis Foundation indicano che due milioni delle fratture che si verificano ogni anno negli Stati Uniti e tre milioni e mezzo nell’Unione europea sono dovute all’osteoporosi. Dopo queste fratture, l’aumento di mortalità rispetto alla popolazione generale è indiscusso, ma non è chiaro quanto si diversifichino le prospettive di vita. Diversi studi hanno mostrato un rischio di decesso maggiore nei primi mesi e anni successivi alla frattura e una sua diminuzione col passare del tempo. Alcuni contributi pubblicati in letteratura riportano una mortalità più bassa nei pazienti sottoposti a trattamento farmacologico dell’osteoporosi, ma questi dati sono essenzialmente basati su studi osservazionali, in cui gli interventi potrebbero essere stati rivolti a persone con migliori prospettive di sopravvivenza. C’è però anche uno studio randomizzato controllato che nel 2007 aveva mostrato una diminuzione della mortalità nei pazienti che, dopo frattura di femore, erano stati trattati con acido zoledronico.
Ora un altro studio osservazionale, ma supportato da grandi numeri, è stato coordinato da Bo Abrahamsen del Centro di ricerca sull’invecchiamento e l’osteoporosi di Glostrup, in Danimarca, che ha pubblicato i suoi risultati sul Journal of Bone and Mineral Research. La ricerca è stata resa possibile dai registri nazionali danesi che tengono traccia delle prescrizioni di farmaci antiosteoporotici, delle comorbilità e dei decessi. Sono stati inclusi 58.637 pazienti affetti da osteoporosi e confrontati con 225.084 soggetti presi dalla popolazione generale, con il medesimo profilo di età e di genere, che hanno costituito il gruppo di controllo. Le informazioni sui decessi sono state aggiornate alla fine del 2013, e hanno configurato in tal modo un follow-up dai 10 ai 17 anni.
I risultati: negli uomini con meno di 80 anni e nelle donne al di sotto dei 60, il rischio relativo di decesso, dopo essere fortemente aumentato nell’anno successivo alla prima diagnosi di osteoporosi – spesso formulata in seguito a una frattura – rispetto alla popolazione generale, si è poi stabilizzato, mantenendosi comunque superiore al gruppo di controllo. L’aspettativa di vita per un cinquantenne di sesso maschile che, appena diagnosticato di osteoporosi, inizia un trattamento farmacologico, è di 18,2 anni, mentre per un settantacinquenne è di 7,5 anni. Per le donne, l’aspettativa sale rispettivamente a 26,4 e 13,5 anni.
«Come trattare al meglio i pazienti con osteoporosi è una scelta semplice quando si inizia il trattamento, ma è molto difficile decidere per quanto tempo prolungare la cura – ha dichiarato Abrahamsen –. Il nostro studio mostra che la maggior parte dei pazienti che trattiamo ha una lunga aspettativa di vita, ma è assolutamente necessario raccogliere più evidenze scientifiche che ci consentano di sviluppare strategie per i trattamenti a lungo termine».
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia