
Dott. Gianfranco Pisano
Specialista in medicina dello sport con master in malattie metaboliche dell’osso, nella sua attività libero professionale tra Milano, Roma, Firenze e Arezzo si occupa principalmente di prevenzione, diagnosi e cura dell’osteoporosi
L’osteoporosi associata alla gravidanza e all’allattamento è una sindrome caratterizzata da perdita di massa ossea e da fratture da fragilità in assenza di traumi efficaci, più frequentemente a carico del rachide ma, in misura molto minore, anche a livello del femore. L’osteoporosi gravidica si manifesta clinicamente nel periodo compreso tra gli ultimi mesi di gravidanza e i primi mesi di allattamento. In letteratura viene definita come Pregnancy and lactation-associated osteoporosis (PLO o talvolta PAO) e, se a livello del femore, come Transient osteoporosis of the hip (TOH) e a tutt’oggi viene indicata come una patologia piuttosto rara (1).
La prima narrazione di tale sindrome risale al 1955 con la pubblicazione di 4 casi (2), anche se una prima descrizione venne data da Albright e Reifenstein nel 1948. Sino al 2006, i casi riportati in letteratura sono stati 100 (3), anche se revisioni successive porterebbero il numero a circa 200. Alcuni autori stimano un’incidenza di soli 0,4 casi per 100.000 donne, specificando, tuttavia, che il numero di casi non diagnosticati o non pubblicati è probabilmente più alto (4). Durante la gravidanza, la madre deve aumentare la ritenzione di calcio per soddisfare il fabbisogno di calcio dello scheletro fetale in crescita, che alla nascita è di circa 30 gr. La maggior parte della crescita dello scheletro fetale avviene durante il terzo trimestre, periodo nel quale è necessario un incremento di circa 200-250 mg di calcio al giorno (5). L’80% di tale quantità viene infatti trasferita durante il terzo trimestre, quando il trasporto placentare di calcio è in media di 110-120 mg/kg al giorno (6). La perdita di massa ossea in tali situazioni può considerarsi quindi para fisiologica. Infatti, in uno studio condotto su 1.672 puerpere, in cui sono stati tralasciati i possibili casi di osteoporosi secondarie a patologie o a farmaci, la percentuale di soggetti con osteoporosi (secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) nelle 1.561 rimanenti era del 36,3% (566 puerpere). Di esse tuttavia solamente 3 hanno presentato fratture da fragilità (7). È pertanto evidente che i meccanismi che stanno alla base dell’osteoporosi gravidica, intesa come riduzione della massa ossea accompagnata da una o più fratture da fragilità, non sono ancora del tutto chiariti, sebbene alcuni studi sembrino individuare la causa di alcune delle patologie gravidanza-correlate nell’accumulo di ROS (Reactive Oxigen Species) nella prima parte del terzo trimestre (8).
Le specie reattive dell’ossigeno agirebbero determinando delle alterazioni del reticolo endoplasmatico negli osteoblasti, causato da uno sbilanciamento tra sostanze ossidanti e antiossidanti e legato a un deficit di attività antiossidante della placenta che, al contrario, solitamente aumenta in gravidanza come conseguenza del fisiologico maggior stress ossidativo (9). Inoltre la supplementazione con acido folico, la cui attività antiossidante è stata più volte ribadita (10) e quella con licopene nella sua forma cis (11), anch’essa molecola dotata di notevole capacità antiossidante, hanno dimostrato di limitare la perdita di massa ossea durante la gravidanza, rendendo più interessante l’ipotesi di una sindrome stress-ossidativo correlata.
L’importanza di una precoce diagnosi è fondamentale in quanto è ben documentata una correlazione significativa tra il numero di fratture al momento della diagnosi e il conseguente rischio di ulteriori fratture (12).
Caso clinico
La paziente B.C. nel 2014, durante il terzo trimestre di gravidanza, all’età di 27 anni, accusa dolore acuto costale insorto improvvisamente nell’accostarsi a un parapetto e, contemporaneamente, un dolore profondo ma non particolarmente intenso all’anca destra.
Al termine della gravidanza viene sottoposta a parto cesareo.
A due mesi dal parto lamenta una rachialgia ingravescente che ne causa l’allettamento.
Trasportata al pronto soccorso dell’ospedale locale viene dimessa con diagnosi di lombalgia e le viene prescritta una terapia analgesica, in assenza di esami strumentali.

Fig. 1: radiografia della colonna dorsale laterale che mette in evidenza una lieve deformazione a cuneo di D7, D8 e D12

Fig. 2: risonanza magnetica del rachide che mette in evidenza la presenza di sei lesioni vertebrali
A causa del persistere del dolore effettua un nuovo accesso al pronto soccorso, dove viene sottoposta a visita specialistica ortopedica e dimessa con diagnosi di lombalgia in depressione post-partum e terapia antalgica. A quattro mesi dal parto, nel febbraio 2015, a causa del costante dolore lombare si sottopone di propria iniziativa a una radiografia del rachide (fig. 1) che mette in evidenza una lieve deformazione a cuneo di D7, D8 e D12 e successivamente si sottopone a una risonanza magnetica del rachide (fig. 2) che mette in evidenza sei lesioni vertebrali (cedimento delle limitanti somatiche prossimali di D7, D8, D12, L1, L2, L5 con presenza di modesto edema della spongiosa ossea metamerica sottostante per cedimenti somatici recenti. In D12 si associa minima sporgenza dello spigolo posterosuperiore. Accenno di deformazione a cuneo anteriore dei corpi vertebrali di D7 e D8).
A quattro mesi dal parto e a sei dall’inizio dei sintomi viene per la prima volta diagnosticata, sulla base dei risultati dell’imaging, una PLO e consigliata visita specialistica, prima della quale effettua una densitometria Dexa (tab. 1) e alcuni esami ematochimici (tab. 2).
La Moc Dexa viene monitorata con una periodicità inferiore a quella raccomandata, ma effettuata nella stessa struttura e con il medesimo dispositivo per ridurre l’incidenza dei limiti di sensibilità e aderenza insiti nella metodica.
Dal 2017, viene inoltre effettuata una valutazione con una nuova metodica che garantirebbe una maggior specificità, sensibilità e aderenza, essendo inoltre operatore indipendente, basata su diagnostica a ultrasuoni su vertebre e collo del femore (13, 14).
Alla prima visita effettuata a sei mesi dall’inizio della sintomatologia la paziente, che all’anamnesi non presentava fattori di rischio specifici per l’osteoporosi né aveva assunto farmaci che notoriamente avrebbero potuto influire sulla massa ossea, era sostanzialmente allettata avvertendo un intenso dolore nella posizione ortostatica e veniva sottoposta a una valutazione della sintomatologia dolorosa e della funzionalità tramite Brief Pain Inventory (15, 16, 17).
In tale occasione il Pain Severity Score era pari a 10 e il Pain Interference Score pari a 9,14.

Fig. 3: posizionamento degli elettrodi OsteoSpine (Igea)
Trattamento
Dal momento che la paziente rifiutava sia l’uso di bifosfonati che di Denosumab, veniva intrapresa una terapia conservativa basata su una terapia elettromedicale domiciliare (OsteoSpine Igea, 8 ore + 8 ore/die per due mesi) (18), antiossidanti (licopene cisform 10 mg/die) (11), menaquinone 7 (140 mcg/die) (19), silicio (700 mg/die) (20), magnesio chelato (400 mg/die) (21), colecalciferolo (2.500UI/die). La paziente ha effettuato due cicli giornalieri di OsteoSpine per trattate contemporaneamente tutte le fratture (fig. 3).
Il dolore è stato monitorato all’inizio della terapia e a 7, 15, 30, e 60 giorni di follow-up (tab. 3).
Dopo 7 giorni di terapia la paziente riprendeva la posizione eretta, con una significativa riduzione del dolore dopo 15 giorni e scomparsa definitiva registrata al follow-up dei 30 giorni.
Discussione e conclusioni: serve una diagnosi precoce
per limitare la possibilità di collassi vertebrali a cascata
L’incidenza dell’osteoporosi associata alla gravidanza e allattamento è sicuramente sottostimata, data la presenza in letteratura di pochissimi studi scientifici.
Per il trattamento della PLO sono state proposte varie soluzioni terapeutiche, comprendendo vari tipi di bisfosfonati, il ranelato di stronzio, la teriparatide, il Denosumab ecc. Nel caso riportato, l’uso di un dispositivo atto a determinare una stimolazione biofisica con campi capacitivi a treni di impulso di 12.5 Hz (OsteoSpine, Igea) ha favorito una rapidissima remissione del dolore e una ripresa delle normali attività quotidiane in tempi ristretti, in accordo con la letteratura (22, 23).
Un caso analogo, pubblicato dal professor Sansone dell’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, condotto su una paziente con una frattura del sacro post-partum, conferma l’efficacia della terapia con OsteoSpine nel controllare il dolore nelle fratture da osteoporosi gravidica (24).
La somministrazione di sostanze non di sintesi ma a dosaggi farmacologici ha permesso una riduzione della perdita di massa ossea e un recupero della BMD. Pur non essendo ancora ben documentata l’azione positiva della stimolazione biofisica nella riduzione di perdita di massa ossea in casi indipendenti dall’evenienza fratturativa, alcune ricerche indirizzerebbero in tal senso ipotizzando una differenziazione in senso osteoblastico delle cellule staminali adulte. Sarebbe quindi auspicabile valutare un trattamento non limitato alla sola fase immediatamente successiva all’evento dannoso, ma anche a scopo preventivo (25, 26).
Nonostante siano necessari studi su larga scala, sensibilizzando sia i singoli professionisti che i centri e le strutture deputate alla gestione delle gravidanze, come suggerito dalla letteratura corrente si può concludere che la miglior prevenzione applicabile sia la diagnosi precoce, limitando così la possibilità di incorrere in collassi vertebrali a cascata oltre il primo, legata sia al ritardo nella diagnosi, mediamente di 5-6 mesi, sia all’elevato numero di fratture vertebrali che spesso a tale distanza dall’esordio accompagna questa sindrome.
Bibliografia
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